Che ci fa Eta Beta in un’antica cartoleria di via Canonica 72?

“Sai Alfredo, Via Canonica a Milano mi fa subito venire in mente Enzo Jannacci.”

“Eh già. Il 30 dicembre del 2020 il Comune al civico 41 di questa strada ha fatto mettere una targa che ricorda il grande artista milanese.

A Jannacci l’Amministrazione aveva già dedicato una targa in via Lomellina, proprio all’angolo con via Sismondi per celebrare ‘Io ho visto un uomo’. C’è poi un murale a opera dell’artista cubano Danis Ascanio sul ponte ferroviario di viale Corsica come omaggio alla meravigliosa ‘El portava i scarp del tennis’. Un altro murale c’è anche a Rogoredo per ricordare l’omonima ballata. E infine in piazzale Susa e in piazza Martini si ricorda ‘La forza dell’amore’ che il nostro compose col premio Nobel Dario Fo.”

“Te la ricordi ‘Veronica, il primo amore di tutta via Canonica’, vero?” “Come no? Veronica che diceva sempre voglio farmi monaca ma intanto bestemmiava contro ai prè! e che amava sol la musica sinfonica ma la suonava con la fisarmonica. Quella stessa Veronica, generosa amante che ‘dava il suo amor per una cifra modica al Carcano, in pè’. Veronica per i ragazzi di allora ‘era l’America’. Eppure, tenerissima, fingeva lacrime e rossore prima di concedersi: ‘con te non c’era il rischio del platonico, Veronica con te!’

“Grande Enzo. Mi dicevi che Jannacci talvolta è venuto in cartoleria da te, vero?” “Sì, ma non è l’unica persona famosa che negli anni m’è capitato di servire: fra i cantanti veniva Jovanotti che abitava da queste parti. Fra gli scrittori, per citarne qualcuno che vive in zona, Fabio Volo e fra le grandi personalità perfino Umberto Eco, un cliente storico che spesso s’affacciava da me, soprattutto quando risiedeva in via Melzi d’Eril.”

“Qui siamo già praticamente ai giorni nostri. Ma la tua cartoleria so che è molto più antica.” “Infatti. La cartoleria nasce addirittura nel 1946. Il negozio fu aperto da due signore nell’immediato dopoguerra. I miei genitori lo rilevarono nel 1956.” “Ci avviamo a compiere cent’anni eh Alfredo? Mi sembri in gran forma però.” “Uhm: il segreto è cambiare. Ovviamente non solo: conta l’impegno, la dedizione e la passione. Sai io lavoro sette giorni su sette perché se i clienti non li segui, li perdi. Devi saper offrire loro sia l’ampiezza sia la profondità di gamma. E questo non è un lavoro semplice. Il passa parola è fondamentale. Quindi da una parte premio la fedeltà del cliente con un’apposita carta; dall’altra lo incuriosisco con le novità che scopro alle fiere di Francoforte, di Parigi, di Londra.” “E dal 1946 la cartolibreria Scotti ha sede qui, in via Canonica 72, dunque.” “In verità no. Il negozio in origine non era stato inaugurato qui.” “Ah no? E dove allora?” “A due passi da qua: in via Moscati, hai presente? più o meno nei pressi dove ora c’è il garage.” “Certo, e poi avete aperto qui?” “C’è stata ancora un’altra tappa intermedia prima. Nel 1962 il negozio si trasferì in via Canonica proprio qui di fronte, dove ora c’è un parrucchiere.” “In che anno apriste qui, al civico 72?”  “Nel 2000. L’intero caseggiato, originario del Seicento, avrebbe dovuto essere buttato giù, ma per fortuna c’è stato un grande e provvidenziale intervento di recupero.” “Così nella ristrutturazione hai creato questo ambiente?”

“In realtà proprio in questo luogo c’era un ristorante, ormai però chiuso da anni. Era abbastanza ampio: oltre agli ambienti che vedi, occupava anche lo spazio dove ora c’è la tabaccheria qui accanto a noi.” “L’affaccio sulla strada immagino però fosse diverso.” “Hai ragione. Dove ora ci sono le due vetrine fronte strada, all’epoca c’erano due finestre, evidentemente più funzionali all’esercizio del ristorante.”

“Chi stava in negozio quando tu eri ancora bambino?” “I miei genitori. In particolare, ho un chiaro ricordo mia madre che, fra parentesi, proprio questo ottobre compirà 95 anni. Sai? fino a non molto tempo fa presidiava il negozio, servendo i clienti. La mamma, proprio agli albori dell’attività, aveva una specializzazione: ti ricordi quando andavamo a scuola noi?” “E come no! Pur se nell’ altro secolo era comunque dopo Cristo, no?” “E ti ricordi anche con che cosa scrivevi?” “Certamente. Con la cannuccia prima di legno, qualche anno dopo di plastica. In fondo c’era una punta di metallo con un taglio verticale, il famoso pennino. Ce n’erano tantissimi modelli, mi ricordo, che servivano per i diversi tipi di scrittura: a foglia, a torre …” “Bravo, mia madre cuciva i pannetti che occorrevano per asciugare i pennini dopo l’uso, prima di riporli nell’astuccio.”

“Questa osservazione che fai adesso, sull’ordine nel conservare le cose, mi fa notare l’organizzazione del tuo negozio.” “Cioè?” “Questo negozio è studiato in ogni minimo dettaglio: qui ogni spazio è valorizzato. Sai, mi fa venire in mente un sottomarino dove, per ovvie esigenze, ogni particolare è studiato per consentire ai sommergibilisti di avere tutto sotto controllo e a portata di mano senza quasi avvertire la mancanza di qualche oggetto fondamentale per la qualità e la sicurezza della propria vita.” “Non so: a me invece viene in mente Eta Beta” “Chi? L’omino del futuro? Quel buffo esserino che non proiettava la propria ombra, aveva capacità telepatiche, mangiava naftalina e dormiva sui pomoli dei letti?” “Proprio lui.” “Certo che l’ho presente. Ma che c’entra col tuo negozio?” “Se ti ricordi, la cosa più curiosa del suo abbigliamento era quella specie di gonnellino che indossava. Bene: aveva delle tasche da cui poteva estrarre, un po’ come Mary Poppins dalla sua incredibile borsetta da signora, oggetti immensi tipo degli elicotteri o delle imbarcazioni.” “Questo proprio non me lo ricordavo.” “Un’altra cosa: Eta Beta aveva inventato l’Atombrello che quando lo aprivi proteggeva da tutto, perfino dalla bomba atomica.”

“Neanche questo mi ricordavo. Però ora mi viene in mente che Eta Beta aveva un animale da compagnia da cui non si separava mai: Flip, mi pare si chiamasse.” “Sì, proprio Flip. Una bestiola assurda: un misto di cane, gatto, volpe, zebra, drago, orso e rana che si nutriva di manzanilli, visibili soltanto a lui e comunque mangiava solo una volta all’anno.” “Beh, vedo che sei ferratissimo in materia. Ma spiegami che c’entra Eta Beta con l’organizzazione del tuo negozio, per piacere.” “Mi sembra chiaro: Eta Beta non aveva uno scheletro così come il mio negozio non ha una struttura rigida. Tutto è a libero accesso secondo un criterio ed un ordine che mi consente di avere in poco spazio non dico la possibilità di far uscire da un cassetto un elicottero ma di certo tutto quello che serve in un assortimento vasto e profondo.” “E i manzanilli?” “L’ineffabile, l’inespresso, le richieste non esplicitate …” “Intendi dire l’attenzione a soddisfare le esigenze del cliente anche quando queste non sono espresse?” “Esatto, proprio quelle.”

“Ma spiegami un po’: com’è che sei diventato cartolaio?” “E’ una bella storia e come tutte le storie c’è della casualità.” “Che intendi dire?” “Lasciami partire dall’inizio. Mio padre rimase orfano a dieci anni. È a suo padre, a mio nonno cioè, che devo il nome che porto. Mio nonno che era stato un pilota di arei da combattimento, aveva volato con Francesco Baracca, si chiamava Alfredo e in suo onore o forse come auspicio per me, i miei genitori m’imposero questo bel nome che ho scoperto significa ‘nobile e saggio nella pace’. Il nonno viveva in una grossa zona agricola, faceva il mezzadro. Doveva essere proprio un bel tipo. Di certo uno all’avanguardia, uno che amava sperimentare. Fu tra i primi ad introdurre la musica nelle stalle per favorire nelle mucche la produzione del latte. Non solo: si preoccupò anche di mettere un abbeveratoio elettrico in quell’ambiente dove allevava più di duecento mucche. Mi ricordo quand’ero bambino e lo ascoltavo affascinato quando mi raccontava delle sue esperienze.”

“Anche tuo padre lavorava in campagna?” “Mio padre s’occupò di mille cose: fece anche il guardiano delle mondine ad Opera. A un bel momento suo zio, notaio ad Abbiategrasso, gli indicò un negozio in via Moscati che sarebbe stato bene lui comprasse. E mio padre, senza saperne nulla di cartoleria, lo comprò. A lui piaceva moltissimo stare in negozio: ma anche a me. Nella nostra storia di famiglia c’è una data importante che segna il mio ingresso ‘ufficiale’ in bottega.” “E qual è?” “Ti ricordi Papa Luciani?” “Uno dei papati più brevi mai registrati.” “Sì, fu eletto il 25 agosto del 1978 e morì poco più di un mese dopo, il 29 settembre.” “Bene, e allora?” “Fu quello il giorno in cui mio io iniziai ufficialmente a lavorare in negozio.” “Una coincidenza, no?” “Certamente, ma quella coincidenza per me è legata ad un ricordo significativo: quel giorno, andando a fare le consegne ed una signora presso la cui abitazione m’era recato, questa mi fa: ‘Ti piace?’ e io prima ancora che lei finisse la frase, pensando a che volesse informarsi se mi piacesse o meno stare in negozio, m’affrettai a rispondere entusiasticamente di sì. In realtà la signora proseguì la conversazione chiedendomi se mi piacesse Woytila, il nuovo papa.”

“Certamente il tuo negozio si connota per il dinamismo e la modernità: è una tua precisa impronta, vero?” “Il negozio già con mio padre offriva servizi d’avanguardia: la fotocopiatrice a carta comune la inserì già dagli anni ’70. Poco più tardi mise a disposizione della clientela un fax.  Ma la cosa che merita d’essere sottolineata è che riuscì perfino a convincere l’Invicta a fare zaini per gli scolari.” “Beh, non mi sembra una cosa così eccezionale.” “Ti sbagli. L’Invicta all’epoca faceva zaini professionali per le escursioni e i grandi viaggi avventurosi. Mio padre assieme al Consiglio Nazionale Federcartolai di cui faceva parte, capì il potenziale dello zaino scolastico e tanto s’impegnò che convinse il management della società a gettarsi in questa impresa.”

“Perbacco, ecco da chi hai preso questo spirito d’iniziativa e d’inventiva. A occhio avrai qualcosa come ventimila referenze, mi sbaglio?” “Per nulla. Ho delle buone radici. Questo mi ha permesso d’avviare iniziative originali. Nel 1986 chiesi al Touring Club di diventare una loro succursale, proponendo non solo la vendita dei libri e delle cartine e mappe geografiche edite da loro, ma di farmi diventare una vera e propria loro sede distaccata, una specie di sub agenzia in cui i clienti potessero rinnovare l’abbonamento all’Associazione. L’esperienza in questo settore un po’ ce l’avevo già grazie a mio padre che aveva introdotto la vendita delle Guide del Gabbiano.”

“Quindi oggi la tua offerta spazia dalla vendita dei libri scolastici alla letteratura e alla saggistica che tu ami consigliare ai tuoi clienti, pur mantenendo una specializzazione nell’ambito dell’editoria turistica?” “Sì ma non solo. Se ti guardi intorno vedi che propongo anche tutta una serie di articoli da regalo, per non parlare della cancelleria per ufficio e i biglietti che accompagnano l’intera esistenza di una persona: quelli tipici per battesimo, compleanno, fidanzamento, matrimonio, festa di laurea, fino a quelli di commiato.” “Chi sono i tuoi clienti?” “Tutte le generazioni si avvicendano nel mio locale: alcuni clienti hanno cominciato a frequentare la Cartolibreria Scotti che erano ancora molto giovani: taluni addirittura venivano accompagnati ancora dai loro genitori. Oggi mandano da me i loro nipoti.” “E da un punto di vista culturale, qual è il tuo cliente tipo?” “Sicuramente persone curiose, appassionate di viaggi e di buone letture che in fondo rappresentano un’altra modalità di viaggiare. Certo mi è anche capitato di sentire qualche strafalcione!” “Tipo?” “Una volta uno mi chiese: ‘Vorrei il ‘Fu Mattia Pascal’ di Giovanni Verga, ce l’ha?’” “E tu che cosa gli rispondesti?” “Gli presentai il libro, ovviamente di Luigi Pirandello, senza fare un plissè. D’altra parte, il mio mestiere è accontentare il cliente, mica muovergli rimproveri o squalifiche!”

“T’è capitato qualche altro cliente che ha avanzato delle richieste, come dire, buffe?” “Bah! Tu sai che ho una buona gamma di penne stilografiche.” “Sì, certo.”  Ebbene, un giorno un signore, tutto compunto, prova la penna su uno scartafaccio e poi mi fa: quanti chilometri scrive questa penna?” “Ho preso un foglio A4 che è largo circa una ventina di cm. Gli ho chiesto quante righe di solito scrive per facciata e quando m’ha detto ‘Dipende’, gli ho risposto anch’io lo stesso.” “E lui?” “S’è messo a fare i calcoli: se un rigo è pari a venti centimetri e, diciamo, scrivo venti righe per pagina, vuol dire che in una pagina ci stanno 400 centimetri e in cento pagine 40.000 centimetri, sicché…” “Com’è andata a finire?” “Ha comprato la penna, uno stock di cartucce e … una calcolatrice.”