Franco Buttaro: “Il mio cliente è un amico”

Oggi incontro il Signor Franco Buttaro: un tipo asciutto, sembra anche di poche parole. È però curioso della nostra iniziativa: “Sicché vuole che le parli della mia professione? Le interessa sapere che cosa penso di questo mestiere? Guardi, secondo me oggi lo Stato, la burocrazia e leggi vigenti non ci danno una mano. Mirano al risparmio. Non puoi fare le cose fatte bene, ci rimetti tu se miri a dare qualcosa che sia davvero valido” “Sento molta amarezza in ciò che mi dice” “Per forza: se io faccio una cosa fatta bene anche lo Stato, la collettività se ne avvantaggia” “È vero: sono perfettamente d’accordo” “È  vero sì, ma non tutti capiscono, né apprezzano” “Tutto questo mi suona sconcertante” “Vuole che le faccia qualche esempio? “Sarebbe utile” “Adesso le dimostro perché mi sento impotente se non posso davvero dare quelle cose che più servirebbero: faccio solo tre esempi. Il primo è un cliente. Viene e mi chiede una protesi: io gliela faccio con il massimo impegno e lui mi dice che gli basta sia solo estetica. Ah sì? Non si preoccupi, me la lasci. Non c’è problema” “Quindi il cliente non l’ha ritirata?” “No. Sono io che non gliel’ho data”.

“Ma che cosa significa?” “Non ha capito? Allora le fo un altro esempio. Ci sono dei medici che non accettano che io voglia parlare col paziente. Secondo loro io devo solo ed esclusivamente realizzare quanto loro hanno deciso. Mi dicono: sono io il medico, mica tu!” “Si sentono superiori?” “Non lo so e non m’interessa. L’ultimo esempio e poi basta. O capisce o la chiudiamo qui. Si è reso conto che oggi la tecnologia ha fatto e continua a fare passi da gigante? Ebbene, una volta una ditta, tedesca per di più, non ne vuole sapere di aggiungere un accessorio che per la cronaca c’è ed è disponibile e che con quel cliente particolare, sarebbe stato molto utile. Mi fanno: questo non è indispensabile. Il signore è un disabile, con questa protesi riacquista tanta mobilità. È bene che si accontenti. Ha capito ora?” “Ma è pazzesco. Incredibile! Credevano che lei volesse approfittarsi della situazione?” “Sarà il segno dei tempi, che le devo dire. Tutti pensano subito alla truffa”.

Franco Buttaro

Le protesi ortopediche sono al pari di piccole opere d’arte

“Beh, certo che di episodi pazzeschi le cronache sono piene: il cieco che guida l’Ape ha fatto scalpore qualche tempo fa” “È vero, Ma allora che si fa? Badi: capisco bene. Se uno s’è bruciato coll’acqua calda poi ha paura anche dell’acqua fredda. Ma questo non può significare che si fa sempre e comunque di tutta l’erba un fascio” “Certo: ogni paziente ha una sua storia, esigenze specifiche, vive una realtà del tutto originale, solo per massimi aspetti apparentabile a quella di chi soffre di una disabilità simile e poi caro signore, noi specialisti che costruiamo protesi dobbiamo prendere ogni cliente per la persona che è. Dobbiamo entrare nella logica di ciascuno, nel loro mondo. Noi non siamo dei missionari: dobbiamo accettare sia chi reagisce alla sfortuna, sia chi non ce la fa” “Quindi un lavoro oltre che da super tecnici anche da psicologi, con competenze ovviamente pure da economisti?” “Per me è così. È un approccio integrato che occorrerebbe avere. Invece qui fra lacci e lacciuoli sembra che bisogna fare i conti solo col budget. Questa è l’unica cosa che conta per lo Stato, talvolta perfino per i medici ai clienti”.

“Credo che questa sua esperienza noi di Stannah la capiamo a fondo. E la condividiamo con lei. Perché talvolta le persone sono incerte se dotarsi di un cingolo quando è disponibile un montascale? Difficile da capire, non crede?” “Certamente sì; ancora una volta sembra che tutto si giochi sul budget” “A proposito di conto economico, come va la vita da imprenditore?” “lo sono un dipendente. Un dipendente, se vuole, un po’ particolare: il mio non è un classico rapporto di dipendenza; sono assolutamente libero di scegliere come fare il lavoro. Ho carta bianca. Questa per me è la mia soddisfazione primaria” “Quindi se non deve conciliare la sua professionalità con il “business” potrà dedicarsi come maestro a formare un suo successore?” “Mah! Non sono un maestro: penso di aver sempre da imparare. E alla fine questa mia esperienza morirà con me” “Perché dice così?” “Perché per qualche tempo ho avuto un ragazzo che voleva imparare ma è durato pochissimo. Più che un maestro voleva un badante. Per cui ho dovuto lavorare da solo, e continuo a farlo” “Non le manca la possibilità di scambiare esperienze con dei colleghi?” “lo ho sempre guardato con attenzione l’operato degli altri. Così ho cominciato sa?”

Gli inizi della carriera: garzone presso un’ortopedia di Roma

Adesso il Signor Franco sembra rilassarsi e comincia a raccontarmi di sé: “Sono nato nel 1960. Dicono che era l’età del boom, no? lo non è che l’ho visto tanto ‘sto boom. Da bambino giravo con la bicicletta per raccogliere le bottiglie da 1 litro vuote e portarle al deposito. Poi aguzzavo gli occhi e andavo a raccogliere pezzetti di legno per chi aveva bisogno di fare il fuoco. Per altre persone cioè che come me il boom non s’erano accorti che c’era. Intanto ancora bambinetto sono andato a fare l’aiutante barbiere o per meglio dire, facevo il ragazzo spazzola. Per poter spazzolare il cliente, dovevo montare su un panchetto. Cresco e mi do al giornalismo: distribuisco i giornali che piglio alla stazione ai lidi, non solo, alla bisogna scarico camion di cocomeri” “A scuola?” “Come no! Per andarci lego i libri con la cinta di papà” “Giocare e divertirsi un po’?” “Ci mancherebbe! Papà — faccio un giorno a mio padre – voglio una bici: ah sì? — mi fa lui — allora comincia a mettere da parte i soldi. E così ho fatto pure per il motorino e anche per la macchina. Altra grande lezione di vita da parte di mio padre: guarda che non è un problema comprare, il problema è il dopo. È mantenerla”

“Grande virtù la saggezza” “Secondo me si basa sulla pazienza. Hai fretta? Vai piano! Altro grande insegnamento che m’è rimasto” ‘Quindi, senza diventare precipitoso, che ha fatto poi?” “Vado a lavorare a Roma. Tutte le mattine prendo il treno che viene da Reggio Calabria. È sempre pieno di ambulanti: col tempo praticamente queste famiglie calabresi m’adottano; mi chiamano “la creatura”, mi offrono la colazione a Latina. Ogni mattina questo diventa un rito bellissimo” “Che va a fare a Roma?” “Vado a lavorare nell’ortopedia per imparare. Lì m’imbatto in due persone d’oro: il sellaio Aurelio per i presidi di cuoio, tutti cuciti a mano, un vero, grande artista e un maresciallo dell’aeronautica in pensione, detto martelletto d’oro perché col martellino sagomava il metallo come neanche un orafo” “Così ha imparato il mestiere?” “Ho guardato, ho osservato fino allo sfinimento. Andavo in estasi a fissare le loro mani, i loro gesti. Loro mi dicevano in continuazione: non fare nulla, guarda e basta” “Non mordeva il freno?” “Certo che sì, ma mi ricordavo gli ammonimenti di mio padre e pazientavo” “Un santo. Mai un momento d’impazienza?” “Guardi: mi avrebbe fatto letteralmente impazzire provare a mettere le mani su quel desco.

Franco Buttaro

Franco Buttaro

I primi lavori: un apparecchietto per una bimba e un carrellino con quattro ruote per un cane

E un giorno succede! Il maresciallo mi fa: adesso prepara tu un apparecchietto per questa bambina. Mamma mia! L’avevo tanto desiderato e ora mi tocca, oddio! Sto in soggezione. Sono impacciato. Grondo sudore. Il maresciallo mi guardava e mi incoraggiava. Alla fine, il risultato l’ho raggiunto ma di sicuro, in questa mia prima creazione neanche ha sfiorato la bellezza dei manufatti che creava lui”

“Per quanto tempo è stato presso quell’ortopedia?” “Dai 14 ai 18 anni” “C’è qualche altro episodio particolare di cui si è reso protagonista?” “Mi faccia pensare: ah sì. Un giorno succede che investono un cagnolino che resta paralizzato agli arti inferiori. I miei maestri mi invitano a far qualcosa per lui. Ma che cosa posso fare? Penso e ripenso e alla fine disegno un carrellino con 4 ruote. Il cagnolino quando ha capito piangeva di gioia” “E intanto continua a fare il pendolare?” “Parto militare: vado in marina per 18 mesi. È stata un’esperienza che m’ha fatto crescere, diventare ancora più responsabile, apprendere e approfondire i valori della vita, il rispetto. È stato anche quello un altro momento molto importante della mia vita”

“Adesso ha quasi vent’anni. Che fa? Torna in ortopedia?” “Non mi vogliono più: sono licenziato. Uno del settore, uno che conosco, mi propone di aprire insieme una nuova attività. E mi butto. Tenga presente che fino a quel momento non avevo mai fatto protesi importanti. Mi capita che devo fare una protesi per un amputato: era un marittimo che aveva perso la gamba rimasta imprigionata in un verricello. Il poveretto, se non lo avessero soccorso in tempo, avrebbe potuto morire dissanguato. Dopo l’amputazione e quando la ferita s’è rimarginata ed i tessuti sono in grado di sopportare la protesi, realizzo il dispositivo artificiale. Studio la sua camminata e gliela correggo. Ogni due mesi devo fare la manutenzione. E sa perché? Si riempiva di scorie, di terriccio, di sporcizia incredibile” “Ma come mai?” “E quello che gli ho chiesto anch’io, M’ha detto che s’era messo a fare il contadino, non potendo più andare per mare. E sa, a stare tutto il giorno a spingere il motocoltivatore, capita

Dopo la leva militare, Buttero si mette in proprio

“Certo è un mestiere il suo in cui ci vogliono di sicuro scienza e competenza d’accordo, ma anche cuore e coscienza” Forse tutti i mestieri sono un po’ così. Dipende poi anche da come siamo fatti. Per me il cliente è prima di tutto un amico. Io devo aiutare chi soffre, chi sta a disagio. Le racconto questo episodio. Un giorno incontro Nicola, un bambino di due anni, nato focomelico, senza un braccio. I suoi genitori mi chiedono di preparargli una protesi estetica. A quell’età ogni 3 —4 mesi la protesi va rifatta da capo: il bambino cresce. Com’è, come non è, capita che un giorno il cane del suo vicino di casa, un enorme san Bernardo con cui era abituato a giocare insieme, gli morde la protesi e si rompe i denti. I suoi genitori ovviamente vengono da me perché gliela rifaccia. Sa qual è stata la loro richiesta? Che gliela facessi più morbida! Ma non è mica finita con Nicola! Diventa un ragazzo bello e robusto, un giovanottone. È senza un arto dalla nascita ma non ha mai accettato questa sua privazione. Anzi, non è che non l’abbia accettata: ha sempre preteso però che questo suo handicap non lo condizionasse nella vita di tutti i giorni. Sicché gli ho fatto un’infinità di protesi. Ad un certo punto mi rendo conto che ha bisogno di una protesi mioelettrica” “Non so che cosa sia” “Le protesi mioelettriche utilizzano la tensione elettrica che si genera durante la flessione dei muscoli dell’avambraccio. Occorre sistemare degli elettrodi a contatto con la pelle, inserire uno o più motori elettrici in corrente continua, insomma un sistema molto complesso che io so che esiste ma non so realizzare. So che a Bologna c’è un centro specializzato proprio in questi dispositivi e lo indirizzo lì.

Franco Buttaro

Un cliente speciale: Nicola

Passano tanti anni e un bel giorno s’affaccia in bottega un tipo. Un bel tipo. Mi guarda e sta zitto. Non so che pensare. Il tipo continua a tacere. Lo guardo negli occhi e all’improvviso lo riconosco. È Nicola! Non si perde in sguerguenze. Mi fa: la protesi me la devi fare tu. Gli spiego che non ce l’ho l’abilitazione. Lui risponde che non gl’importa. La protesi mioelettrica vuole che gliela faccia io. Solo tu — mi fa- me la puoi fare proprio come serve a me. Capisce perché il cliente per me è qualcosa di particolare? Insomma, per farla breve, vado a Bologna, conseguo l’abilitazione distinguendomi, fra l’altro, nel corso. E gli costruisco una protesi che deve essere statica” “Scusi, ma non capisco” “Nicola deve poter fare quello che tutti noi facciamo. Gli faccio un calco col gesso del braccio sano. Gli faccio una protesi perfetta, assolutamente uguale all’altro braccio” “E com’è andata?” “Nicola oggi fa il collaudatore alla Fiat. Va in palestra”

“Straordinario” “Si ma è tutto matto” “E perché mai?” “Perché un giorno decide che vuole andare anche in moto!” “E perché no?” “E proprio quello che m’ha detto lui. Perché non posso andare in moto? lo voglio andare in moto” “Non puoi perché … e lui: lo che cos’ho di meno degli altri? — mi fa. E così gli ho fatto un’altra protesi. Questa non ha più il bretellaccio, è una protesi a contatto totale. Sono riuscito ad eliminare quell’antiestetico e condizionante perché limitante, artificio. È talmente ben inserito che se volesse potrebbe giocare anche a tennis. Sono stato spronato a farlo: lui voleva tornare alla normalità”

La normalità, non il privilegio: quello capita a chi incontra un fornitore che guarda il cliente come un amico.