La vita indipendente o il diritto di sbagliare, come tutti
Scritto da Gaetano De Luca il 26-03-2010
Negli ultimi anni nel mondo della disabilità si è affermato un nuovo concetto: vita indipendente. Si tratta di un termine utilizzato spesso da operatori sanitari, medici, assistenti sociali e dagli stessi disabili. Da qualche tempo il concetto è stato adottato anche da alcune norme di legge, diventando così un valore fondamentale della vita delle persone.
Ma cosa significa vita indipendente?
Il concetto è strettamente collegato al diritto universale all’autodeterminazione di ogni essere umano. Non coincide con il concetto di “vita autonoma”, cioè con la capacità della singola persona di compiere da sola le attività della vita quotidiana, che ne rappresentano perciò solo una parte del vivere in maniera indipendente. Quest’ultima espressione indica invece la possibilità per ciascun individuo di prendere le decisioni che riguardano la propria vita.
Se andiamo a cercare su un vocabolario il termine “indipendenza”, vediamo come questa parola sia un’estensione del concetto di autonomia e significhi: “libertà riconosciuta nell’ambito delle proprie decisioni”.
Insomma, vivere in modo indipendente significa poter vivere come chiunque altro, ovvero avere la possibilità di prendere decisioni riguardanti la propria vita, di pensare e agire liberamente senza subire influenze esterne. Significa anche essere liberi di sbagliare e di imparare dai propri errori, esattamente come le persone che non hanno alcuna disabilità.
La vita indipendente è un diritto umano e in quanto tale costituisce un diritto fondamentale inviolabile.
Le origini del movimento per la Vita Indipendente risalgono alla prima metà degli anni ’60 quando alcuni studenti dell’università di Berkeley, in California, a causa delle loro gravi disabilità venivano alloggiati nell’ospedale del campus universitario in un’ala separata dell’edificio.
Influenzati dal movimento per i diritti civili legato alle maggiori università statunitensi, quegli studenti maturarono la determinazione a non vivere più in ospedale e cominciarono a lottare per poter vivere la vita universitaria alla pari degli altri studenti.
Oggi il movimento per la vita indipendente opera affinché il medesimo diritto venga riconosciuto e garantito come diritto umano e civile e si batte contro ogni forma di discriminazione, opponendosi non solo all’istituzionalizzazione, ma contestando anche l’attuale organizzazione dei servizi pubblici di sostegno che vengono organizzati secondo le esigenze organizzative degli enti stessi e non secondo le esigenze degli utenti.
La vita indipendente è anche un diritto garantito dalla legge italiana e internazionale.
Già nel 1948, infatti, la Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo sanciva che “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti“.
E’ però solo con la Convenzione Onu sui Diritti Persone con disabilità del 13 dicembre 2006 che il concetto viene chiaramente formulato e definito, entrando così a far parte dei principi e valori fondamentali che stanno alla base della tutela delle persone con disabilità.
Nel preambolo della recente convenzione viene espressamente riconosciuta “l’importanza per le persone con disabilità della loro autonomia ed indipendenza individuale, compresa la libertà di compiere le proprie scelte“. La libertà di scelta rappresenta quindi la parola chiave e viene ribadita nell’articolo 19 (intitolato “vita indipendente e inclusione nella società“) dove viene riconosciuto “diritto di tutte le persone con disabilità a vivere nella società, con la stessa libertà di scelta delle altre persone.“.
La Convenzione Onu ci ricorda poi come il diritto alla vita indipendente significhi possibilità di scegliere, su base di uguaglianza con gli altri, il proprio luogo di residenza, scegliere dove e con chi vivere e quindi “non essere obbligati a vivere in una particolare sistemazione“. A livello europeo, il diritto a vivere in modo indipendente è stato sancito con la Dichiarazione di Madrid nel marzo 2002 in occasione del Congresso Europeo sulla disabilità, prevedendo servizi che promuovano la vita indipendente.
Tra questi servizi il primo e più importante di cui le persone con disabilità necessitano per la loro libertà è l’Assistente Personale. Si tratta di una figura professionale nettamente diversa dall’assistente domiciliare o la badante, sia per formazione che per metodi di assunzione e di gestione.
Si tratta infatti di persone preparate e formate a rispettare i principi della Vita Indipendente, tutelate da contratti dignitosi ed equi, assunte in forma diretta dalle persone con disabilità, addestrate dalle stesse persone con disabilità a svolgere le funzioni con esse pattuite.
Soltanto rispettando questi aspetti è possibile organizzare l’assistenza personale in modo da consentire la massima libertà di scelta.
In Italia oggi l’assistente personale può essere ottenuto utilizzando i fondi della Legge 162/1998 che ha introdotto per la prima volta in Italia espressamente il concetto di vita indipendente, consentendo alle persone con grave disabilità di assumere direttamente uno o più assistenti con regolari contratti di lavoro, nell’ambito di un progetto individualizzato.
La concreta possibilità di utilizzare questi fondi dipende dalle diverse regolamentazioni regionali. Occorre pertanto fare riferimento alla propria Regione per capire come utilizzare questo strumento.
l’assistenza personale autogestita, liberamente scelta, evita l’istituzionalizzazione favorendo la domiciliarità e valorizzando le condizioni umane della persona richiedente
Le persone con disabilità hanno infatti le stesse esigenze delle persone non disabili, tra cui vivere in autonomia e in modo dignitoso. Hanno inoltre diritto di fare scelte personali secondo i propri specifici bisogni, hanno il diritto di prendere tutte le decisioni che riguardano la propria vita, a partire dalle decisioni più banali che riguardano la vita quotidiana (quando alzarsi e coricarsi, come gestire la propria abitazione, come muoversi nella propria città) sino alle decisioni più importanti (quali studi seguire, come e dove e con chi impiegare il proprio tempo libero, dove vivere). Tutte queste esigenze possono essere soddisfatte da questo strumento che consente quindi di passare dal ruolo di “oggetto di cura” al ruolo di “soggetto attivo”.
E’ infatti la stessa persona con disabilità che sceglie autonomamente il proprio assistente personale (che può essere un familiare),
ed è tenuta a regolarizzarne il rapporto di lavoro. La titolarità e la responsabilità nella scelta, nella formazione e nella gestione del rapporto di lavoro dell’assistente personale è quindi esclusivamente del richiedente.
Occorre tenere presente, infine, che ciascun piano personalizzato finalizzato ad una reale vita indipendente deve rispettare pienamente le aspirazioni, i desideri, i valori e la morale della persona con disabilità, cui non devono essere fatte pressioni perché scelga una strada anziché un’altra.