Perchè raccontare le fiabe ai bambini
Scritto da Luciana Quaia il 21-12-2011
“Tanto, tanto tempo fa …”, la fiaba era di tutti.
Intere generazioni di adulti hanno amato e sono state affascinate dalla magia dei racconti fantastici che, tramandati a voce, hanno diffuso fino ai nostri giorni il patrimonio della tradizione e i contenuti dell’immaginario collettivo costruiti in secoli di narrazione.
Quando la fiaba diventa dei bambini? E’ tra la fine del Seicento e l’Ottocento che avviene in forma graduale lo spostamento della destinazione della fiaba popolare dal pubblico dei “grandi” a quello dei “piccoli”.
La fiaba, come oggi noi la conosciamo, può essere fatta risalire ai fratelli Grimm che, partendo dalla tradizione orale e dalle fonti letterarie disponibili, iniziano un nuovo genere letterario.
Dalla fine dell’Ottocento la fiaba diventa così il dominio privilegiato dell’infanzia ed è stimolante cercare di capire i motivi per cui ciò accade e perché, ancora oggi, sia importante continuare a raccontare le fiabe ai bambini.
Innanzi tutti sono da considerare gli elementi strutturali del racconto fiabesco. E’ del sovietico Vladimir Propp il merito di aver individuato le funzioni che, nel loro susseguirsi, indicano la composizione e il movimento della trama. Egli, infatti, prendendo in esame cento fiabe dell’antica tradizione russa, osservò che esse attribuivano le medesime azioni a personaggi diversi. Questo gli permise di studiare la fiaba sulla base delle funzioni (precisamene trentuno) dei personaggi rappresentati e verificare che la loro successione è sempre identica e origina il seguente schema: si parte da una situazione di crisi iniziale che determina l’intervento del protagonista. Il futuro eroe intraprende un viaggio per far fronte al pericolo e durante questo viaggio incontra qualcuno che lo sottopone a prove impegnative, in cui forza ed ingegno lo aiuteranno a superarle e ad ottenere una ricompensa magica (bacchette, anelli, lampade, pettini). Grazie a questo dono l’eroe potrà risolvere il problema originario ed essere lautamente ricompensato.
Da questa analisi strutturale emergono alcune caratteristiche che agiscono un’indubbia presa sulla curiosità del bambino. In prima istanza, personaggi e luoghi non possiedono una precisa struttura spazio-temporale. I personaggi, per esempio, appaiono così come vengono nominati, senza eccessivi dettagli descrittivi. Per loro il tempo non esiste: possono risvegliarsi dopo cento anni, senza che nulla intorno si sia modificato, come se fossero inseriti in una dimensione “altra” in cui distanze e profondità non hanno misura. Inoltre la storia si sviluppa attraverso formule e ripetizioni che soddisfano il “conservatorismo” del bambino e il suo gusto per la stabilità, dandogli l’opportunità di memorizzare il testo narrativo secondo una successione ben scandita.
E’ opportuno a questo punto presentare una breve sintesi del meccanismo evolutivo del pensiero del bambino che, tra i tre e i cinque anni, è del tutto oscillante tra realtà e fantasia, tra mondo interno ed esterno.
In questa fascia di età, la struttura mentale del piccolo non possiede ancora la capacità di astrazione: mentre riesce a compiere catene associative usando immagini, non è ancora in grado di elaborare concetti astratti e collegarli fra loro con nessi logici.
l’animismo infantile attribuisce agli oggetti vita propria e intenzionalità e quindi l’universo intero possiede le stesse leggi del comportamento umano ( “di notte il sole va a nanna”). Scrive Jean Piaget nella sua opera “Lo sviluppo mentale del bambino” : “animismo e finalismo esprimono una confusione o una mancanza di distinzione fra il mondo interiore o soggettivo e l’universo fisico”.
Questa necessaria digressione ci aiuta a contrastare alcune critiche mosse da studiosi ed educatori sul fatto che le risposte date al bambino attraverso la fiaba non corrispondono a realtà e che pertanto la fantasticheria rappresenta un valore diseducativo.
un’autorevole replica a tali giudizi viene fornita dallo psicologo Bruno Bettelheim, il quale sostiene che dichiarare “false” le informazioni fiabesche risponde ad una logica di adulto abituato al proprio ragionamento razionale e che vuole comunicare al bambino la stessa visione del mondo percepita con i suoi occhi.
Ma il bambino non è un adulto in miniatura e le migliori spiegazioni per lui accessibili sono quelle che fanno uso di immagini. E’ questa l’età dei continui “perché?” che tanto imbarazzano l’adulto, più preparato a rispondere sul “come” avvenga un certo evento.
Il piccolo non recepisce le spiegazioni razionali, mentre, al contrario, ama la fiaba in quanto soddisfa il suo desiderio di sapere il perché: se il gatto indossa gli stivali è perché deve correre più veloce, poco importa sul come un gatto possa trovare stivali adatti alle sue zampe; se il ranocchio diventa un principe è perché la principessa l’ha baciato e non c’è nulla di stravagante sul fatto che un animale diventi uomo.
Infatti nelle fiabe tutti parlano o fanno cose strane: piante, animali, astri, oggetti …, ma questo non sorprende il bambino, in quanto lui stesso è convinto che questa sia la realtà del mondo. l’elemento prodigioso è del tutto ovvio e poichè presupposto della fiaba è credere a ciò che essa racconta, ecco che pensiero infantile e pensiero magico si fondono diventando un’unica realtà.
Un altro motivo che rende consigliabile la narrazione della fiaba è il suo valore psicologico.
Abbiamo visto poco sopra come Propp abbia rilevato la ripetitività delle funzioni narrative, individuando in esse addirittura i residui dei riti di iniziazione espressi nelle società totemiche.
Sul piano psicologico, il grande potere della fiaba è quello di includere come elementi vitali le parti negative dell’animo umano, dando loro un volto immaginario, una forza e una motivazione per agire. Mediante la concretizzazione del male, essa riesce anche a definire il suo superamento.
Se paragoniamo la fiaba a un sogno ad occhi aperti, vediamo che nelle sue immagini si rispecchiano le trasformazioni simboliche di angosce primitive che sono ben presenti nell’universo infantile (separazione dai genitori, solitudine, disobbedienza, paura) e che se nella realtà è impossibile la realizzazione di desideri inconsci, nella dimensione fantastica questo può verificarsi.
Tutte le fiabe raccontano di un problema, a volte anzi si tratta di problemi che sfiorano la tragedia: orchi che mangiano le figlie, genitori che abbandonano i bambini, mostri che divorano gli eroi, ma contemporaneamente, accanto al problema, la fiaba offre anche situazioni e personaggi che aiutano i malcapitati a trovare una via d’uscita dalla disgrazia. Siamo in questi casi di fronte a fiabe che propongono una “pedagogia della riuscita”, cioè una vittoria sul male.
Un ulteriore fattore di rilevante influenza è la modalità con cui si racconta una fiaba: essa ha più valore se viene letta ad alta voce, poichè determina un diretto rapporto comunicativo nella diade adulto-bambino.
Diversamente dalla forma scritta, la voce del lettore può arricchire il testo sia dal punto di vista dell’enfasi (tonalità della voce),
sia dal punto di vista delle sottolineature di passaggi importanti, creando quindi una particolare atmosfera che rassicura e protegge il bambino.
Anche Gianni Rodari osserva nel suo celebre “Grammatica della fantasia” come la fiaba sia per il bambino “lo strumento ideale per trattenere con sé l’adulto” e come “Il bambino sia interessato non solo alle forme dell’espressione, ma alla sostanza dell’espressione, cioè alla voce materna, alle sue sfumature, volumi, modulazioni”.
Se consideriamo infatti che luogo e momenti ottimali per la lettura della fiaba sono quelli della messa a letto, nella “bolla” che si viene a creare nell’intimità della cameretta bambino e adulto si ritrovano a stretto contatto, e il primo si può totalmente affidare alla magia del racconto.
In questa bolla senza tempo, il bambino si immerge, abbandonandosi alle scene magiche, identificandosi in esse e trovandovi soluzioni utili per la sua crescita psicologica.
E allora, nonni, mamme, papà, seguiamo il suggerimento di Elisabetta Fara e adottiamo il rituale suggerito nel suo “Crescere con i bambini” : “Non rinunciate a sedervi accanto ai vostri bimbi, la sera mettendoli a nanna, per raccontare loro una fiaba! Essa ha il potere di unirvi in una dimensione che trascende quella usuale, di fugare le paure, di cancellare il ricordo delle eventuali burrasche che possono avere amareggiato alcuni momenti della loro e della vostra giornata, di rasserenare perciò, voi e loro”.