I gioiosi gemelli della ristorazione

Sono andato a trovare una coppia di celebri ristoratori milanesi: Maurizio e Roberto Montina. Il locale in questi giorni di restrizioni e divieti per la pandemia, è aperto solo per l’asporto. Nei loro occhi però brillano ancora le folle di avventori che a pranzo e a cena riempivano gli spazi del loro accogliente ristorante di via Procaccini, un’icona del gusto da venticinque anni. Oggi l’ambiente, per quanto abbia le sedie appoggiate sui tavoli e le luci spente, non assomiglia lo stesso ad una pudica sagrestia. Sento la vitalità prorompente dei due omoni che m’apparecchiano lì per lì un piatto di salame e stappano una bottiglia per rendere più calda la conversazione. E in un momento mi pare che la stanza si popoli di voci, di risate, di gente che conversa educata, composta ma vivace.

Due fratelli due vocazioni: Roberto è chef, Maurizio gran maestro di sala

I ruoli dei due gemelli sono precisi: Maurizio è il grande anfitrione in sala. Gli spessi favoriti che gli incorniciano il volto, la capigliatura leonina pettinata all’indietro, gli occhi incorniciati da leggeri occhiali dalla montatura d’oro, gli conferiscono un’aria aristocratica. L’ospite avverte immediatamente d’essere entrato in un locale di classe, dove chi ti riceve sembra un lord inglese dell’Ottocento. Qui si fa sul serio, in concreto però. Dietro l’affabilità accogliente e composta nei modi, c’è la sostanza di una cucina schietta. Chi garantisce la qualità di ciò che si mangia è Roberto, lo chef. Lui porta i capelli un po’ più corti del gemello cui assomiglia per la robusta complessione fisica. Stamattina Roberto lamenta una certa dolenzia alle mani che gli impedisce in questi giorni di muoversi con l’Harley: impiccio però che non lo intralcia mentre prepara quei manicaretti oggi destinati a deliziare i palati dei suoi ospiti a casa loro oppure, peggio, restando ciascuno confinato nei propri uffici. Dai quali lui, se potesse, li strapperebbe, mica a forza, ma col profumo inebriante delle pietanze.

Il presente: la malinconia della sala vuota (a causa delle misure di restrizione della pandemia)

“Vuoi mettere il gusto di mangiare in una sala da pranzo, con tanta gente intorno … il cibo è gioia, è allegria, va gustato insieme” “Capisco bene: in un ristorante nessuno oserebbe mettere il parmigiano su un piatto di spaghetti alle vongole, ma da solo, a casa sua, o in ufficio, chi lo controlla?” “Tu scherzi ma la pandemia ha creato una situazione terribile” “Certo, le imprese di ristorazione sono state messe tutte in ginocchio” “Ma non è soltanto, per quanto grave sia la situazione, una questione economica. Qui è in ballo la nostra salute psicologica e sociale” “Hai ragione, incontro tanta gente depressa, chiusa fra le mura di casa, impossibilitata a riunirsi con gli amici per bere un bicchiere, gustare un piatto di pasta” “Guarda noi, che siamo diventati dei confezionatori di scatoline da asporto” “Tuttavia, ti vedo sul pezzo. La mia grulla provocazione di prima voleva solo stemperare la situazione che so essere parecchio difficile” “Qui c’è poco da stemperare. Non è mica un brasato. Vuoi che non capisca che per sacrosante ragioni volte alla salvaguardia della salute di tutti, sia necessaria prudenza, cautela, attenzione? Ma allora spiegami perché chiudono noi, i teatri, le scuole e pensano di riaprire gli impianti da sci?” È difficile. Ma finirà una buona volta, non credi?” “Guarda, non vedo l’ora di rimettermi chino sui fornelli ma con lo sguardo e le orecchie tese per cogliere i sospiri di soddisfazione degli avventori in sala” “Buono questo profumo che viene. C’è un sentore di verza, può essere?” “Uhm, ti intendi di cucina?” “Beh, in passato ho deciso che potevo davvero avere anch’io un futuro nei ristoranti. Come cliente però. Ma raccontami. Come comincia la tua storia nella ristorazione?” “Appena finite le scuole medie, nostro padre ci propone di frequentare l’Istituto tecnico; però noi abbiamo, da bravi monelli, disertato spesso i banchi di scuola” “E quindi vi ha mandato in collegio?” “Ma no, niente affatto: gli è venuto in mente che noi eravamo più tipi da Scuola Alberghiera”

Il passato: gli inizi. Finite le scuole medie, il padre decide per loro: faranno la scuola alberghiera

“Ci ha preso?” “Direi proprio di sì: amo viaggiare, mi intriga vedere, scoprire, conoscere … La scuola alberghiera concilia due mie esigenze molto sentite: imparare un mestiere appassionante, che mi piace fare più di qualsiasi altra cosa al mondo e nel contempo vivere ovunque, viaggiare dappertutto. Le culture sono diverse, la gente ha abitudini proprie, specifiche ma il gusto per la buona tavola è davvero trasversale” “Avevi qualche tradizione di famiglia?” “Il padre della madre di mio papà … “”Aspetta, mi son perso: un tuo bisnonno, no?” “Sì. Lui faceva il cuoco al Piccadilly di Londra” “Ah, ecco, buon sangue non mente”. Roberto continua a raccontare: “Faccio esperienza in una cucina di un ristorante a Milano: lì scoppia davvero incontenibile la passione. Finisco il primo anno all’Amerigo Vespucci la scuola alberghiera aperta nel 1962, cinque anni dopo che noi due eravamo venuti al mondo”.

“Fatto il primo anno della scuola alberghiera” mi dice Maurizio “d’estate Roberto va a Londra per 3 mesi come apprendista chef. Ha 15 anni” “Ma poi torni in Italia? C’è la scuola da fare, no?” dico rivolto a Roberto. “Certo” – mi fa – “decido però di iscrivermi da privatista alla scuola alberghiera e così posso tornare a Londra, dove comincio a lavorare in ristoranti di super lusso” “In che anni siamo?” “È il 1973. Noi lavoriamo negli ambienti classici ed eleganti della Londra tradizionalista”. “Londra negli anni settanta era anche la metropoli della trasgressione, della libertà, della voglia di rompere gli schemi: gli hippie, la musica, moda …” “Tutti si divertivano da matti. Un’allegria, un’esplosione di vita …

Il passato: cominciano i viaggi. Roberto a 15 anni va a Londra per tre mesi come apprendista chef

“Doveva essere davvero pazzesco. Tu appassionato di cucina, fai un sacco di esperienza. E tuo fratello che fa?” “Arriva anche Maurizio. Entriamo insieme con i nostri ruoli, io in cucina, lui in sala, In un ristorante esclusivo, specializzato in pesce” “Chissà quanta gente celebre, lavorando in quegli ambienti di lusso, avete conosciuto, eh Maurizio??” “Ma sì, abbiamo incontrato Peter Sellers, Margareth sai, la figlia della regina … tanto per farti qualche nome …. Londra è stata per noi davvero il paese delle meraviglie”.

“Siete lanciati!” “Però ci fermano” “Chi ha osato?” “Il servizio militare” “No! Sul più bello vi tocca fare i marmittoni. È stata dura la naia?” “Sicuramente c’è chi l’ha fatta peggio di noi” “Dove avete prestato servizio?” “Entrambi a Linate, io come al solito in cucina e Maurizio sempre in sala” “È stata un’esperienza memorabile?” “Certamente per gli ufficiali che mangiavano alla nostra mensa. Comunque, devono aver gradito i nostri servigi, perché ho ottenuto una cosa incredibile!” “Che cosa? T’hanno decorato per la miglior pastasciutta condita con il più alto sprezzo del pericolo?” “Di più! Ho ottenuto – ascolta bene, mentre ero sotto le armi – una licenza straordinaria per andare a Londra a cercare lavoro, una volta finito il servizio militare” “Come? Mentre facevi il militare sei potuto andare all’estero?” “Sì, chiesi questa licenza straordinaria e la ottenni” “Straordinario davvero” “Poi finalmente ti congedi e torni a Londra?” “In realtà son tornato a Londra addirittura prima del congedo ufficiale” “Com’è possibile?” “E’ mio fratello Maurizio che ha ritirato il foglio del congedo per me. Io ero già in servizio a Londra e il documento lo ritirò lui, così ho potuto proseguire il mio svezzamento culinario in quella meravigliosa città”.

“E da allora sei sempre rimasto a Londra?” “No, aspetta, che la storia è lunga! Un professore della scuola alberghiera che mi stima, mi convince a presentare domanda per fare l’istruttore di cucina alla scuola alberghiera con cui mantengo rapporti. Ho un incarico per 18 ore la settimana.” “Anche questa sembra una cosa quasi incredibile: tu che insegni avendo alle spalle un’esperienza ancora tutto sommato piuttosto relativa. Dovevi essere un talento eccezionale” “Eccezionale è soprattutto il momento ma anche la voglia che ho” “Me lo immagino: dove vai a lavorare adesso?” “Lavoro nei più prestigiosi ristoranti milanesi mentre mio fratello lavora presso l’Hilton, sempre in sala”.

Gli anni passano, la passione no. È la volta della Florida. E poi del Canada, a Montreal

“E’ questo il momento in cui mette radici qui?” “Veramente ancora no. Maurizio sta facendo carriera nella catena Hilton. Pensiamo che questa grande organizzazione avrebbe potuto mandarci in Brasile, dove ci sarebbe tanto piaciuto andare. Ma la Hilton ha sedi in ogni Paese, o perlomeno a quell’epoca aveva, una sua autonoma direzione, sicché l’operazione che sognavamo non riesce” “Vedi che avevo ragione? Ora restate in Italia e avviate la vostra attività” “Ma niente affatto!” “E quindi?” “Quindi andiamo in America” “Dove precisamente?” “In Florida” “Fra le palme, sulle spiagge sconfinate, un clima da paradiso” “Ci sei stato?” “Macché. Ho visto tanti documentari. Dove eravate di preciso?” “A Sarasota, sulla costa sudoccidentale del Golfo del Messico” “Avete un talento sopraffino per scegliere sempre posti così deprimenti, pieni d’una sconfinata tristezza …” “Devi aver visto i documentari sbagliati. A Sarasota la vita è scoppiettante: sarà per il mare, sarà per lo shopping, sarà per il divertimento continuo che quel periodo che abbiamo passato lì ce lo ricordiamo ancora come straordinariamente piacevole” “Come si chiamava il locale?” “Per la verità quel locale per cui eravamo andati lì, non è ancora pronto; ma non abbiamo difficoltà a trovare altre opportunità, finché non decidiamo di andare a Miami…” “Altra località per pensionati scarsamente abbienti, no?” “Lavoriamo in un ristorante di lusso, il Tiberio e poi ci spostiamo a Bal Harbour”

“Per quanto tempo avete lavorato negli States?” “8 mesi negli USA, poi, ai primi anni ‘80 Maurizio torna in Italia” “Tu no?” “No, vado in Canada, a Montreal, nel Quebec: mi innamoro del posto e mi fermo” “Dal sole dei tropici, al gelo del Polo!” “Sì, sì ma il mondo è così bello” “Oh” – sospiro – “il Canada me lo immagino: tanta natura selvaggia” “SI davvero, ma anche tanto divertimento. Dato il freddo che c’è la gente d’inverno sta al chiuso, addirittura passa le giornate, ma soprattutto le nottate nella Montreal sotterranea” “E Maurizio?” “Ad un certo momento arriva anche lui” “Ed ecco che si riforma la magnifica coppia!” “A metà dei primi anni ottanta però torniamo tutti e due in Italia, precisamente a Milano, in quella straordinaria Milano da bere, dove i locali fiorivano e la vita spumeggiava inarrestabile” “E’ finalmente vi decidete, visto il contesto favorevole, scoppiettante anche qui, di aprire una vostra impresa” “No, non è ancora arrivato il momento” – fa Roberto – “Nonostante le esperienze favolose che entrambi facciamo fra la Libera, il Pontaccio, il Nazionale e una vita a mille all’ora, io scalpito. Mi va tutto stretto. Dopo sette mesi, torno in Canada e con un socio apro chez Robertò”

Non solo cucina, Roberto sviluppa anche un grande amore per i cavalli. Da trotto

“A Montreal?” “No in un bellissimo luogo di villeggiatura, fra le montagne innevate”. “Richiami tuo fratello?” “No perché intanto i rapporti col socio si rompono, me ne vado ed apro un altro locale in quella zona dove poi faranno anche la Coppa del mondo di sci” “Adesso ti tranquillizzi un po’?” “Io sono sempre stato tranquillo. Ho sempre avuto voglia di fare, conoscere e sperimentare. E‘ molto diverso” “Hai tanto lavoro?” “Per fortuna sì ma siccome la formula è quella di un bed & breakfast dove oltre alla colazione offro la cena, al mattino sono … disoccupato” “E che ti sei inventato?”

“Mi appassiono di cavalli, cavalli da corsa al trotto” “In cucina ti vedo benissimo Roberto, ma non mi sembra che tu abbia proprio un fisico da fantino, né credo che facciano correre i cavalli da tiro”. “Sciocco. Ovvio che no, facevo il groom, l’addetto ai cavalli. Dovevo occuparmi della loro pulizia, mantenere la stalla in ordine. Poi siccome quando m’appassiono alle cose voglio andare fino in fondo, piano piano sono diventato un trainer e andavo seguire le corse all’ippodromo di Montreal. Questa esperienza l’ho fatta anche in Florida dove, dato il clima, portano a svernare i cavalli da corsa” “Hai mai desiderato avere un cavallo da corsa tutto per te?” “Certo che sì; e li ho anche avuti.” “Li hai fatti anche gareggiare?” “Certo: mi ricordo Behavior, così si chiamava. Bel cavallo, m’ha anche fatto vincere dei soldi, lui” “Lui? Che intendi? Ne hai avuti anche altri?” “Ho avuto un cavallo che si chiamava Shiner Billy” “Billy il vergognoso?” “Più che vergognoso era un cavallo depresso, triste, aveva un carattere melanconico. Alcuni amici m’hanno consigliato di trovargli una compagnia. Così gli ho messo una capretta accanto e un pochino è migliorato. Ma per lo più sembrava sempre giù di morale. Gli amici che se ne intendevano e a cui chiedevo consiglio m’han detto che erano certi, data la mia creatività, che sarei stato capace di trovare una soluzione” “E l’hai trovata?” “Si, certo” “E qual è stata?” “Gli ho fatto bere del vino” “Del vino? A un cavallo? E com’è andata?” “Bene! Ha vinto perfino un paio di corse”.

Arriva l’anno 1994: è tempo di tornare. Apre la trattoria Montina in via Procaccini, a Milano

“Insomma: una bella metafora per la vita di corsa che voi due avere sempre condotto” “Si, nei 13 anni che sto fra Usa e Canada, apro anche un Harris bar ma nel 1994, ora si, è il momento di tornare in Italia”

“Non avete neanche quarant’anni e avete già un’esperienza più che ventennale nella ristorazione” “Proprio così. Vogliamo avviare una nostra iniziativa. Sicché, a febbraio c’è il compleanno, 26 anni fa abbiamo aperto la Trattoria Montina, qui in Via Procaccini” “Avete dovuto faticare agli inizi?” “No. Il locale ha subito successo. Maurizio conosceva tantissime persone per cui in sala era un continuo ricevere amici, non solo avventori. In America Maurizio ed io abbiamo incontrato personaggi come Charlie Chaplin, Liz Taylor, Nicholson, Ava Gardner. Ma anche in Italia abbiamo incontrato tantissime celebrità.” “Che cosa ti riconoscevano non solo questi personaggi famosi, ma la clientela quotidiana, semplici appassionati della buona tavola?” “Creatività e innovazione, frutto di tutto quello che avevo sperimentato in giro. Noi Montina siamo stati i primi a servire gli hamburger al ristorante” “Ma voi non siete specializzati solo in carne, vero?” “Macché, negli anni abbiamo fatto fino a 100 chili di aragoste al mese”

“Hai una predilezione per certi cibi?” “Guarda, il pesce è delicato. Devi avere garbo, tatto è un po’ come fare la corte a una bella donna. Devi stare all’occhio, gentile ma fermo, presente ma non invadente” “E la carne?” “Qui c’è bisogno del maschio, più tosto e rude” “Ecco che viene fuori l’Harleysta” “Adesso che fai, mi prendi in giro come tutti i non harleysti? Cioè, m’invidi?” “Caro mio: m’inchino davanti al cuoco. Ma davanti al motociclista mi inalbero. Motociclista? Ma che dico? tu non guidi una motocicletta. Tu guidi un divano. E poi ti tocca andar sempre diritto, perché i divani non girano” “Giovanottino. Per tua norma e regola, io quando scendo dalla mia Electra Glyde mi dispiaccio solo che il viaggio sia bell’e finito, perché se non fosse che sono arrivato, proseguirei ancora per ore” “Per forza, prima che voi con le Harley riusciate ad arrivare dove avevate appuntamento con noi, i motociclisti veri, siamo già stati a cena, magari anche al cinema” “E allora sarà bene che tu quel film te lo riveda un po’ di volte, perché se speri che ti dia da mangiare io …”