Belli o brutti? una qualità non indifferente

Scritto da Giovanni Del Zanna il 24-06-2012

Quante volte esprimiamo un giudizio sulla base del criterio “bello/brutto“: la dimensione “estetica” riveste per tutti una grande importanza, e la valutazione “a colpo d’occhio” immediata e spesso impietosa ha sempre una forte rilevanza.
Spesso esclamiamo “bello!” per qualificare anche situazioni e momenti che non hanno una dimensione esteriore (una bella giornata passata in compagnia, un bel libro, una bella iniziativa… ). Il senso del “bello” è qualcosa di profondo che abbiamo dentro e che, con facilità ci permette di scegliere o scartare ciò che abbiamo davanti.
Come non ricordare, allora, l’ideale greco del “kalos kai agathos” (bello e buono): ideale classico della perfezione, legato non solo alla bellezza (kalos),
ma anche ad una dimensione più sostanziale, legato ad un senso più profondo del buono (agathos). Così per la cultura classica l’ideale di perfezione è un connubio inseparabile della dimensione estetica e di quella etica.
In che modo possiamo ricondurre queste riflessioni al tema dell’Accessibilità?   
Chiaramente non ci addentriamo in approfondimenti filosofici, ma cerchiamo di ragionare su come la qualità estetica, anche per le soluzioni di Accessibilità, si relaziona con una qualità più profonda, che non è solo quella dell’immagine esteriore dell’oggetto.
Spesso, infatti, le soluzioni di accessibilità – quelle che solitamente, con terminologia errata, chiamiamo “soluzioni per disabili” – che dovrebbero migliorare e facilitare l’ambiente costruito per tutti, presentano una qualità estetica piuttosto scarsa, per non dire che sono proprio brutte.
Riteniamo allora che questo dipenda dalla Normativa: la normativa impone soluzioni che, in quanto tali sono”brutte”. Ma anche qui sbagliamo! La normativa non entra nel merito dell’estetica delle soluzioni e neanche nella loro qualità. La norma si limita a indicare delle prescrizioni, dei limiti inderogabili per garantire – sopratutto le fasce di utenza più deboli – un livello minimo di fruibilità. Chi ha una conoscenza approfondita della normativa, conosce la sua dimensione prestazionale (garantire il soddisfacimento della fruibilità dell’ambiente),
piuttosto di quella prescrittiva (obbligare al rispetto di una parametro dimensionale).
Certo è che le “indicazioni” della norma non condizionano la qualità della soluzione e neppure la sua immagine esteriore. Nel pieno rispetto dei vincoli normativi il progettista è libero di individuare le soluzioni di progetto che meglio si adattano al contesto, scegliere i materiali, i colori, definire le scelte compositive e formali dei diversi elementi.
Può sembrare pura “teoria”, discorsi astratti. Siamo talmente abituati a soluzioni di “scarsa qualità” che non ci facciamo caso, sono diventate normali, abituali. Eppure non è così: lo dimostrano le molte soluzioni – probabilmente non la maggior parte, ma un numero di soluzioni sempre crescente  di esempi e di interventi – che riescono a coniugare funzionalità e qualità estetica.
Molti esempi positivi li troviamo all’estero, non perché i progettisti esteri siano più bravi di noi, ma perché spesso troviamo una cultura (non solo dell’accessibilità, ma del rispetto della “cosa pubblica”) più attenta e sensibile.
Se osserviamo queste soluzioni “positive” e le analizziamo per capire le scelte, le modalità di intervento gli aspetti creativi ed estetici scopriamo che non c’è nulla di speciale: una buona applicazione delle indicazioni di norma (o manualistiche),
integrate nel progetto, con un attento studio della soluzione formale e funzionale. Scelta di materiali e di soluzioni tecnologiche che si integrano nel progetto e che presentano una altro livello di “normalità di immagine”.
Scopriamo, quindi, che le soluzioni di accessibilità “belle” non sono una rarità e sono possibili. Anzi, ci accorgiamo di come l’espressione del “bello” contiene – come nell’ideale classico greco – qualcosa di “buono” proprio perché è dimostrazione di una soluzione più attenta e curata, di una soluzione che è parte integrante del progetto (e non soluzione di ripiego, solo per rispettare le norme!) e che punta ad un’effettiva fruibilità per tutti.
Molte sono le fotografie del nostro archivio che avremmo potuto scegliere, solo l’imbarazzo della scelta. Di seguito una prima selezione su temi e accostamenti differenti. Una prima rassegna di foto “brutte” e “belle” sulle quali soffermarsi ad  esprimere un proprio giudizio.
Architettura delle rampe

La rampa può essere vista come elemento aggiuntivo da sovrapporre all’edificio o come elemento compositivo che entra in relazione con gli altri elementi dell’edificio. Chiaramente in edifici di nuova costruzione è più facile integrare questi elementi (se ci si pensa e se si valorizzano).
Notare la differenza degli elementi corrimano/parapetti: da un lato una selva di pali e di tubi, dall’altra un elemento che, per quanto più deciso, risulta più uniforme e lineare.
Piccole rampe, da integrare nell’ambiente costruito

In altri casi la rampa (o meglio un piccolo scivolo) sono elementi più contenuti. In questi casi la differenza molte volte è data dalla scelta dei materiali. Da una parte una soluzione in ferro, posticcia, posizionata davanti ad un edificio storico, dall’altra una rampa più curata, con materiali che si integrano nel contesto, con un corrimano semplice ed essenziale.
Scivoli di accesso

Una rampetta d’ingresso. Meglio la soluzione “artigianale” arrangiata un po’ alla buona, sovrapposta ai gradini (non più utilizzabili!) o una soluzione più “decisa” che modifica lo spazio di ingresso ed integra gradini di accesso e piano inclinato.
Soluzioni “meccaniche”

In caso di soluzioni “difficili” non c’è altra possibilità che pensare ad un dispositivo meccanico (sia esso un servoscala, una pedana, un elevatore o qualcosa di simile).
Nel primo esempio un servoscala “incappucciato” posto all’ingresso di un edificio storico nel centro di Milano: sicuramente non una bellezza, ma all’occorrenza sarà funzionale?
Il secondo esempio, invece, viene dalla Francia: il famoso “ponte di Avignone”. L’accesso al ponte, per i turisti, è in alto, il percorso è prolungato da una passerella (al posto del collegamento del ponte verso terra, ormai crollato) e nella parte terminale è collocato un nuovo elemento che integra scala ed elevatore (il servoscala si immagina che sia stato scartato in partenza).
Soluzioni “meccaniche”

Al posto del servoscala la pedana elevatrice è una buona soluzione: più discreta, più funzionale. Certo dipende anche da come viene integrata. In un caso viene collocata a lato dell’ingresso dell’edificio, in posizione nascosta, installata in modo “precario” con l’immagine di una soluzione posticcia. Nell’altro caso una parte della gradinata di accesso lascia un po’ di spazio per l’inserimento di un meccanismo di collegamento verticale: una soluzione più definitiva, più curata e  ulteriormente arricchita dalla presenza di piante.
Pavimentazioni

Per rendere accessibile un percorso è sufficiente posare una guida tattile a pavimento?
L’accesso ad una stazione sotterranea prevede un percorso tattile (ma perché è interrotto da un gradino?) questo è sufficiente per garantire una fruibilità per il maggior numero di utenti?
Al contrario un un parco urbano – senza soluzioni speciali – il percorso realizzato con un asfalto colorato, al bordo una fascia in selciato che segnala il bordo del percorso. Il contrasto cromatico è assicurato dai materiali utilizzati.
Bagni accessibili

Un argomento “classico” che darebbe spazio da solo ad un intero archivio di foto. Due esempi per tutti: un bagno squallido, senza sedile, con il pulsante di scarico (ma in posizione sbagliata),
senza maniglioni, cerca di essere a norma, ma non ci riesce. Riesce solo a perpetrare l’idea che le soluzioni accessibili (quelle “speciali”) sono brutte e di tipo ospedaliero (anche se si trova in un ristorante!)
Per contro una soluzione semplice – presente in un museo -, più accessibile con maniglione posizionato in modo adeguato (con la parte inclinata, utile per un anziano che fatica ad alzarsi); le scelte delle finiture (dei maniglioni e delle piastrelle) si uniformano alle scelte estetiche fatte dal progettista per il blocco servizi nel suo insieme.
Segnaletica

Anche le soluzioni di dettaglio hanno la loro importanza.
Nell’accesso ad una stazione balneare (con gradini) è previsto – come consentito dalla norma – un pulsante di chiamata, per far intervenire il personale in grado di offrire assistenza. Un pulsante e un cartello che più che accogliere, respingono la persona con disabilità. Emblema della soluzione “speciale”.
All’estero, invece (è il caso di un wc pubblico automatico) l’indicazione dell’accessibilità per le persone con disabilità viene integrata, con maggiore cura, nella segnaletica generale che, con semplici pittogrammi, comunica le diverse funzioni.