Chiara, Luigi e il B&B che s’affaccia sul “mare” umbro

Arrivare di notte

All’alba di quella che si rivelerà una lunghissima giornata, mia moglie ed io ci imbarchiamo con l’auto sul traghetto da Palermo a Napoli. Abbiamo trascorso un paio di settimane nello splendido ragusano le cui bellezze però ci sono apparse tremolanti nel caldo atroce che ha imperversato quest’anno: il sud della Sicilia ha fatto registrare il record europeo delle temperature. È proprio vero, quest’anno l’Italia vince dappertutto: agli europei di calcio, alle Olimpiadi di Tokyo; adesso anche nel bollore da forno che cuoce gli umani vacanzieri. Eccoci, quindi, sul traghetto per Napoli: orario d’arrivo previsto le 18,00. Fantastico, chioso con mia moglie, alle 22 al più tardi siamo dalle parti di Spoleto. Un paio di giorni fra le case di sasso e i boschi pieni d’ombra dell’ospitale Umbria son proprio quel che ci vuole per ritemprarsi dopo una calda estate.

Già, però la nave parte con un’ora di ritardo rispetto all’orario preventivato e arriva a Napoli quasi tre ore dopo di quanto in origine previsto. Sicché giungiamo a Campitello sul Clitumno, in un bed & breakfast sconosciuto ma di cui abbiamo letto ottime recensioni, a mezzanotte inoltrata. Il nostro ospite ci attende con una bottiglia di un bianco che produce lui, come quasi tutto quello che serve in tavola.
Squisito lui e il vino.

L’Umbria è bella, la gente è deliziosa, il loro dialetto fa scompisciare e Luigi e Chiara ci sono rimasti nel cuore. Virgilio dice nelle Georgiche che gli animali che si immergono nelle acque fatate del lago Clitunno ne escono purificati. Se avessero avuto il privilegio di conoscere Luigi e Chiara, avrebbero ottenuto lo stesso beneficio, restando asciutti. Virgilio sempre nelle Georgiche, celebra l’uomo che aguzzando l’ingegno, idea le più diverse attività e progredisce. Io mi son fatto l’idea che il grande poeta abbia conosciuto Luigi.

Chiara, Luigi e il B&B che s’affaccia sul mare umbro

L’ospitalità e l’accoglienza

“Come comincia l’esperienza del B&B?” “Assolutamente per caso; per fare un piacere a un’amica, lei sì, ospite di professione. E pensa che io sono anche geloso della mia casa. L’ho costruita piano piano con mia moglie e con mio padre, oggi novantenne. Noi allora eravamo giovani, pieni di entusiasmo. Lui già allora abbastanza anziano, pieno di saggezza e di esperienza. A lui sono attaccatissimo: è davvero una persona stupenda. Da lui ho acquisito le competenze necessarie in ambito edilizia e tutto quello che gli gira attorno. D’altra parte, si sa: il giovane cammina veloce ma il vecchio conosce la strada. Così, con la sua guida e la mia forza abbiamo costruito questa casa”

“Quanto tempo hai impiegato per costruire questa casa così grande?” “Eh sì, son più di quattrocento metri quadri di casa! “Accipicchia. Ci sarà voluto una vita!” “Di questa casa la prima parte l’aveva costruita mio padre, piano piano poi a me e a Chiara ci son voluti un paio d’anni per completarla” “Quindi anche tua moglie aveva le competenze necessarie?” “Le ha imparate cammin facendo… prima l’elettricista, poi l’aiuto idraulico, e poi, per fartela breve, sa ormai fare tutto” “Ma dove avete trovato il tempo per farlo?” “Che ti devo dire? Ho sempre dormito pochissimo: pensa che Chiara ed io mettevamo la sveglia per andare a coricarci …” “Questa poi!” “Era mio padre che con garbo ci spronava, senza mai forzare la mano ci invitava a darci dentro. I vecchi guardano lontano: aveva già visto davanti a sé realizzarsi il potenziale di questa impresa che noi stavamo avviando”

“Nel fin troppo breve soggiorno che abbiamo avuto il piacere di fare a casa di Luigi e Chiara, assaggiando la loro cucina, ci siamo guardati intorno. Degli altri ospiti che gustavano i manicaretti preparati dai nostri anfitrioni, ho notato che nessuno aveva il telefonino accanto a sé. L’ho detto a Luigi che m’ha risposto così: “Qui ognuno trabocca di altro”. E poi, di fronte al mio silenzio ha aggiunto: “Qui si vive normale”. A quel punto ho capito perché non abbiamo mai chiuso a chiave la porta della nostra camera durante il nostro breve soggiorno, pur allontanandoci per tutta la giornata. Anzi, la chiave è sempre rimasta a far bella mostra di sé nella toppa, all’esterno. Quando condivido questo pensiero con Luigi, mi fa: “Dimenticate le paure, le persone abbassano le difese”

Tre concetti, un mondo. “Quanto ami questi luoghi?” “Te ne sei accorto, eh? Vorrei avere altri posti ma mai lasciare questo. Qui mi son forgiato ma non vivo di ricordi, io son proiettato nel futuro” “Senti, ma come fanno ad arrivare i clienti? Non hai neanche un sito” “I clienti arrivano per passa parola, per le prenotazioni poi Airbnb funziona benissimo. Ieri a cena si son fermati alcuni membri che partecipano al campionato europeo di corsa in salita in motocicletta; io conosco bene il loro corridore di punta. Si è creato un legame” “Fra motociclisti ci si intende. Vedo che hai una bella moto parcheggiata lì” “Quella? Sono andato a prenderla a Bracciano. Un giorno ho deciso, ho cercato sugli annunci. Quando l’ho trovata ho detto a Chiara che andavo a comprare una motocicletta. L’ho presa, ho fatto il passaggio di proprietà, l’ho assicurata, l’ho inforcata …. E sono arrivato qui con le braccia che mi dolevano. Erano più di vent’anni che non ne guidavo una” “Mi sembra di capire che ospiti clienti di tutti i tipi” “E di tutte le nazionalità, certo! Proprio tanti sono quelli che ci vengono a visitare. Sono tutti diversi fra di loro, com’è naturale, eppure mi pare di notare in ciascuno di loro qualcosa che li accomuna” “Che cosa intendi dire?” “Non lo so di preciso. È una sensazione che ho. Le persone che vengono da noi mi sembrano alla ricerca di …. non lo so nemmeno io. Però qualcosa che li attira c’è. Va a finire che spesso ci si scrive, si mantengono i rapporti nel tempo. Sai, l’altro giorno son venuti da noi due ragazzi che facevano il cammino. Ti sei accorto, no? Qui passa la via francigena alta e quella bassa. Bene, questi ragazzi si son fermati da noi più notti di quelle che avevano previsto. Inizialmente avevano in mente un programma, poi l’hanno cambiato. Perché l’hanno fatto? Sono stati attratti da qualcosa che c’è qui nell’aria …”

Il corpo dei sommozzatori dei Vigili del Fuoco

Mentre Luigi racconta mi son fatto l’idea che questa casa sia un porto di mare, non tanto perché Luigi e Chiara vivono dell’ospitalità e del ristoro che offrono a turisti e a viaggiatori, quanto perché Luigi accoglie ogni ospite con garbo, tatto e voglia di raccontarsi. L’ospite arriva, si accomoda a tavola e mentre dispiega il tovagliolo sulle gambe gli si profila davanti un bastimento carico di mercanzie.

“Luigi chi sei?” “Un uomo normale” “Non ci credo” “Io sono innamorato e attratto dal mare. Il mio idolo è sempre stato Jacques Costeau” “Infatti tu sei nato, cresciuto e vissuto in questo mare umbro, non è vero?” “Sia come sia, sono stato un sommozzatore. A 18 anni prendo il brevetto sportivo di sommozzatore. All’epoca non c’era il brevetto sportivo. Chi prendeva il brevetto lo faceva perché voleva un impiego professionale come sommozzatore, come si può dire? ‘da lavoro’” “Proprio come dice Virgilio: tu aguzzi l’ingegno, idei e progredisci” “Entro nei VVFF dopo il concorso pubblico” “Eravate in tanti a concorrere?” “Per 500 posti si presentarono in 170.000 persone. Non sono stato fra i 500 vincitori del concorso ma mi piazzai nei primi seicento. Sicché dopo pochissimi mesi mi arruolarono” “Per quanti anni hai fatto il vigile del fuoco?” “Per vent’anni. Qui ho costruito la mia carriera”

“Raccontamela, dai” “Nel Corpo dei Vigili del Fuoco, quando sono entrato io, mancavano i soccorritori d’acqua di superficie e con un ragazzo di Como, mio coetaneo, abbiamo cominciato a studiare, a proporre e poi a realizzare questa soluzione che nasce con lo scopo primario di proteggersi in caso di incidente e poi prestare soccorso alle vittime in superficie. Insomma, ho trasformato una passione personale, l’ho sperimentata e perfezionata così intensamente che questa è diventata una specializzazione professionale, tuttora nel Corpo perseguita ed organizzata” “Proprio come dice Virgilio, no? Ma raccontami un po’ che fa un soccorritore” È molto semplice sai: il soccorritore, quando tutti scappano terrorizzati, urlando fuori controllo, deve conservare la mente lucida” “E’ qualcosa che si può imparare?” “Tutto s’impara. Se poi hai una predisposizione naturale, tanto meglio” “La predisposizione al sacrificio di sé, alla fine dei salmi” “Beh, se poi muori non è che ti sei rivelato molto utile. Devi dare fino all’estremo, fino a quel punto in cui riesci ad afferrare la vita dell’altro, a trattenerla, tu in sicurezza però. Sennò quell’ancoraggio è generoso ma non serve” “E’ sicuramente un’attività gratificante” “Sì, lì per lì, certamente. Poi c’è l’accumulo, che pesa” “Che vuoi dire?” “La sofferenza incontrollata è una forma di violenza” “Aiutami a capire di più” “Che fai con un traumatizzato? Lo metti nella condizione di essere sopra una barella perché poi i medici lo accolgano e lo assistano. In tutto ciò tu non puoi sedarlo, altrimenti interferiresti con le analisi che i medici debbono condurre, i valori risulterebbero alterati. Sono quelli momenti concitati, violenti. Sei obbligato a salvarli. M’è capitato di leggere un monito negli occhi di un congiunto del ferito: ‘bada! Salvalo, sennò ti ammazzo’. Poi ti capita di intervenire anche con persone che sono decedute nell’incidente. I morti sono un altro discorso: il vivo grave è l’obiettivo che bisogna salvare in ogni modo. Mettergli le mani addosso, anche solo sfiorarlo può produrre una sofferenza indicibile nella vittima. Anche se ti senti male sai che non puoi fermarti. Tecnica da una parte e grande disciplina emotiva sono indispensabili. C’è bisogno di un grande lavoro in profondità su sé stessi. Non ho solo operato sul campo. Poi di questo Corpo sono stato un insegnante per tannti anni nella Scuola di formazione a Roma”

Di cuori mica ce n’abbiamo uno solo

“Luigi, posso farti una domanda? perché non hai continuato nei vigili del fuoco? Sei ancora giovane e l’entusiasmo con cui parli del lavoro di addestratore, di insegnante nella scuola di soccorso dei pompieri mi sembra così forte che difficilmente penso a un tuo, come dire, ritiro volontario. Sbaglio?” “Mi sono ammalato e dopo una certa attesa mi hanno trapiantato un cuore nuovo”

Non c’è enfasi, non c’è nemmeno autocommiserazione, non avverto rabbia, tantomeno paura. Luigi ha vissuto un’esperienza che solo a pensarla agghiaccia il sangue nelle vene. M’immagino il dolore, la sofferenza, l’angoscia i momenti immediatamente dopo la diagnosi. Comprendi all’improvviso che non ci sono farmaci né operazioni che possano riparare il guasto che s’è aperto nel tuo fisico. C’è solo una soluzione possibile: il trapianto. L’attesa è indefinita: è indispensabile individuare una compatibilità che riduca il rischio del rigetto. Nel frattempo, la persona convive in un limbo fra disperazione e speranza: aspetta.

Poi, all’improvviso, si profila la possibilità di un donatore che ha tutti i requisiti in regola: gli ultimi controlli e poi via, in sala operatoria. Ci si risveglia con un organo nuovo, che non è cresciuto con te, che non ha i tuoi ricordi, né la tua sensibilità. È al centro del tuo petto e batte sicuro, impavido mentre il suo ospite alterna momenti di esaltazione ad altri di sconforto, di paura, di sensi di colpa. È un periodo dalla durata imprecisabile, in cui si possono attraversare emozioni devastanti e rischiare di soccombere alla propria fragilità.

Si rinasce. Ma la meccanica non basta. Ci vuole uno spirito saldo che sappia rigenerarsi senza consumarsi nella rabbia o farsi travolgere dalla depressione. Accettare ciò che non si può cambiare ma addirittura capire che quello che ci è successo ha contribuito a farci diventare le persone che siamo. Solo così si rinasce. Sennò ci si arena da qualche parte.

Luigi ha costruito un porto da cui vanno e vengono in continuazione bastimenti di noi ospiti che veniamo a depositare storie più o meno articolate e ce ne ripartiamo con i forzieri pieni di altri racconti e di ricche suggestioni che ci faranno compagnia nel viaggio di ritorno alle case da cui siamo partiti. In attesa di un nuovo ritorno. In questo porto possiamo arrivare quando vogliamo: di notte, di giorno, in qualunque momento. Stanchi, vogliamo solo riposare. È questo il porto per noi: la sosta è funzionale perché possiamo riempire la stiva del nostro bastimento con nuove energie che ci consentiranno d’affrontare l’immenso oceano che abbiamo davanti a noi con l’entusiasmo che ha saputo donarci Luigi.