Il futuro dell'Italia e gli anziani, la parola all'Istat
Scritto da Alessandra Cicalini il 06-06-2011
Ufficialmente, la crisi economica internazionale è finita nel 2009, ma gli effetti negativi si sentono ancora oggi. A dirlo, è il Rapporto Istat 2010 sull’Italia, reso pubblico a fine maggio. Tra gli aspetti più preoccupanti l’Istituto nazionale di statistica rileva il progressivo indebolimento delle reti di sostegno alla famiglia. A risentirne, sono in particolare gli anziani fragili. Dall’altro lato, però, anche le famiglie con bambini molto piccoli potrebbero nel giro di qualche decennio non avere più il grande aiuto per il momento ancora fornito dai nonni. Quando questi ultimi si saranno trasformati a loro volta in “grandi anziani”, infatti, potrebbe interrompersi il meccanismo di sostegno inter-generazionale che ha retto finora buona parte dell’Italia.
Le osservazioni contenute nel Rapporto sono supportate naturalmente dai numeri. Si legge infatti nel paragrafo della sintesi scaricabile online dedicato alle “Reti informali di aiuto” che dal 2003 al 2009 “è aumentata l’età media di chi presta aiuto (ora pari a 50 anni),
mentre si è ridotto il numero medio di ore che viene dedicato a questa attività”.
Se guardiamo poi agli aiuti formali, si scopre come siano mutate le “direttrici dei flussi”, oggi orientate in prevalenza verso le famiglie con almeno un minore e molto meno verso quelle con “ultraottantenni”. Questi ultimi sono peraltro cresciuti insieme con i relativi “nuovi bisogni di assistenza”. In sintesi, considerano i curatori del documento, “ogni potenziale care giver ha meno persone con cui condividere l’aiuto nella rete di parentela, meno tempo da dedicare agli altri e un maggior numero di persone bisognose di aiuto per un periodo più lungo dell’esistenza”.
In questo scenario, prosegue il Rapporto, diventa particolarmente centrale il ruolo delle nonne, sempre più sovraccariche di impegni. L’Istat le descrive infatti come “schiacciate tra la cura dei nipoti, quella dei genitori anziani, spesso non autosufficienti, e, a volte, dei figli grandi ancora presenti in casa”.
Tutto questo, considerano a fine paragrafo, potrebbe diventare sempre meno frequente, man mano che si allungherà l’età lavorativa anche per le donne.
Per il momento, gli anziani e in generale le persone in condizioni di non autosufficienza che non ricevono alcun tipo di aiuto, né formale né informale, sono nel nostro Paese circa due milioni.
Tra quelli che vivono in famiglia, hanno invece ricevuto nel 2009 qualche forma di aiuto il 29,2 dei nuclei familiari, una quota che cresce in proporzione all’età dell’anziano, pari al 46,9% per le famiglie che ospitano anziani in gravi condizioni e al 61% di quelle con ultraottantenni malati.
Il peso della cura dei “grandi anziani” è più evidente nelle famiglie del Mezzogiorno, in cui si avverte di più la scarsità delle forme di aiuto offerte dallo Stato e altre realtà.
In generale, nel nostro Paese sarebbero circa 700 mila le famiglie di anziani che vivono solo con aiuti pubblici o “un mix di questi ultimi con altri tipi di aiuto”, sottolinea la ricerca, la cui qualità della vita sarebbe messa “seriamente a repentaglio” da “un’eventuale riduzione della spesa sociale”.
Un’osservazione del genere, precisa ancora il Rapporto, potrebbe trasformare gli anziani in “uno dei soggetti sociali più vulnerabili”.
Come uscirne? Il documento si sofferma sulla Strategia Europa 2020, che ha tracciato le grandi direttrici politico-economiche che i Paesi Ue dovranno seguire nel prossimo decennio per stimolare l’occupazione e lo sviluppo sostenibile in tutto il Vecchio Continente.
Composto da cinque punti generali, il programma comunitario si articolerà in Programmi di stabilità e Programmi nazionali di riforma. Su questi ultimi avrà l’ultima parola la Commissione europea, chiamata a svolgere un ruolo di stimolo e censura nel caso in cui i singoli Stati non realizzino gli obiettivi concordati in partenza.
Oltre ai maggiori investimenti in risorse energetiche verdi, in Ricerca e Sviluppo e in generale nel lavoro per tutte le fasce d’età senza differenze di genere, la Strategia europea cercherà anche di ridurre la povertà e l’esclusione sociale, due condizioni in cui spesso cadono proprio gli anziani.
Per ottenere questi risultati, il nostro Paese dovrà, in qualche caso più di altri membri dell’Ue, puntare sul risanamento dei conti pubblici e sul miglioramento nell’organizzazione delle imprese, troppo spesso frammentate e poco attente alla valorizzazione delle risorse umane.
Ce la si potrà fare? Il Rapporto Istat non dà una risposta univoca, anche perché i fattori da considerare sono davvero molti. Una osservazione, però, la mette nero su bianco: “Si ha l’impressione – scrive infatti nelle conclusioni della sintesi – che il nostro Paese non abbia piena coscienza dell’importanza del fattore tempo, soprattutto in un mondo globalizzato popolato di nuovi attori, sempre più rapidi nel riempire gli spazi lasciati liberi da altri”.
Detto in altri termini, il Rapporto indica all’Italia l’unica strada percorribile per il nostro futuro: “La Strategia Europa 2020 può rappresentare l’occasione per strutturare in modo adeguato il dibattito pubblico su come rendere il Paese meno vulnerabile e più prospero”.
Occorrono insomma “decisioni difficili ma lungimiranti, da assumere al più presto“, a tutti i livelli di responsabilità. Il sasso è stato lanciato, speriamo che qualcuno lo raccolga.