Il signor Carlo Cappelletti: il genio della lampada

La caverna dei tesori

Sono accolto con grande cordialità da un uomo imponente, davvero molto grande. Altrettanto immenso è lo spazio in cui il Signor Carlo mi riceve: una serie di stanze comunicanti l’una con l’altra, ciascuna di esse ampia quanto un trilocale spazioso. Il passo del mio ospite è svelto, nonostante abbia un piede fasciato in modo clamoroso. Sicché noto appena nelle librerie e negli scaffali che nascondono le pareti, disseminati sui tavoli e sulle scrivanie, oggetti d’ogni genere e forma. Accanto a cose che ti aspetti di vedere come libri, riviste, computer, ci sono tantissimi altri oggetti che il mio sguardo fa appena a tempo a cogliere, che subito ne è attratto da altri, se possibile, ancora più bizzarri. Sbalordito, trotto per star dietro al mio ospite che approda nell’ultima delle tre stanze. Si siede dietro la scrivania, al posto di comando, io mi seggo di fronte a lui. Ci divide un tavolo da lavoro vasto come una portaerei sul cui ponte le mani del Signor Carlo appaiono come bombardieri giudiziosamente parcheggiati.

Un uomo o una roccia?

“Già, il mio piede!. Un dito c’era che non andava. Allora ho detto al dottore: Via! Lo levi, lo tagli, che lo lascia a fare lì? Se non va, non va! Il dottore traccheggiava, diceva di aspettare ancora un po’ … Macché, macché – faccio io – via, su tagliare, amputare. Mi veniva il nervoso a vedere questo dottore perplesso, incerto. Insomma – insisto – questo benedetto dito, o serve o non serve? E se non serve …E poi sa, quasi mi veniva da ridere. Ieri me l’han tagliato e oggi son qui. Oh poi! Tutte ‘ste sguerguenze per un dito. Nel 2017 mi hanno fermato per mettermi due bypass. Avevo l’aorta chiusa al 96%.” Lo dice in tono asciutto, come noi potremmo dire: ‘indosso la taglia cinquanta’, oppure ‘amo più il mare della montagna’. Poi mi fa, con lo stesso tono: “Sette giorni dopo l’operazione, incomincio la riabilitazione” Vorrei esprimere tutto il mio stupore, evidenziare la sorpresa, manifestare sconfinato apprezzamento per questa sua vitalità leonina che il Signor Carlo mi anticipa, sovrastandomi:


“Venti giorni dopo dico ai medici, quelli lì dell’ospedale, che se non vengono subito mia moglie o mia figlia a prendermi, verrà il Mombelli” “E chi è il Mombelli?” faccio io: “Un taxista?” “No, è quello delle pompe funebri”. Già perché questo è un uomo che non può stare fermo. “Nemmeno in vacanza?” “Vacanza?”

Il mulo Trento

“Forse da bambino qualche giorno l’avrò fatto. Mio zio prendeva i muli che l’esercito dismetteva per farli lavorare nella sua impresa. E bisognava dargliene tante, perché erano testardi, indisciplinati, dei veri muli, ecco. Me ne ricordo uno in particolare. Si chiamava Trento. Questo mulo però era proprio bravo. A lui lo zio voleva bene più che alla moglie. Lo chiamava e lui veniva subito, si faceva grattare il muso e con il muso lo spingeva. Voleva coccole. Le cercava proprio. Ma io quali vacanze mi rammento d’aver fatto? Dallo zio là in montagna, si raccoglievano le foglie per poi metterle nei sacconi e su questi la notte ci si dormiva. Di giorno si portavano i muli al pascolo e la sera si riportavano in stalla. Mangiavo a cena delle caciotte. Erano buonissime. Ma i ricordi di vacanze da bambino sono proprio pochi. Per forza. Sono rimasto orfano a 13 anni e mezzo. Papà, l’unico in famiglia a lavorare, muore a 51 anni. Io sono l’ultimo di quattro figli (un fratello e due sorelle). Mi mandano a lavorare come garzone da un fabbro a 10 – 11 anni. Mentre una delle mie sorelle va a servizio nella casa di un dirigente dell’Alfa Romeo”

Esperienze della prima gioventù

“E questa è stata una svolta importante nella mia vita. Ho trovato un secondo padre nel capo collaudatore dell’Alfa Romeo. Questo signore non lo dimenticherò mai: Cosvaldo Sanesi, così si chiamava, m’inserisce nel mondo dei motori a cui m’appassiono così tanto da esserci ancora oggi immerso completamente, dopo settant’anni e più. Nei primi anni Sessanta avevano un grandissimo successo le gare di velocità per derivate di serie. Fra le vetture più utilizzate dagli specialisti c’erano ovviamente le Giulietta e poi le Giulia che preparatori come Zagato e Abarth allestivano da par loro. Nei primi anni Sessanta nasce l’Auto Delta che appronta nella massima segretezza tanti progetti d’auto preparate su base Giulia con meccaniche Alfa Romeo e con carrozzerie della Zagato. Alla fine l’Alfa Romeo decide che l’Auto Delta deve diventare il proprio reparto corse. Nel 1965 realizza questo gioiello, la Giulia TZ2 del 1965

Poi però le cose cambiarono, l’Alfa Romeo decise di darsi un assetto diverso e in breve chiuse l’Auto Delta. Questo ingegnere fu trasferito a Roma e ci portò con sé, mia sorella ed io. Lì ci feci il militare, presi la patente e diventai un autista in servizio ai Ministeri. Avrei dovuto fare la ferma dei tradizionali diciotto mesi, invece ci passai ben quattro anni.

Difficoltà e dispiaceri

“Nel frattempo mentre io stavo a Roma durante la settimana e tornavo su a Chiari ogni week end, mio fratello aprì una società di pavimenti in graniglia. La conosce no, la graniglia? Si tratta di una mescola di cemento colorato in cui dentro ci brillano piccoli frammenti di vetro o di marmo. Con questo materiale si posano bellissimi pavimenti. La graniglia può essere utilizzata anche sopra i mobili che si mettono in cucina per fare dei robusti piani di lavoro, o anche sui lavabi. Insomma, la graniglia può essere impiegata in mille e più usi che a un architetto in gamba vengano in mente. Per avviare un’impresa il momento sembrava davvero quello giusto. Gli anni Sessanta furono proprio quelli del nostro boom economico. C’era tutta una corsa spasmodica alle spese per abbellire la nostra vita: automobili, elettrodomestici, mobili e beni di questo tipo cominciarono ad invadere le nostre case. Tutto sembrava possibile, alla portata. Soprattutto c’era tanta voglia di lasciarsi alle spalle tanti anni di patimenti, di sofferenze, di ristrettezze. I più capaci, i più solidi, i più attrezzati strutturalmente e mentalmente riuscirono, ebbero successo. Molti fecero delle vere fortune. Altri ci provarono. Provare non basta. Purtroppo. Così mio fratello, probabilmente per una sua certa, congenita fragilità di carattere, incappò in difficoltà operative per sormontare le quali intervenni anch’io. Costituimmo una società a responsabilità limitata con mio fratello amministratore unico ed un nostro cugino come socio. Di soldi ne giravano tanti ma in cassa, non capivo bene perché, ne restavano pochi. Io sono testardo: volli guardare dentro i meccanismi dell’azienda. Così mi misi ad esaminare i conti della società. Tanta fu la lena in quest’operazione che il cugino, offeso dal mio controllo, lasciò la società. Lo dovetti liquidare. Feci uno sforzo importante per rintracciare le risorse economiche necessarie all’operazione. Ma le cose continuarono a non andare. Poi venne fuori la verità. Scoprì che mio fratello sprecava i soldi giocando a carte. Mia madre aveva un debole per lui, non riusciva a parlarmi a cuore aperto, mi nascondeva le cose. Per me fu una situazione durissima: puoi combattere contro il mondo, ma in casa ti devi sentire spalleggiato, al sicuro.

Forza e carattere

“Sembra che le disgrazie si chiamino l’una l’altra. Una sera ero uscito a cena con la mia fidanzata. Mentre tornavamo a riprendere la macchina, vidi dei farabutti che cercavano di scassinarla: volevano rubarsela. Anche se erano in tre, m’avventai contro di loro. Questi provarono a resistermi ma poi scapparono, saltando in macchina. Li inseguì, li raggiunsi e ci prendemmo a cazzotti. Nonostante fossero in tre, e quindi di ferite me ne inflissero anche loro, gliele detti di santa ragione. Tant’è che uno di loro finì all’ospedale. Pensi che quel disgraziato ebbe il coraggio, la sfrontatezza di denunciarmi per lesioni gravi. Come se fossi andato io a cercarlo! Per fortuna questa disavventura andò a finire bene, senza ulteriori conseguenze. Ma le disgrazie come le ho già detto mi rincorrevano. In questi anni morì una mia sorella di 37 anni

Imprenditore energico

“Negli anni 70 il boom economico è bell’e finito. Cominciavano gli anni della recessione, la crisi petrolifera mise in ginocchio il paese. Ma fece aguzzare l’ingegno a chi aveva voglia di reagire. E io di grinta ne ho sempre avuta da vendere. Mi resi conto che avendo sede la nostra impresa di graniglie nel modenese, sarebbe convenuto trasformarla in un’azienda per produrre piastrelle di ceramica. A Modena e a Sassuolo si sa trattare la ceramica; ne carpì i segreti, convinsi mio fratello ad attuare questo cambiamento e puntai decisamente su questa nuova produzione. Ma prima che questo cambiamento potesse essere introdotto, un’altra disgrazia s’abbattè su di me.

“Il 28 marzo 1986 mio fratello ebbe un infarto tragico e a 38 anni, lasciò vedova la moglie e orfani i due figli piccoli. Decisi allora di costituire subito una società a nome collettivo al 50% con mia moglie. Pensi che continuavo a darle del lei a mia cognata. Sa perché? Un certo giorno s’era permessa di rispondere male a mia madre. Ora, anche se la mamma non mi amava, e io lo sapevo bene, non consentivo le venisse mancato di rispetto.

“La situazione finanziaria però s’era parecchio complicata. Dovetti accendere molte cambiali ipotecarie. Tutti i mesi davo a mia cognata la quota di sua spettanza. Scopersi poi che lei con quei soldi mica pagava le quote dovute. A mia insaputa usò quei fondi per comprarsi ed intestarsi un appartamento. Quando lo scoprì, la liquidai e andai avanti da solo.

“E così mi trovai una montagna di debiti da scalare. Mia cognata e mio fratello avevano ottenuto 10 milioni di fido ma s’erano così allargati che avevano uno scoperto di 170 milioni. Con questa situazione alle spalle intervenni in modo deciso e determinato. Prima di tutto smisi con la graniglia e cominciai ad occuparmi della ceramica. Poi mi decisi a ridurre il personale: ridussi l’organico da dieci dipendenti a due. Ed infine, mi riuscì portare a termine un’operazione eccellente. C’erano in ditta dei macchinari da rottamare che riuscì a vendere a un arabo di Riad. Con quei soldi rimpannucciai l’azienda ma cedetti il capannone che per le nuove necessità produttive era diventato troppo grande.

“M’è giunta voce che faceva la settimana corta, è vero?” “E come no: due giorni li passavo a Chiari e due a Modena. Facevo sempre un doppio lavoro” “Piastrelle a Modena. E a Chiari?” “Cominciai ad occuparmi dell’assistenza ai veicoli in panne. Pensi che come carro attrezzi avevo un vecchio due cilindri della Lancia che per farlo partire dovevo metterlo in discesa.

Competenze ed esperienze significative ed esclusive

“Ritorna l’amore per i motori?” “Non era mai smesso. Io le ho sempre ‘sentite’ le macchine. Io ho sempre saputo come si riparano. E’ questo il mestiere che m’ha sempre appassionato. Lo sa che una volta che ero a Roma, mi telefonò un signore da Cortina. Aveva la Ferrari che non ripartiva. S’era fermato a mangiare al ristorante e quando decise di andarsene, la macchina non si mise in moto. Ebbe il mio numero e credeva che sarei andato il prima possibile da lui. Cercando di infondergli calma, lo pregai di raccontarmi l’accaduto, poi mi feci ragguagliare sui ‘sintomi’ ed in fine, da remoto, emisi la mia diagnosi. E funzionò.

“Grande sensibilità motoristica!” “Guardi, ho maturato davvero una grande esperienza di soccorso. Difficilmente quando usciamo per andare ad aiutare clienti in difficoltà con le loro auto, li costringiamo a seguirci in officina. Il mio obiettivo è far ripartire il cliente il prima possibile. Andiamo lì, attrezzati in tutto e per tutto e per prima cosa noi ci occupiamo di alleviare l’ansia, far uscire il cliente da quella sensazione di panico in cui si trova. Chi è in viaggio che sia per lavoro o per affari si dispera se è costretto a un arresto imprevisto. Chi ha la macchina ferma per un guasto, per un piccolo incidente, è nel panico. Noi lo facciamo ripartire. La mia soddisfazione sta tutta lì, nel farlo ripartire” “Beh, capisco che dev’essere una bella soddisfazione. Risolvere problemi, aiutare chi è in difficoltà. Non è un lavoro per tutti”

L’etica

“Guardi, io ho un profondo convincimento: bisogna aiutarsi l’uno con l’altro. Non bisogna perdersi d’animo. A fare del bene, questo ritorna. Invariabilmente. Ho sviluppato un’etica sociale al riguardo. Chi è stato sotto padrone sa quanto è duro. La mia etica comincia dalla cura maniacale dei mezzi. In tutti i campi, in tutti i settori ci sono tanti modi per stare negli affari. Ebbene, io ne pratico uno solo. Se faccio il fiduciario del tribunale, c’è un motivo. Nessun’ombra. Io non voglio provvigioni né dai meccanici né dai carrozzieri. Né tollero che sia possibile ‘accomodare’ le cose. Se un’auto con le gomme lisce, ha provocato un incidente, non deve essere pensabile, nemmeno per un minuto, che qualcuno possa convincere il riparatore a sostituire gli pneumatici usurati con altri ancora accettabili. E poi vede, bisogna stare attenti. Se fanno una rapina in una casa, esce la scientifica per rilevare tutte le tracce e ricostruire che cos’è accaduto sotto ogni aspetto. Sa che succede in caso di incidente stradale in cui siano morte delle persone? Si fanno delle foto per documentare e cercare di far emergere le dinamiche intercorse. Ma il rischio che la documentazione non sia accurata è alto come alto, in conseguenza di ciò, è il rischio di essere condannati ingiustamente” “Può farmi qualche esempio?” “Volentieri. Potrebbe escludere che quel tizio che ha provocato l’incidente sia incorso in questa disavventura non per la sua condotta avventata ma perché magari un ammortizzatore all’improvviso si è bloccato? Resta la colpa, ma il livello di responsabilità cambia parecchio, non crede?

Esperienza e cuore di un soccorritore

“Certo che in tutti questi anni di militanza nel Soccorso Stradale, deve averne viste di situazioni gravi!” “Indubbiamente sì. Pensi anche che sono stato Presidente del Consiglio Soccorso Stradale per quindici anni. Ho conseguito anche un Diploma europeo per il depannage. Certi episodi sono rimasti indelebili nella mia memoria pur, come le dicevo, averne viste tante di situazioni difficili. Per esempio, questo è successo recentemente. Vado a recuperare un’auto rimasta coinvolta in uno spaventoso incidente: il conducente ed il passeggero, marito e moglie, seduti accanto sono morti nell’impatto. Nel divano posteriore era rimasta placidamente addormentata la loro piccolina. Non s’era accorta di nulla” “Povera piccola” “Già. Una volta m’è successo di intervenire perché in un altro incidente, una ragazza alla guida della sua auto, uscita di strada, era deceduta. Quando arrivo, la vedo composta, perfetta, al posto di guida. Sembrava dormisse. Ma non c’era più. Era soltanto un simulacro. Tutto s’era dissolto, restava mera apparenza. Succede anche che i Carabinieri mi chiamino per andare a prendere una persona che si era suicidata in auto con il tubo di gomma collegato allo scappamento che immetteva i gas di scarico dentro l’auto. Recuperare il cadavere è un’impresa alla quale l’addetto delle pompe funebri si sottrae. Con qualche marchingegno io comunque riesco a deporlo nella bara” “L’esperienza del soccorso non si esaurisce però soltanto nell’ambito stradale, vero?” “No, in effetti, no. Nel 1976 ci fu il terremoto del Friuli. In quell’occasione il generale Dalla Chiesa mi aveva firmato 30 fogli in bianco perché potessi provvedere a requisire materiale di supporto che mi fosse stato richiesto dalle autorità. Da Buia, quasi epicentro della spaventosa tragedia, Don Valerio e la madre superiore di una casa di riposo mi chiesero cento letti per far ricoverare feriti e sopravvissuti. Non mi chieda come, ma riuscì a trovarne centocinque in deposito da un fabbricante che aveva all’epoca sbagliato le misure sicché non li aveva potuti consegnare al cliente che gli aveva fatto l’ordine. Al venerdì li requisisco e al sabato pomeriggio partirono i camion con dentro tutto il necessario con lenzuola, materassi, coperte

Passioni

“Vedo che nella sua vita c’è stato e c’è ancora spazio per delle grandi passioni” Dico questo alludendo ad un’intera stanza tappezzata di dischi riposti in contenitori di metallo, tutti fatti dal Signor Carlo. Mentre fa partire un concerto su un giradischi d’epoca, accenna a un gorgheggio mentre s’esaurisce un 45 giri che stava suonando su un altro apparecchio. Sono convinto che se potesse ballerebbe anche. Questa stanza raccoglie qualche migliaio di dischi, 45, 33 e 78 giri, tutti schedati e divisi per tipologia: jazz ma anche musica sinfonica; canzoni popolari e operistica; musica leggera e grandi direttori …Un emporio pittoresco pieno di meravigliose sonorità. Una curiosità: nel ‘reparto’ musica leggera ci sono molti contributi del Clan di Celentano: “All’epoca – mi racconta il signor Carlo – bazzicavo quell’ambiente. Vedevo Gaber, Jannacci. Mi confrontavo anche con della Bona e Canzi che erano due impresari del clan. Incontravo Luciano Beretta, un grande paroliere. Ho poi conosciuto Al Bano, Don Backy che ho anche seguito, simpatizzando per lui, all’epoca della lite con Adriano. Finì, ricorderà, con gli avvocati di mezzo”

La caverna di Alì Babà

L’incontro termina mentre osservo sorpreso tanti oggetti mai visti in precedenza, perlomeno da questa distanza: una slot machine originale americana. Piccola, compatta, un po’ inquietante con quei simbolini che ammiccano dalle feritoie. “E questo che cos’è?” “Una macchina per tagliare le guaine dagli impianti di rame” Ed infine prendo in mano una specie di ferro da stiro che ha una sorta di beccuccio per far andare il vapore caldo su per le maniche delle tonache dei frati. Non sarei sorpreso se, avvicinandomi a quell’ampolla, laggiù nell’angolo, e magari mettendomi a strofinarla, non comparisse il ‘genio della lampada’. Che sciocco: è qui, ce l’ho sempre avuto qui, davanti a me.