Testamento biologico, che cos'è e chi potrebbe utilizzarlo
Scritto da Gaetano De Luca il 28-01-2011
In questi giorni in Parlamento dovrebbe riprendere la discussione del progetto di legge sul testamento biologico. In attesa che il nostro legislatore riesca ad approvare un testo che sia in grado di riflettere gli orientamenti di tutti e che sia davvero nell’interesse dei cittadini, vediamo di capire esattamente in cosa consiste questo strumento e quali sono le ragioni che ne giustificano l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico.
Il testamento biologico consiste in una dichiarazione anticipata di volontà con la quale una persona, nel pieno possesso delle sue capacità mentali e nella piena consapevolezza di ciò che desidera, dà disposizioni in ordine ai futuri trattamenti sanitari nel caso in cui non sia più in grado di decidere per sopravvenuta incapacità.
Il testamento biologico trova quindi applicazione solo nel caso in cui una persona malata, a causa della sua incapacità di intendere e volere, non possa più esprimere il proprio consenso se e come voglia essere curata.
Questo strumento trova la sua ragione proprio nel fatto che, se nella maggior parte dei casi ciascuno di noi è in grado di capire in modo consapevole il tipo di trattamento sanitario cui sta per venire sottoposto (attraverso l’informativa del personale medico) e quindi valutarne gli aspetti positivi e negativi e di conseguenza decidere se sottoporvisi o meno, vi sono situazioni della vita in cui la mancanza di capacità di intendere e di volere non consente all’individuo di decidere.
Ciò significa che il paziente, non potendo esprimersi, finisce per essere sottomesso alle decisioni altrui. E’ allora comprensibile che molti, nella paura di essere sottoposti a trattamenti sanitari che comportino molte sofferenze e non diano alcuna possibilità di guarigione a causa della irreversibilità di alcune malattie, vogliano impedire ad altri di decidere per loro.
Si tratta di tutti quei casi in cui i trattamenti sanitari finiscono per costituire un vero e proprio accanimento terapeutico.
Il testamento biologico dovrebbe quindi consentire a una persona di esercitare il proprio diritto di decidere se e come curarsi anche nel caso in cui si trovasse in una situazione di incapacità mentale.
Per capire bene la ragione di questo istituto, occorre ricordarsi che nel nostro ordinamento giuridico, in virtù di fondamentali principi costituzionali, deve essere garantito il rispetto della volontà di non sottoporsi a terapie inefficaci e utili solo a posporre la propria morte biologica.
Per comprenderne pienamente il senso, il principio da cui occorre partire è pertanto quello secondo cui i trattamenti sanitari sono volontari e non possono essere imposti (principio del consenso informato).
Alcuni giudici che si sono occupati di questi temi, in assenza di una normativa specifica, hanno utilizzato l’articolo 2 della Costituzione come base giuridica della libertà di cura intesa come un diritto fondamentale della persona a tutela della sua dignità.
La nostra Costituzione, poi, all’articolo 13, stabilisce l’inviolabilità della libertà della persona di decidere sugli atti di disposizione del proprio corpo.
Infine occorre citare l’articolo 32, che costituisce la norma costituzionale principale per comprendere pienamente quali siano i principi giuridici fondamentali in questa materia. Essa sancisce che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge“.
In mancanza di una legge vera e propria che ne regoli il funzionamento e per evitare che oggi una persona possa essere sottoposta a trattamenti sanitari non desiderati, si è fatto ricorso proprio a questi principi costituzionali, nonché alle norme della Convenzione di Oviedo del 1997 e alle norme del codice deontologico medico.
La Convenzione di Oviedo stabilisce che “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la propria volontà saranno tenuti in considerazione”.
Il Codice di Deontologia Medica invece sancisce in primo luogo che “in ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona” e successivamente che “il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente“.
Questi principi sono stati utilizzati dalla magistratura per consentire ad alcuni pazienti, oramai in fase di malattia terminale irreversibile e sottoposti a grandi sofferenze, di imporre la loro volontà nel rifiutare trattamenti sanitari considerati un vero e proprio accanimento terapeutico.
l’aspetto critico e drammatico di queste situazioni, che ha portato spesso a spaccare le coscienze dell’opinione pubblica, è che il paziente, prima di divenire incapace, spesso non lascia alcuna dichiarazione scritta di volontà in merito alla futura possibilità di non consentire alcuni trattamenti sanitari.
Nei casi resi celebri dai mass media tale volontà è stata ritenuta presunta grazie a testimonianze dei familiari e delle persone care e su tale presunzione i giudici hanno consentito e autorizzato i medici ad interrompere determinati trattamenti sanitari.
l’importanza di una legge che introduca nel nostro ordinamento giuridico lo strumento del testamento biologico sta proprio in questo: evitare che i sanitari abbiano dubbi sulle vere intenzioni del malato non più in grado di esprimere un consenso consapevole.
Recentemente, poi, vi sono stati anche alcuni giudici che hanno riconosciuto la validità di scritture private in cui una persona, nel designare il nominativo della persona da lui desiderata come amministratore di sostegno, in previsione della propria eventuale futura incapacità, chiede espressamente di non essere sottoposto ad alcun trattamento sanitario in caso di malattie irreversibili e che impediscano una normale vita di relazione.
In questi casi, il giudice ha autorizzato il futuro amministratore di sostegno a rifiutare, in nome e per conto della persona divenuta incapace, i trattamenti sanitari indicati nelle dichiarazioni anticipate depositate presso un notaio.
In altre parole, si è di fatto riconosciuta la possibilità di esprimere, nell’atto di designazione dell’amministratore di sostegno (articolo 408, comma 2 del Codice civile),
delle dichiarazioni anticipate di volontà sui trattamenti sanitari.
Tutto ciò senza il bisogno di ricorrere a una specifica normativa sul testamento biologico, ma semplicemente grazie ai principi giuridici fondamentali già presenti nel nostro ordinamento giuridico.
Questo significa che ognuno di noi già oggi può scrivere un atto in cui, oltre a designare il nominativo di colui che potrà essere il suo futuro amministratore di sostegno, indica anche chiaramente gli accertamenti sanitari cui non vuole in alcun modo essere sottoposto nel caso non fosse in grado di esprimere consapevolmente il proprio consenso. Questa dichiarazione, ovviamente, è revocabile in qualsiasi momento.