Nonna Rachele e i "big book" delle nostre vite

Scritto da Stannah il 26-11-2008

DIARIO SULL'ERBAQuando leggiamo un buon libro, capita di pensare “è scritto così bene che sembra una storia vera!”.
Se poi scopriamo che gli aneddoti narrati sono davvero accaduti, può succedere che l’autore di quelle parole ci diventa carissimo, quasi come fosse un parente che ha voluto condividere con noi le sue esperienze di vita.
Non tutte le autobiografie, certo, possono aspirare agli onori letterari. Tuttavia, scrivere di sé può essere un modo molto intimo per aprirsi di più a chi ci vuole bene.
Oltretutto, sembra che raccontarsi sulla carta abbia anche un notevole valore terapeutico. Lo confermano alcune ricerche scientifiche: tenere un diario come si faceva da ragazze (soprattutto le donne, sì…),
fa bene alla psiche.
E poi c’è un ulteriore aspetto interessante: a distanza di qualche generazione, “il big book” della nostra vita potrebbe parlare a quelli che verranno di un’epoca a loro nota forse solo per averla studiata sui libri di storia. E non c’è modo migliore per conoscere a fondo il passato che leggerlo con gli occhi di chi l’ha vissuto davvero.
Qualcosa del genere succede per esempio nel blog di Nonna Rachele, la nonna più famosa d’Italia, che ha deciso di parlare di sé e della sua vita in uno spazio virtuale affollato come un centro commerciale il sabato pomeriggio!
Nei giorni scorsi l’abbiamo contattata proponendole di “prestarci” un suo racconto per la nostra rubrica “Penne in libertà”: Nonna Rachele ci ha risposto di sì subito, da vera habitué del tempo reale.
Eccola qui, con la bellissima storia di Cheope… sì, una piccola piramide sotto forma di cameriera che la Nonna ha conosciuto davvero. Un ritratto bellissimo, ve ne accorgerete!

Cheope

Portava con dignità il nome che le avevano dato, indifferente al fatto che fosse appartenuto ad un antico Re Egizio o probabilmente nemmeno lo sapeva. Era la cameriera della Contessa; l’avevano assunta a dodici anni ed aveva acquisito i modi raffinati della casa in cui era cresciuta. Era intelligente e passava le ore libere in biblioteca a leggere. Diventò così una vera signorina di buona famiglia educata e gentile oltre che di una bellezza aristocratica. Quando andavo al Castello coi miei genitori a volte la raggiungevo in cucina e chiacchieravamo: provavo per lei una gran simpatia.

Gli anni erano passati e lei era diventata grande e molto graziosa. Nella casa colonica abitavano i contadini; il podere era molto grande e la famiglia composta da parecchie persone. Il ragazzo più giovane era molto bello e cominciò a corteggiare Cheope che ebbe il classico colpo di fulmine. La Contessa l’amava come una figlia, l’avvisò che non era il ragazzo per lei, che era delicata e sposandolo non avrebbe resistito alla dura vita di lavoro che l’aspettava. Fu l’unica volta in cui le disobbedì.
Durante l’estate si sposò felice con il suo Giuseppe!
La Contessa si rassegnò, le fece il corredo e la riempì di regali. La prima sera che tornando dai campi si sedette alla lunga tavola con i suoi acquisiti parenti, la suocera riempì i piatti di minestrone che aveva un buon profumo e lei affamata cominciò a mangiare.

Le imposte erano accostate per difendere la casa dal caldo e dall’eccessivo riverbero del sole. Nella penombra vedeva i cognati che mettevano sull’orlo del piatto i fagioloni neri e non capiva come a loro non piacessero.
Mentre sparecchiava, ebbe modo di osservare meglio quanto era disposto intorno al piatto e scoprì che erano scarafaggi. Soffocò conati di vomito. Cominciò così ad alzarsi nel cuore della notte per lavare di nascosto il pentolone che la suocera metteva sporco sotto il lavandino e si riempiva di scarafaggi e formiche alle quali, quando lo riprendeva, non faceva caso.

Nella nuova famiglia veniva trattata molto male, la chiamavano con ironia “la signorina” e riservavano a lei i lavori più pesanti e repellenti in modo che si abituasse come dicevano le cognate che si sentivano spalleggiate dalla suocera. Questo trattamento non ebbe sosta neppure durante la gravidanza. Non poteva sfogarsi coi genitori e i nove fratelli perché era uscita di casa da tanto tempo che quando andava a trovarli si sentiva un’estranea. La Contessa che la vedeva magra e sciupata la interrogava, ma lei con molta dignità diceva di star bene. Il marito era molto buono, ma appunto per questo non in grado di difenderla. Lo so ci sarebbe voluto più grinta, ma lei non ci pensava nemmeno a ribellarsi.

Tutto andò avanti così finché non vide che anche suo figlio veniva trattato diversamente dagli altri nipoti. Allora prevalse l’istinto della tigre che abbiamo noi mamme nel difendere i nostri cuccioli. Cheope andò a piangere dalla Contessa e vuotò come sul dirsi il sacco, non solo venne consolata ma ebbe la promessa che il suo calvario stava per finire. Parlò col Conte e la sistemarono un appartamentino al Castello e trovarono un lavoro a Giuseppe in una delle prime fabbriche che stavano sorgendo e la famigliola si trasferì.

La povera ragazza emanava felicità!
Ebbe la nomina a giardiniere e custode con un buono stipendio – Cheope rifiorì insieme col giardino, come tutte le cose amate; mentre zappava, trapiantava e innaffiava…. cantava con la sua tenue vocina la ritrovata voglia di vivere. La sua felicità raggiunse il colmo quando le fu possibile mandare suo figlio all’università. Non si sentirono mai da lei parole cattive per i suoi carnefici, restò buona, ma non abbastanza per perdonarli completamente e non rimise più piede in quella casa.
Nonna Rachele

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