Psicologia della casa

Scritto da Luciana Quaia il 21-07-2011

Ci troviamo spesso, su queste pagine, a trattare argomenti che riguardano sicurezza e tecnologia della casa, con proposte utili a raggiungere comfort e accessibilità anche quando le forze del corpo fisico si allentano. Questo per garantire ad ogni persona il diritto ad abitare il proprio spazio vitale nonostante gli impedimenti che sovente, con dolore, impongono il trasferimento in una struttura assistita.

In questo articolo si cercherà di approfondire il significato simbolico e psicologico che la casa riveste per l’essere umano, al di là del suo aspetto meramente materiale. La dimora, infatti, oltre a costituire riparo e protezione dalle avversità del mondo esterno, rappresenta dal punto di vista psicologico il nostro primo universo e spazio privilegiato per la nostra individuazione.

Gaston Bachelard , filosofo francese, definisce la casa come uno spazio che racchiude e comprime il tempo attraverso la memoria e l’immaginazione. E’ questo spazio ancestrale che diventa eco e contenitore dei valori di intimità custoditi nel nostro mondo interiore. E’ fra queste mura che si raccolgono i quattro elementi della vita terrestre acqua, terra, aria, fuoco, agenti intermediari fra mondo esterno e interno.

Le società primitive per lungo tempo hanno attribuito all’abitazione e al focolare un valore sacrale: la scelta di posizionarli in un preciso rapporto con il cielo, restituiva all’uomo l’illusione di sentirsi in una comunicazione diretta tra pietre e stelle, trovando così un rimedio alle proprie angosce di effimero passaggio nel mondo.

E anche quando la visione “cosmica” della casa si attenua in virtù dei primi fenomeni di inurbazione, un nuovo tipo di sacralità individua nella presenza soprannaturale una forma alternativa di protezione: i Lari, spiriti ancestrali degli antenati, acquistano ruolo di divinità domestiche di ogni casa e custodi di ogni famiglia.

Nel luogo di vita e di crescita, sotto l’influsso positivo dei geni divini, trovano significato i gesti semplici e profondi della famiglia: il rapporto con la natura e le sue stagioni, la continuità fra le diverse generazioni, l’accudimento dei bambini, il posto per i grandi vecchi, la ritualizzazione del lutto, l’integrazione del diverso, i riti di iniziazione e socializzazione.

Certo, la scomparsa del focolare nel giro di pochi decenni ha determinato la perdita della struttura tradizionale domestica; dal grande spazio collettivo intorno al fuoco e la camera comunitaria dove dormire durante la notte si è gradualmente passati all’abitazione suddivisa in locali dalle specifiche funzioni, dove abitare e lavorare vengono nettamente distinti.

Non viene tuttavia smarrito il simbolo della casa come elemento inseparabile della nostra identità.

Carl Gustav Jung in un suo sogno del 1909 la interpreta come un simbolo dell’Io strutturato attraverso molti livelli di coscienza: “Mi era chiaro che la casa rappresentava una specie di immagine della psiche, cioè della condizione in cui era allora la mia coscienza, con in più le relazioni inconsce fino allora acquisite. La coscienza era rappresentata dal salotto … col pianterreno cominciava l’inconscio vero e proprio. Quanto più scendevo in basso, tanto più diventava estraneo e oscuro”.

l’immagine della casa come “pelle psichica” o allegoria del corpo umano produce interessanti similitudini: porta come fessura di passaggio, finestra come occhio, cucina associata allo stomaco, soggiorno al petto, bagno all’intestino, soffitta alla testa, cantina ai piedi …
Ancora più pregnante è il simbolismo collegato agli strati della psiche, secondo il concetto della “verticalità”  già delineato da Bachelard nell’immagine “piedi sulla terra e testa nel cielo”: il tetto e il piano superiore indicano il pensiero e la funzione cosciente e direttiva, la cantina rappresenta l’inconscio e l’istinto, la cucina racchiude la trasformazione psichica, mentre la scala è considerata mezzo di unione fra i diversi livelli psichici.

Anche sul piano psicopatologico la casa può esprimere indicatori importanti. Il disegno prodotto da un bambino fornisce elementi di valutazione della sua personalità, poiché nel test egli proietta il suo rapporto con la famiglia. Ecco quindi che una casa grande col comignolo fumante rivelerà un carattere estroverso e un buon rapporto comunicativo, mentre finestre chiuse esprimeranno una chiusura alle relazioni con il mondo esterno.

Nella persona anziana, un trasloco o un cambiamento di residenza può indurre stati di disagio psichico quali ansia, inibizione, perdita d’intimità, disorientamento, così come traumi più gravi possono conseguire alla violazione del domicilio o alla sua perdita causata da catastrofi naturali. d’altronde è sufficiente pensare al proprio personale rapporto con la casa d’infanzia e alle trasformazioni avvenute a seconda dei cicli di età della vita attraversati per comprendere come essa assuma sembianze di “pelle”: dai morbidi peluche dei primi anni di vita, ai poster degli eroi sportivi o degli attori segretamente amati durante l’adolescenza, a coppe, attestati o riconoscimenti della prima giovinezza, al mazzo di chiavi per le iniziali uscite serali, al lasciare la casa genitoriale per costruire un nuovo spazio personale.

La forza del simbolo è così potente che è facile si affaccino nelle nostre esplorazioni immaginarie  visioni di luoghi che abbiamo percepito particolarmente intimi, proprio per le loro caratteristiche di mistero, di nascondiglio, di contenimento, di scoperta del mondo esterno e dei suoi tesori, così come ci ricorda Anna Fabbrini in Qui e Là : “per noi bambini, abituati agli spazi prevedibili dell’appartamento, quella casa era un’avventura. Salivi una scala buia e ripida aggrappato al corrimano di legno scavato dall’uso e sbarcavi nel lungo corridoio che portava alle stanze … La grande cucina col camino la incontravi a sinistra. Lì succedeva di tutto: il mangiare, il rigovernare, il conversare, il tirare il collo ai polli e poi spennarli per il pranzo della domenica … l’acqua veniva portata su col secchio dal pozzo che stava sotto il portico. Bere e lavarsi le mani era un rito, col catino di terracotta, il mestolo alla bocca e lo stare attenti a non sprecare l’acqua, per rispetto di quella fatica di salire  le scale col peso”.

Anche letteratura e cinema di tutti i tempi raccontano le metafore psichiche suscitate dalla casa. Pensiamo per esempio al grado di suspence che un film giallo riesce a provocare solo attraverso la ripresa di una scala a chiocciola che scende verso il basso o l’inquadratura di una finestra che assume sembianze di occhio aperto che sbircia verso un fuori sconosciuto.

Oppure, assumendo il parallelismo fra soffitta e testa, ricordiamo il romanzo di Michael Ende, dove il bambino Bastiano, dopo aver rubato il volume “La storia infinita”  presso la libreria di un antiquario, proprio in un solaio si rifugia a leggere e a farsi catturare dalle avventure di un mondo fantastico in cui può sognare e diventare eroe.

Persino nella canzone popolare Sergio Endrigo  ci incanta con la filastrocca “Era una casa molto carina, senza soffitta, senza cucina. Non si poteva entrarci dentro …ma era bella, bella davvero in Via Dei Matti numero Zero”.

Casa di campagna, capanna nido d’amore,  ma anche casa  povera o cella d’alveare sepolta dal cemento, sempre nostro intimo angolo di amore essa è.

Tanto più gli anni scorrono, tanto più il legame con essa si rinforza, fino a farla diventare topografia del nostro essere intimo, allacciata ai ricordi, allo svolgimento della nostra vita, alla memoria dei nostri cari. Per questo motivo, se la salute viene a mancare, diventa fondamentale riorganizzare gli spazi mettendo a disposizione dell’anziano progetti ambientali e ausili che gli consentano di mantenere inalterato il legame con il luogo che lo ha accompagnato tutta la vita.

Norberto Bobbio , nei suoi ultimi anni di vita, lascia questa testimonianza come supporto alla progettazione di servizi di assistenza domiciliare: “la propria casa dà sicurezza. Ti difende dal non conosciuto, dall’imprevisto, dal trovarti in un mondo che ormai, chiuso fra quattro pareti, ti è diventato sempre più estraneo. Tanto più si è vecchi quanto più sono profonde le radici, e quindi tanto più difficile da sopportare lo sradicamento, l’andare altrove, dove ti troveresti spaesato, perderesti la tua identità, diventeresti un numero in mezzo ad altri numeri …”