Vertice di Copenhagen, quando il clima "scalda" gli animi
Scritto da Alessandra Cicalini il 02-12-2009
La fotografia dell’orso polare su uno sperone di ghiaccio ha fatto il giro del mondo: l’immagine è stata scelta da Al Gore, l’ex candidato alla Presidenza Usa nonché autore del film “Una scomoda verità”, per illustrare la propria campagna contro il riscaldamento globale, ma in questi giorni è stata ripresa molte volte dai media per illustrare il Vertice sul clima che si tiene a Copenhagen dal 7 al 12 dicembre.
Si tratta di un summit dai contenuti veramente “caldi”: anche se l’innalzamento delle temperature che ha prodotto, tra gli altri effetti, lo scioglimento dei ghiacci nei Poli, è un dato di fatto evidente, non tutti i Paesi partecipanti al vertice danese sono concordi sugli effetti del fenomeno nel lungo periodo. L’effetto serra, insomma, c’è, l’inquinamento da CO2 pure, però non tutti credono che la Terra sia destinata a surriscaldarsi sempre di più. Non ci credono, per esempio, alcuni scienziati, ma soprattutto in molti scarseggia la fiducia sulla capacità del Vertice di Copenhagen di far fronte al problema. Originariamente, infatti, l’evento danese doveva essere l’occasione per rinnovare il Protocollo di Kyoto, stilato nel lontano 1997 e ratificato dai 160 Paesi aderenti in date anche molto distanziate l’una dall’altra (in Italia è entrato in vigore soltanto nel 2005). Con ogni probabilità, invece, il summit prenderà altre strade, intanto perché gli Stati Uniti, che non avevano mai ratificato l’accordo giapponese, avrebbero intenzione di proporre una strategia alternativa; in secondo luogo, perché “fuori da Kyoto” sono anche Cina e India, ai tempi considerati Paesi in via sviluppo, oggi tra le Nazioni a più alto dinamismo economico.
Sulla carta, in ogni caso, l’oggetto centrale della discussione verterà sul contenimento, fino al 2012, dell’innalzamento della temperatura della Terra di massimo due gradi. Dopodiché, dovrebbero entrare in vigore le nuove linee sulle emissioni di CO2, secondo il nuovo accordo sperabilmente raggiunto nella capitale danese. Per ottenere un risultato all’apparenza così modesto, bisogna comunque che entro il 2050 i Paesi firmatari riducano le quantità di anidride carbonica in atmosfera di ben il 40-50%, come già stabilito a Kyoto. Non essendo però tutti d’accordo sugli effetti prospettati dal Protocollo di fine anni Novanta, è facile immaginare con quanta tensione si stanno preparando a partire i rappresentanti degli Stati in cui sono già visibili gli effetti dell’innalzamento delle temperature: di Bernaditas De Castro Muller, battagliera negoziatrice filippina dei 130 Paesi in via di sviluppo del “Gruppo G77 più Cina” parla un lungo articolo del “Guardian” tradotto dal settimanale “Internazionale” nel numero di fine novembre. La diplomatica ritiene che cestinare del tutto il Protocollo di Kyoto in favore di uno che comprenda anche gli Stati uniti, ora fautori della “green economy”, sia un nonsenso diplomatico: il documento finora in vigore impone degli obblighi giuridici – afferma – per cui, una volta eliminato, “che cosa ci resterà in mano?”, si domanda.
Si tratta di una questione delicata, cui difficilmente si potrà dare una risposta univoca. Di certo, vale la pena approfondirla affidandosi a chi ne sa più di noi: su “Domenica” del Sole 24Ore del 29 novembre scorso, c’è un’intera pagina riservata ai libri sui mutamenti climatici. Tra questi anche l’ultima fatica dello stesso Al Gore (cui un giovane creativo ha dedicato un rap molto originale),
edito in Italia da Rizzoli, con il titolo “La scelta. Come possiamo risolvere la crisi climatica”. Infine, anche la Rete è un’ottima alleata: basta guardare i blog e i siti specializzati in tematiche ambientaliste per capire la portata dell’evento di Copenhagen.