Angela Garioni: la Audrey Hepburn della bassa Lodigiana
Storia di Angela
La signora Angela, elegante e raffinata, vive nella Bassa Lodigiana, in quell’estremo lembo meridionale della pianura lombarda dove sorge Guardamiglio, laggiù nell’ansa più profonda e più larga che il Po forma nel territorio lodigiano. “Ardor Aemilii” il console romano che soggiogò i Galli, o “Ad quartum miliarum” da Piacenza o ancora (con meno suggestione però, bisogna ammettere) il miglio che una volta veniva coltivato nei campi dintorno, queste secondo gli esperti, potrebbero essere le radici del nome della cittadina. No, non sono d’accordo. Il nome del paese invita ad una seconda, più profonda e attenta occhiata. Appunto: “Guarda mei” – guarda meglio – perciò, obbedendo all’ingiunzione della località in cui mi trovo, a meglio guardare, la signora che si presenta come Angela, mi ricorda davvero Audrey Hepburn.
Ancora non so niente della signora: l’ho appena incontrata. Il suo portamento, la sua eleganza denotano grande classe proprio come la celeberrima e sensibilissima attrice. Scoprirò poi che anche la generosità, l’abnegazione, il grande cuore che Audrey dimostrò lavorando per l’Unicef, appartiene anche alla mia ospite, su un livello più privato ma di certo non meno significativo.
Intanto mi riceve nella sua cascina e per prima cosa mi parla della sua famiglia: invitata a raccontare chi sia, si schermisce, glissa. “Mio fratello Anacleto, membro dell’ANTE, l’Associazione Nazionale del Turismo Equestre, è stato un appassionato cavallerizzo. Ha organizzato e partecipato ad iniziative importanti quali, ad esempio, il Rally della Nebbia, a Pavia. In occasioni come queste venivano organizzate delle tappe con i cavalli nelle cascine grandi e Dosso era di solito la prima tappa. Tale è stata la sua passione per i cavalli che Anacleto è diventato anche Gran Cerimoniere e nella sua funzione ha partecipato a tanti concorsi. È perfino andato nel Kent per la caccia alla volpe”. In fondo – penso – anche il Kent, il giardino d’Inghilterra, rappresenta una zona ai margini dell’isola britannica, stretto com’è fra il Sussex ed il mare, a sud est di Londra, costretto a rappresentare la frontiera della Britannia. Fin da prima dei Romani su quelle terre si avventarono i germani e quando Roma cessò di esistere, Vichinghi e Danesi imperversarono. Successivamente il territorio il cui stesso nome significa confine, fu pedina importante negli sconvolgimenti sociali e politici. Mi sembra così di ritrovare anche nella storia esperienze comuni per questi territori, il Kent e il Basso Lodigiano, apparentati nelle lotte patite e nelle sofferenze attraversate.
Per la verità una certa aria d’Inghilterra mi sembra di respirarla in questa cascina solida e accogliente dove vengo ricevuto con calore dalla mia ospite: un po’ per la campagna verde e lussureggiante, di certo per lo stile raffinato ed il temperamento misurato, pieno di classe della signora Angela.
L’infanzia lontana da casa: Angela in collegio.
Adesso mi racconta della sua infanzia: i suoi genitori erano una coppia unitissima, solida, mi dice. I loro valori di riferimento ed i principi cui s’ispirava l’educazione impartita, erano d’antica e consistente tradizione. Da sempre veniva rispettata una regola diventata prassi di vita: l’educazione scolastica deve avvenire lontano dalla città in cui si risiede. Per cui Angela frequentò le elementari presso un collegio di suore a Piacenza. Quando fu iscritta alle scuole medie abitò presso gli zii Visconti, persone eminenti in Piacenza: lo zio Giuseppe fu anche sindaco di quella città nell’immediato dopoguerra. Nella famiglia Visconti si coltivava una passione sfegatata per la musica classica che contagiò Angela al punto che avrebbe voluto fare il conservatorio. Cominciò infatti a studiare il pianoforte per poi concludere i suoi studi al Gazzola, celebre istituto d’arte piacentino.
Neanche ventenne si trasferisce a Milano invitata da una sua cugina (sì, proprio una ragazza della famiglia Visconti) che s’era sposata là con un impresario edile dal gagliardo spirito imprenditoriale. Siamo in pieno boom economico. A Milano negli anni sessanta è concentrato quasi un quarto del capitale economico del Paese, l’immigrazione dal sud è continua e sistematica perché il lavoro abbonda e la vita impazza. In questi anni i giovani sono attivissimi e alcuni fra loro, favoriti dalle migliori condizioni sociali, hanno occasioni di stringere vivaci relazioni con persone in vista. Così Angela conosce e stringe amicizia con Renata, la figlia dello straordinario Antonio Ghiringhelli, che fu sovrintendente della Scala dalla fine della guerra fino al 1972, facendo di quell’istituzione un simbolo della rinascita italiana. Angela che aveva studiato disegno artistico è naturalmente portata all’arte figurativa e il mondo della moda in pienissimo fervore ricerca assiduamente tecnici e artisti che sappiano accompagnare e promuovere la spinta creativa dell’alta sartoria. Le regine indiscusse sono le sorelle Fontana, Jole Veneziani e Biki. Già: da Roma le sorelle Fontana ancora negli anni cinquanta introducono l’uso di pubblicizzare i propri modelli appena lanciati, facendoli indossare a signore molto in vista in occasione di ricevimenti mondani. Mentre a Milano furoreggiano le figure di Jole Veneziani per la quale creare un modello significa proprio “dare lo chic” e poi Elvira Leonardi Bouyeure, in arte Biki, il cui atelier milanese è stato frequentato anche da Maria Callas. Già questi nomi ci fanno penetrare nell’esclusività di un mondo rarefatto, in cui la moda è ben più del semplice abbigliarsi, vuole esplicitare quel senso che si dà alla vita, pretende d’identificare un proprio stile di vivere.
Milano capitale della moda negli anni 50: Angela lavora come figurinista e indossatrice.
Insomma, l’ambiente elegante, raffinato e dinamico attraggono Angela che si cimenta come figurinista per poi venir coinvolta sempre di più e poi, grazie al suo talento naturale, diventa un’indossatrice apprezzata ma (è proprio il caso di dirlo), indossa quella professione con una certa nonchalance, sembra non prenderla troppo sul serio: “Prendevo la cosa con leggerezza sapevo che non sarebbe stato il mio lavoro”, mi dice.
In quel periodo è invitata in molte occasioni mondane e ricevimenti sofisticati: alla Terrazza Martini per esempio le capita una sera di condividere la tavola con Indro Montanelli e Mario Cervi. L’ambiente è effervescente, accattivante e suggestivo tanto quanto lontano dalle abitudini e dalle tradizioni familiari dei genitori di Angela che la osservano da distanza; non apprezzano le sue scelte ma le rispettano perché sanno che merita tutta la loro fiducia.
In questa vorticosa attività Angela soggiorna per due settimane a Zurigo dove nella Kongresshaus erano state programmate una molteplicità di sfilate di case di moda in cui era impegnata. Terminato il suo compito d’indossatrice, fuggiva gli inviti serali per correre ad ascoltare i concerti che, alla Tonhalle, si susseguivano sotto la direzione di grandi Maestri. Angela mi racconta che a quell’epoca si sentiva “una donna in fuga”. Questa vita così turbinosa ed impegnata subisce però all’improvviso una brusca interruzione. L’imponderabile, l’impensabile le piomba addosso quando ormai, con tutti i documenti pronti sta per recarsi in Australia, a Sydney per l’inaugurazione dell’Opera House. Da casa le richiamano perché la mamma s’è ammalata gravemente di un morbo che non dà scampo.
L’imponderabile accade: la mamma si ammala, Angela torna a casa. Deve occuparsi dei fratelli minori.
Così lei poco più che ventenne si trova ad essere il sostegno del padre affranto e sconvolto dalla terribile perdita: gli è crollato il mondo addosso, non riesce a farsene una ragione. E poi ci sono i suoi tre fratelli tutti più piccoli da accudire, proteggere, sostenere: in breve si trova all’improvviso circoscritta e ristretta in un contesto che non ha più nulla della spettacolarità della vita precedente. E neppure, c’è da immaginarlo, la spensieratezza. Adesso non le spetta più il compito di prestare il suo fascino e la sua avvenenza ad abiti splendidi e raffinati indossandoli con grazia per far sognare le clienti delle grandi sartorie. Da adesso diventa il perno della casa, il riferimento della famiglia, il fulcro su cui tutto s’innesta, la base sicura per tutti. Deve dimenticarsi di sé e forse mortificare i propri desideri per riuscire nell’impresa di tenere compatta e resistente la famiglia che adesso s’appoggia tutta a lei.
“Com’è andata? Li ho portati tutti all’altare” conclude serena. Questa affermazione tanto perentoria quanto essenziale, esplicita il risultato dell’impegno che ha profuso. Angela non s’è limitata a sperare di farcela, non ha professato solo delle buone intenzioni, le ha attuate alla luce di un ben ponderato e concreto progetto di vita. Per dieci anni si è dedicata a valorizzare il proprio talento artistico decorando preziosi vetri di Murano e altre suppellettili in ceramica che un’importante azienda d’oggettistica piacentina le affidava. Angela ricorda con particolare soddisfazione un’enorme parete in vetro che quella ditta le commissionò per soddisfare l’estrosa richiesta di un emiro.
Il presente: una cascina tra fiori, cavalli, gatti e cani. E un orgoglio: “I miei fratelli? Li ho portati tutti all’altare”.
Adesso vive tra i suoi fiori che coltiva appassionata e di cui si circonda in questi spazi accoglienti e caldi. Ha partecipato a corsi di botanica, ama circondarsi di animali mentre i suoi fratelli hanno potuto occuparsi chi dell’azienda di famiglia (Carlo), chi s’è impegnato in banca (Anacleto) e chi, come la sorella minore (Mariella), ha preferito fare la mamma. Nella loro vita dinamica si sono affacciate anche figure molto famose dello sport italiano. Il calcio e il baseball hanno rappresentato da sempre nella famiglia fattori d’attrazione formidabili. Sport vissuto e praticato anche ad elevati livelli agonistici, non solo visto o seguito come capita alla maggior parte dei sedicenti sportivi.
Angela ama raccontare dei propri fratelli, dei loro figli, delle loro vite, dei loro successi e delle loro speranze. Della propria vita Angela riesce a farmi percepire il senso dell’interiorità, della ricchezza di una vita spesa per dedicarsi con generosità ai suoi cari. Non leggo rammarico, rimpianto, senso della perdita. Ancora una volta mi viene d’accostarla ad Audrey. Una volta qualcuno chiese alla Hepburn della guerra che lei visse in Olanda occupata dai nazisti. Per gli olandesi la liberazione si compì il 4 maggio del 1945, Audrey compiva sedici anni. Ricordando le sofferenze patite durante l’occupazione nazista e il sollievo provato alla liberazione l’attrice disse: “La libertà è qualcosa che si sente nell’aria. Per me è stato sentire i soldati parlare in inglese invece che in tedesco e l’odore di vero tabacco che veniva dalle loro sigarette”. Angela avrà mai potuto percepire una sensazione simile? Le saranno mancate le sfilate? Quanto le avrà pesato la solitudine? Il senso profondo della sua vita tuttavia mi pare di coglierlo in tutti questi fiori, perfino nel piccolo pincher che la cerca in continuazione o in tutte le fotografie che la circondano distribuite nelle diverse stanze. Qui si respira la libertà d’aver operato con tutte le proprie energie per salvaguardare il benessere dei propri cari ed assicurare loro la maggiore serenità possibile.