Di cascare capita: è come ti rialzi che fa la differenza.

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La Storia

Non mi sento bene quando parcheggio sotto la casa del Signor Lambertucci con cui ho un appuntamento. Mi sento ancora peggio dopo aver scalato cento gradini. Una signora gentile e sorridente mi fa entrare in salotto e mi presenta suo marito. Mi sembra d’avere di fronte Ben Gurion, quel durissimo contadino polacco che è riuscito con la sua determinazione e quella di pochi altri a fare dello Stato di Israele una realtà per quanto controversa, vitale e potente.

“Ma che razza di chioma ha questo signore?”, mi sto chiedendo, mentre ci stringiamo la mano. “Speriamo che abbia rinfoderato gli artigli: questo qui è un leone, mica un uomo”, impressionato dalla sua candida criniera, dalla fronte alta e dagli occhi intensi, ma non duri e sprezzanti.

Il signor Enrico mi accompagna sul terrazzo da cui si scorge l’immenso mare. Non si vanta di questa bellezza, si limita ad offrirmela invitandomi poi a sedermi al tavolo dove si sta più comodi. “Ho tante cose da raccontarle: vuole ascoltarmi?” la voce è cortese, lo sguardo diretto, non ho dubbi su chi comanda qui. “Sono figlio di N.N.” e mentre lo dice lo scrive su un foglio che ha preparato davanti a sé. Vedere la sua scrittura mi commuove: sembra quella di mio padre. Anche lui uomo di grande cuore e di grande forza e di poverissima frequentazione scolastica. Ma da altre fonti mio padre ha appreso tutto ciò che poi m’ha insegnato. Il signor Enrico mi sembra fatto della stessa pasta. Quasi mi viene di chiamarlo babbo.

Il signor Enrico mi strappa dalla mia fantasia quando mi parla di chi l’ha messo al mondo: “Pare fosse una persona molto benestante il cui volto l’ho visto in una foto. Sì, su quella che gli hanno messo sulla tomba.” Punto. E a capo. Anche per la madre non c’è molto spazio. “Siccome non mi può tenere, m’affida a una balia che ha altri cinque cuccioli da tirar su.” Il giorno che Enrico compie tre anni la sua mamma di latte lo accompagna in un’altra casa, dove un uomo e una donna lo accolgono come il figlio tanto atteso.

Si fa sera: i nuovi genitori mettono il piccolo in un lettino che hanno reso confortevole perché sia il più ospitale possibile per la creatura. Ma Enrico piange, non si ritrova in quegli spazi nuovi, in quegli odori nuovi. Un seno caldo lo accoglie: è un petto strano, dal terzo capezzolo sgorga del latte buono mentre dagli altri due Enrico sente fluire il calore dell’amore e in quel tepore finalmente si placa.

“Credo che la mia mamma adottiva non potesse avere figli suoi forse perché prese un calcio di una mucca in pancia. Nelle campagne queste cose succedevano, sa”. Mi sembra di sentire ora il mio babbo che era nato a San Casciano Val di Pesa, in mezzo alla campagna, agli animali e ai tanti pericoli di quell’epoca. Enrico è del 1933, mio padre lo precedeva di una decina d’anni, ma la gioventù l’hanno condivisa proprio in quell’epoca e per di più in una zona d’Italia in fondo simile. Enrico mi mostra una foto dove lui piccino è in mezzo a una coppia con l’abito della festa. “Poi cresco e cresco” mi fa “divento grande … e bello, dicono le donne.” E qui glissa, cambia discorso.

Mi racconta che deve aiutare i genitori in campagna. Impara anche a fare il meccanico e cento altri mestieri. Lo appassionano le automobili riparando le quali ne impara ogni segreto. Ha 19 anni ma ne dimostra di più: “La gente, quando parlava con me, mi rimproverava che non la guardassi in faccia.

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Ma a guardare gli occhi della gente con cui parlavo, mi distraevo. Per dire le cose serie bisogna concentrarsi”. Ora un po’ mi guarda ma di più scrive, appunta sul foglio date, eventi, come se facesse uno schema per aiutarsi a ricordare ma soprattutto per aiutare me a capirlo meglio. “Com’è ‘sta storia delle donne?” chiedo perché anche mio padre nelle foto che ho visto quando lui era giovane, ero sempre colpito dalla sua grande bellezza. “Un attore del cinema” celiava mia madre. “Si le donne mi scrutavano” mi fa Enrico; “ma una m’affattura e io divento preso di lei. Perdutamente. Pazzamente.

Ha quasi 10 anni più di me. Era un po’ robusta di fianchi ma piacente. S’amoreggia, ma se non ti sposi non concludi. Così si decide di fare questo matrimonio.” Alle 7 di un mattino, pochissime persone attorno. Nessuna da parte della sposa. “Da solo in una stanza, racconta Enrico, m interrogo: Che ho fatto? Perché? Perché mi sono sposato? Chi ho sposato? Ma non mi viene nessuna risposta”.

Mi dice che forse la gente di lei aveva disertato il matrimonio, li fanno sposare quasi di nascosto, la mattina prestissimo, forse per vergogna. Chissà? A questo punto Enrico mi racconta una complicata storia di lavoro e d’affari: tale era la confusione in cui si trovava che consulta una che fa i tarocchi. Questa donna lo rassicura sull’esito dei suoi affari, ma lo sollecita a correre a casa perché lì c’è il suo problema. Il vero, grandissimo problema. “M’hanno fatto una fattura!” Enrico mi racconta che, stimolato dalla cartomante, rientra a casa e, come gli era stato detto, afferra il cuscino con una mano mentre con l’altra, brandendo delle grosse forbici, lo squarcia. Dal cuscino sventrato cadono sul letto, confusi fra le piume d’oca, strani oggetti, di diverse fogge e di diverse misure. Ci sono tre persone in questa stanza, attorno al letto su cui giacciono i brandelli del cuscino e quegli oggetti strani, incomprensibili. Una donna era stata chiamata a presenziare come testimone di quello che Enrico sospettava avesse imbastito sua moglie, che ora, con Enrico appunto, anima la scena. La donna si torce le mani, fa strani versi con la bocca, guarda furiosa il marito mentre la testimone resta a bocca spalancata e poi si porta le mani al viso come per negare quella follia. Enrico leva un braccio e indica una direzione inequivocabile: fuori dalla mia vita!

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Enrico ha talento, immaginazione e fermezza. “M’invento imprenditore, mi metto ad allevare polli. Arrivo ad averne un migliaio. Ma per far quello che volevo io bisognava avere altri mezzi, altre strutture. Io ho sempre pensato in grande ma le cose le ho sempre fatte come si deve, un passo dopo l’altro. Con prudenza. Il momento arriva se lo cerchi. Ecco infatti che due che conoscevo, saputo dei miei progetti, fanno società con me. Io di quest’impresa divento l’anima e la mente.

Ma mi pesa il cuore; la solitudine in questa grande casa ha un peso che alcune presenze femminili son capaci solo d’aggravare. Accavallano le gambe e fumano. Non le voglio quelle donne lì’.”

Sicché Enrico parte per l’Argentina dove oltre settanta suoi parenti negli anni si sono trasferiti. Lì conosce una bella signora che sa capirlo. Margherita ha origini campane ma già ad un anno si trasferisce con i genitori a Rio della Plata. Cresce con il mate e l’asado, mentre pizza e mozzarella sono lontane.

Enrico sa fare tutto e il successo gli arride. Conserva l’orgoglio di chi sa cavarsela praticamente in ogni circostanza. L’eccesso di sicurezza un giorno lo tradisce. Precipita da otto metri da un’impalcatura. Riesce a non morire, ma il corpo è sconciato. “Ho iI bacino rotto – mi dice – il femore spezzato, l’anca spostata. Da solo, in terra, senza nessuno d’intorno. Ci resto per ore. Finchè trascinandomi riesco a raggiungere un telefono e a chiamare un vicino.” In ospedale riescono a farne un invalido. Un grande esperto francese di protesi si rammarica di non averlo potuto visitare prima. Ormai è impossibile intervenire.

Enrico non ha bisogno di protesi: lui ha una volontà e una determinazione che lo rendono capace di apprendere la riflessologia, di studiarla, di applicarla a se stesso e ha la disciplina di dedicare ore del suo tempo per far fare al suo corpo martoriato esercizi che lo rendono abile. L’esercizio gli ha anche dato l’agilità mentale di comprendere il mondo nel quale vive, addomesticando in una certa misura l’irruenza giovanile. Recentemente andando a discutere con un personaggio che non aveva mantenuto i patti, il fucile lo ha lasciato in macchina.

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Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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