Dante Bellamio: il professore militante, maestro di desideri

Questa è una lunga storia che per me prende il via da un’aula del Centro di Formazione della Rank Xerox a Salsomaggiore dove Dante, allora mio capo, mentore, maestro e guida, seduto in cattedra (non dietro, proprio sopra) con le gambe oscillanti ed un piede che arpionava il mocassino per non farlo cadere, ci spiegava i principi della Qualità Totale. Erano i primi anni ’80 e noi, la sua piccola squadra di formatori avventizi, lo ascoltavamo attenti mentre ci spiegava come avremmo potuto invitare tutta l’Azienda a cambiare punti di vista, ricercare altri ancoraggi e trovare nuovi paradigmi per guardare il mondo con occhi diversi.

Il suo compito era preparaci per facilitare una straordinaria transizione culturale proprio all’interno di una multinazionale americana, colma di manager determinati a perseguire gli obiettivi che più sfidanti non si può, usi a macinare risultati sempre più significativi, soliti travolgere i più timidi per farli diventare spietati assaltatori. Una missione impossibile? Forse per molti, non per Dante. La voce arrochita dai milioni di sigarette, inesauribile, pacata e sorridente ci porgeva argomentazioni, riflessioni, ragionamenti che ci si avvolgevano addosso come se fossero dei rampicanti. Questi peduncoli erano pronti a consolidarsi appena trovato un appiglio consistente, in tal modo diventando parte inestricabile di noi stessi, facendoci crescere. Altrimenti queste idee avrebbero ballonzolato ancora un po’ nel vuoto, in giro, quali peduncoli affamati di un porto. Appena però un soffio di vento o chissà quale altro accidente avessero offerto un minimo d’appiglio, ecco che da lì una nuova frasca sarebbe nata.

Dante per me è maestro di sapere: tutto quello che so della formazione lo debbo a lui. E’ anche maestro di desideri: “chi desidera non vuole” m’aveva insegnato mia nonna. Ma questa era solo all’epoca un proverbio di una vecchietta tanto tosta quanto illetterata, da prendere perciò con le molle. Dante ha saputo far conciliare in me il desiderio con la passione: apprendere non è un esercizio della mente, è anche un processo del cuore. Di certo Dante è un maestro di coraggio che a differenza degli altri due aspetti appena citati non si può insegnare, si può solo imparare.

Il coraggio lo si testimonia, senza retorica, vivendo con energia ogni momento della propria vita.

Le origini di Dante:

da Padova verso le terre da bonificare (secondo il progetto di Mussolini) dell’Agro Pontino

Dante nasce a Padova in una famiglia contadina verso la prima metà degli anni Trenta del secolo scorso. I suoi familiari, assieme a poco meno di duemila altri nuclei veneti, si spinsero nell’Agro Pontino, coinvolti ed invogliati dal miraggio di ricevere terre fertili da coltivare in quelle paludi infestate dalla malaria. Il regime fascista con la legge Serpieri del 24 dicembre 1928, si proponeva di valorizzare quei terreni paludosi trasformandoli in terre coltivabili, dove i contadini avrebbero avuto case coloniche, acquedotti, e centrali elettriche, insomma la civiltà.

Così, tra il 1931 e il 1934, furono recuperati duecentocinquantamila ettari, costituiti 3000 poderi e fondate svariate città fasciste: fra queste Sabaudia che ancora oggi ha conservato il nome d’origine e Littoria, oggi diventata Latina, meta della famiglia Bellamio. Dietro tutto questo gran fragor di fanfare e grancasse del regime, c’era in realtà soltanto un progetto sbrindellato. Mussolini sognava la ruralizzazione del paese: voleva esaltare la vita maschia e sana dei campi, dove la famiglia contadina, archetipo di virtù etiche e civili, avrebbe fatto da contrappeso alla depravazione dei quartieri popolari ed operai delle città, potenziale rischio di aggregazione del dissenso. Nelle campagne invece, i nuclei familiari dispersi, distribuiti lontano l’uno dall’altro, attratti dalla promessa di ricevere una casa riscattabile in cinque anni, con tre camere da letto, il forno del pane e il pollaio, qualche capo da allevare, il carro e attrezzi agricoli, avrebbero certamente nascosto la sofferenza sociale in quella privata della gente usa a spaccarsi la schiena e, in queste terre maledette, anche a rischiare la vita ammalandosi di malaria.

L’infanzia di Dante si nutre della sofferenza riservata a chi nasce in un contesto semplice, senza tanti mezzi: padre operaio, madre casalinga, due sorelle e un fratello, condividono il dialetto ma soprattutto gli spaventi e la fame per la guerra. Dante scopre l’amore per la lettura molto precocemente aiutato in questo da un nonno che l’avvia a fare il chierichetto. È uno scolaro bravo, dalla memoria formidabile, ma insofferente alla disciplina.

Dante Bellamio

Dante Bellamio

A dieci anni la famiglia si trasferisce a Milano:

Dante è uno scolaro intelligentissimo e irrequieto

La famiglia si trasferisce a Milano dove Dante in quinta elementare si distingue per aver scritto un tema splendido che il maestro a torto, proprio per la sua qualità, non ritiene frutto del suo sacco. La delusione per non essere creduto capace, la rabbia per le accuse ingiuste, provocano in lui tali reazioni per cui viene addirittura espulso da “tutte le scuole del Regno”. Dante sa farsi valere, e se grazie all’intraprendenza della madre, si piega a servire messa dal prete di Affori don Ferdinando Meda, gli governa le oche, collabora con la sua perpetua, ottiene in cambio del suo prodigarsi preziose lezioni di latino. Sviluppa anche il suo naturale talento per il canto: il prete lo vuole nel coro perché ha una gran bella voce. Dante così scopre il piacere dello studio della musica che coltiva grazie al Maestro Pettinato che gli insegna il solfeggio cantato. Grazie alla valentia così acquisita, partecipa alla “azione fantastica in 3 atti, scritta da Luigi Galeazzi con la collaborazione di (appunto) Carlo Pettinato”, Anselmuccio e Rosellina. “Fu un grande successo” racconta sorridendo sornione.

La guerra volge al peggio; l’effimero Impero si sgretola, l’esercito fascista è in rotta su tutti i fronti e a luglio del 1943 si consuma la tragedia: lo sbarco degli Alleati in Sicilia, la caduta di Mussolini, il suo arresto, il suo imprigionamento e la sua liberazione da parte di un commando tedesco, la fuga del re e dell’intera corte, lo sbando delle forze armate, la costituzione della Repubblica Sociale, l’intensificarsi della lotta partigiana punteggiano, nell’arco di pochi mesi, lo sgretolamento di un regime farsesco e l’epilogo che trascolora in tragedia nell’Italia spezzata in due.

In questo cupissimo scenario Dante viene ammesso alla scuola media come privatista, terminata la quale suo padre vorrebbe che il suo giovane rampollo andasse a lavorare, tanta è grama la vita della famiglia Bellamio. Gli insegnanti si oppongono: i talenti non vanno sprecati. Come fare? “Vai in Seminario!” “Ma non ho la vocazione!” “Fatti furbo e approfitta dell’occasione”: questi le dissonanti voci sparse da tutti quelli che hanno a cuore le sorti di Dante che, ricordiamocelo sempre, è ben poco propenso ad indulgere nel vizio italiano della “dissimulazione onesta” (o meno che sia), rifugge piuttosto dai comportamenti ipocriti e professa un sano e deciso anticonformismo.

La rinuncia al Seminario e la scelta del liceo serale laico.

Di giorno lavora alla Besana, premiata fabbrica di panettoni

Il mio ospite ricorda: “Il preside Pellegatta aveva aperto un liceo classico e scientifico serale, legalmente riconosciuto. Questa fu la mia scelta. Durante il giorno, grazie ai buoni uffici della professoressa Carrettoni, insegnante di matematica, vengo assunto alla Besana, premiata fabbrica di panettoni” “Comincia così la tua vita di studente lavoratore?” “Già, ma avevo la passione della montagna e con un caro amico, poi diventato accademico del Club Alpino Italiano, compiamo arrampicate impegnative” “E la politica?” Questo è un altro capitolo della mia vita; Pier Luigi Longi, Camera, l’Unità Popolare di cui in seguito, divento segretario della sezione milanese, inizio il mio impegno nel sociale” “E intanto che ti succede?” “Succedono come sempre un sacco di cose: comincio a frequentare il loggione alla Scala, ti ricordi no? la mia passione per la musica; poi la Besana panettoni mi dà il benservito; e mi invento fattorino alla Mon Desir. I Mayer, titolari dell’Azienda, hanno un figlio musicista che suonava la tromba nella Original Lambro Jazz Band al Santa Tecla. Pensa che in questo periodo conosco anche Celentano e mentre proseguono le discussioni con la famiglia Mayer a proposito della differenza fra Bach e il jazz, mi iscrivo in Statale alla facoltà di Lettere. Volevo fare l’insegnante: sono una carta assorbente curioso di tutto, da tutto attratto e questo fa sì che il mio piano di studi subisca dei ritardi, tali e tanti sono gli interessi che coltivo. Per esempio: divento socio nella gestione del rifugio Sem ai Piani dei Resinelli in Grigna e nel 1953 sono contemporaneamente un vero e proprio capanat (gestore di rifugio), uno studente universitario e un editorialista per un giornale di Lecco”

Dante Bellamio

Dante Bellamio

Dante Bellamio

Dante Bellamio

Il primo lavoro, dopo la facoltà di Lettere, all’Umanitaria:

sono gli anni di Bruno Munari e Albe Steiner

Tornato a Milano Dante va all’Umanitaria: “Che ne sai di questa straordinaria associazione?” “So che Loria alla fine dell’Ottocento lasciò un considerevole patrimonio al Comune di Milano perché aiutasse i poveri, li istruisse e li impiegasse per tenerli lontani dalla miseria economica e spirituale. Insomma il filantropo voleva non tanto fare la carità, quanto voleva fornire i mezzi e gli strumenti perché la gente bisognosa potesse emanciparsi e, imparato un mestiere, fosse al riparo dalla disoccupazione.” “Prospero Mosè Loria pensò, nel 1901, di vincolare parte della sua immensa fortuna per costruire una fondazione con fini filantropici a favore dei poveri e dei lavoratori disoccupati. Questa iniziativa di Loria (che nacque a Mantova nel 1814 e vi morì nel 1892) rientrava nel clima social populista che fiorì qua e là in Italia alla fine dell’Ottocento. La differenza e l’importanza dell’iniziativa voluta dal Loria da quelle simili esistenti nel nostro Paese non stava tanto nei suoi fini, quanto nell’immensa dotazione che egli lasciò alla sua fondazione. La Società Umanitaria, istituita allo scopo di permettere agli operai disoccupati di “redimersi da sé” offrendo loro assistenza, qualificazione e lavoro, godeva delle rendite di ben dodici milioni. Cifra immensa per quei tempi se si pensa che più tardi il ministro Nasi verrà coinvolto in un clamoroso scandalo per aver dato scarse giustificazioni sulla destinazione di trecentomila lire.” “Interessantissima esperienza. Certo che il fascismo la combatté duramente quest’istituzione.” “È ovvio. Alla ricostruzione tuttavia l’impegno di Riccardo Bauer diede un grande impulso all’educazione dei giovani, all’istruzione professionale permanente degli adulti. Si ricostituirono le biblioteche popolari, i circoli del cinema, l’attenzione al sistema carcerario. Riaprirono le Scuole professionali (diurne e serali, di aggiornamento e specializzazione), rinacque la celebre Scuola del Libro (tra i docenti anche Bruno Munari e Albe Steiner), rinacque anche il Centro di Studi Sociali, e ripresero vita i Corsi residenziali di educazione degli adulti.  L’iniziativa più straordinaria fu la costituzione della Scuola Secondaria di Orientamento e Avviamento Professionale, primo esempio di una scuola media di preparazione al mondo del lavoro.” “Coronasti così il sogno di diventare insegnante?” “Al tempo! Attivati che furono i corsi di scuola media e i corsi professionali, io ebbi l’incarico di assistere i ragazzi durante la pausa pranzo e la ricreazione” “Ma guarda che buffa coincidenza! Anch’io ho esordito nella scuola occupandomi di pre-scuola ed inter- scuola. Tu chissà che gente straordinaria avrai conosciuto!”

“Nei miei dieci anni all’umanitaria ho lavorato con Egle Becchi, grande esperta di Gestalt; con Aldo Visalberghi, il primo ad occuparsi di John Dewey; poi con l’allievo di Codignola, Francesco De Bartolomeis, anche lui grande esperto del filosofo e pedagogista americano.” “E da qui parte la tua formazione più significativa, vero?” “Sì, indubbiamente. Una volta diventato insegnante e segretario dei servizi scolastici, progetto e dirigo un programma formativo per l’officina Chiesa. Qui faccio una grande scoperta: scopro le teorie manageriali e la scienza del management. Comincio ad occuparmi dell’educazione degli adulti.”

Arriva il ‘68, il matrimonio con Giulia e il primo figlio Carlo

“Stiamo avvicinandoci agli anni caldi della contestazione, vero?” “Si, ma con calma! Faccio a tempo a sposarmi con Giulia, a mettere al mondo Carlo, il nostro primo figlio, mentre Teresa è la secondogenita, mi laureo e registro canzoni popolari con mio cognato, Gianni Bosio, antifascista, partigiano, storico, editore, ricercatore musicale, e poi lascio l’Umanitaria contraria al movimento studentesco.”

“Che cosa avevi in mente di fare?” “Non avevo un progetto specifico in testa. So che volevo occuparmi di formazione manageriale, entrare in Azienda e lì operare per migliorare i comportamenti e gli atteggiamenti delle persone. Fui invitato ad un colloquio con Alfonso Bordone che all’epoca era il potentissimo amministratore delegato della Rank Xerox, azienda leader nel mercato della riprografia, detentrice ancora del brevetto della copia su carta comune. Il colloquio fu breve e mi fu subito offerto di entrare a far parte di quell’Organizzazione di cui divenni ben presto un dirigente. Questo mi aprì le porte ad un personale processo di apprendimento e formazione. Negli USA incontrai Malcom Knowles ma soprattutto m’imbattei in quella disciplina che ho poi studiato per tutta la vita, l’andragogia.  “L’arte di aiutare gli adulti ad apprendere” è ben diversa dalla pedagogia, per cui non basta trasporre i principi pedagogici sic et simpliciter alla formazione degli adulti. L’uomo apprende sempre, durante tutto il corso della sua vita, perché il mondo del lavoro si rinnova in continuazione e così tutte le professioni debbono riallinearsi su nuovi paradigmi.

Dante Bellamio

Dante Bellamio

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Dante Bellamio

Il passaggio in Xerox e la scoperta dell’andragogia:

l’arte di aiutare gli adulti ad apprendere

Se un giovane studente, com’è nella natura delle cose, sviluppa un ruolo “dipendente” dal docente, l’adulto, proprio per il bagaglio d’esperienze e conoscenze accumulato (“vale più la pratica della grammatica”), non è disposto a riconoscersi, a prescindere, un ruolo subalterno nei confronti di un suo pari, “diverso ma non dispari”. L’adulto che impara vuole confrontarsi con una persona autorevole, da lui stesso legittimata; in pratica riesce a trovarsi a proprio agio con una sorte di facilitatore più che con un insegnante. Il formatore dell’adulto deve essere soprattutto una persona capace di incoraggiare e promuovere il movimento dell’apprendente verso l’acquisizione di un percorso autodiretto.

C’è un altro motivo: i giovani scolari hanno dei percorsi formativi ben precisi e standardizzati. Il corso degli studi prevede tappe ben specificate che solo se superate, liberano accessi a percorsi d’ordine superiore. Così non è nel mondo degli adulti, dove bisogna apprendere tutto ciò che è applicabile, trasferibile al quotidiano per risolverne al meglio i problemi, in termini sia di efficacia, sia di efficienza. Nel mondo degli adulti sono le competenze acquisite che costituiscono il fattore di successo per un percorso di carriera, mentre per i giovani studenti vale ancora il motto “impara l’arte e mettila da parte” e l’eccellenza viene perseguita nell’ambito di ogni specifica materia di studio, auspicabilmente utile un domani.”

“Qual è per te un fattore determinante nella teoria andragogica?” “Ce ne sono perlomeno due: uno di questi è la motivazione ad apprendere. Un uomo davvero motivato sopperisce ad un possibile deficit intellettuale o di competenze proprio grazie a questa formidabile spinta che lo sprona ad impegnarsi sempre di più. Tua nonna te l’avrà detto chissà quante volte “l’impegno paga”. L’altro fattore determinante è il bisogno che l’uomo ha di capire fino in fondo perché deve apprendere proprio quella specifica competenza. Una volta che l’ha capito, la motivazione a padroneggiarla lo sosterrà in quello sforzo che, in quanto persona motivata, non avvertirà nemmeno o quasi”

Una carriera da formatore, passando da Fiat fino allo studio di consulenza

“La tua esperienza aziendale non termina però con la Rank Xerox, vero?” “In realtà sì. Alla fine degli anni ‘70 vado in Fiat a dirigere un programma di alta formazione per dirigenti con assessment delle competenze ma già prima della metà degli anni ’80 rientro in Xerox per occuparmi di Qualità Totale” “E dopo?” “Terminata la collaborazione in Azienda apro uno studio di consulenza con Ennio Baldini che aveva concluso la sua esperienza in Pirelli, già professore di Organizzazione aziendale alla Cattolica nella Facoltà di Economia e Commercio, direttore di “SL” la rivista dell’Associazione italiana di Studio del Lavoro, Presidente dell’AIF (Associazione italiana Formatori di cui sono stato uno dei fondatori). Ho anche lavorato con Riccardo Massa un grande innovatore che con la Clinica della formazione alla quale mi chiese di collaborare, fa emergere non soltanto una nuova metodologia di ricerca e di lavoro formativo, ma un’inedita prospettiva della pedagogia in quanto tale. La conoscenza pedagogica è un sistema organizzato e coerente di procedure finalizzato alla conoscenza di quello specifico campo di esperienza che è la formazione in cui la progettazione e l’azione formativa dialogano reciprocamente secondo una logica circolare: l’una arricchisce e riorienta l’altra”

“Sei stato membro del consiglio direttivo dell’AISL (Associazione italiana di studio del lavoro), fra i fondatori della Bottega del futuro e dell’Associazione Nestore per lo studio della transizione dal lavoro alla quiescenza, redattore di Adultità, ad un certo punto della tua carriera vai ad insegnare all’Università, vero?”

“Sì, Professore di Organizzazione, progettazione metodologie e valutazione dei sistemi di formazione aziendale e professionale alla Facoltà di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Milano – Bicocca.”

Dante Bellamio
Dante Bellamio

Oggi Dante è un pensionato, che non ha smesso di desiderare

Sono passati quarant’anni dal mio primo incontro con Dante: oggi è un pensionato che non va al parco a dare da mangiare ai piccioni, non ne ha il tempo né la voglia per queste bazzecole, un po’ perché le gambe non glielo permettono, un po’ perché non ha mai smesso di alimentare le numerose relazioni di allievi, colleghi, compagni di strada che ancora lo vanno a trovare. Molti di loro, anche se non hanno il tempo di fargli una visita, distratti dai mille impegni quotidiani, lo pensano, oggi come allora: un medico chinato (klinein) sul letto (klinè) del suo osservato perché solo così da vicino il maestro può cogliere gli aspetti più sottili, meno evidenti ma non per questo marginali negli effetti che producono ed alimentare, attraverso uno dei suoi mille peduncoli rampicanti, un’idea, un’ipotesi, un desiderio. Già, Dante, un professore militante, maestro di desideri.