Da calzolai a “ricercatori” dell’ortopedia:
la storia della ditta Primo Cecilia

Da calzolai a “ricercatori” dell’ortopedia: la storia della ditta Primo Cecilia

“Che energia e che determinazione ha questa signora” dico fra me e me mentre la vedo aggirarsi nella sua bella ed articolata struttura: un’ortopedia moderna e scintillante, di importanti dimensioni che si sviluppa addirittura su due locali separati ma vicini, di oltre 900 mq complessivi.

“Abbiamo sei filiali qui in Italia centrale ed un’altra su, verso di voi, in Emilia” mi fa con orgoglio ma senza la minima arroganza.

La signora – “Piacere, Marisa Rossi” si presenta – non ha alcuna responsabilità operativa, ma per il solo fatto di stare in negozio, salutare i clienti, scambiare due parole con qualche addetto, orienta l’atteggiamento complessivo di tutti i componenti dell’organizzazione.

Mi pare un direttore d’orchestra che seppure non suoni neanche uno strumento, sa sprigionare un’armonia incomparabile coordinando i movimenti di tutti i professori d’orchestra. Praticamente “professori” sono infatti i suoi collaboratori: tecnici specializzati in ortesi (con l’accento – mi raccomando – sulla “o”), veri professionisti nella correzione degli arti di chi abbia necessità di ricorrervi per incidente o natura.

“Perché l’anima dell’uomo non è un sacco da riempire, ma un fuoco da accendere”

“Caro mio” – mi fa – “sappia che la salute è un valore migliorabile” “Ha ragione. Lo diceva anche mia nonna: chi è in buona salute è ricco senza saperlo” “Faceva l’ortopedica anche sua nonna?” “Macché! Però sfornava proverbi a centinaia” “Doveva essere una grande lavoratrice” “Perché?” “Perché solo chi ha fatto una grande esperienza di vita e di lavoro può insegnare e soprattutto far ricordare quanto ha insegnato. E sa perché? Perché l’anima dell’uomo non è un sacco da riempire, ma un fuoco da accendere”
I figli della signora Marisa, Massimo ed Alessandro, entrambi diplomati prima e successivamente laureati in Tecnica Ortopedica che incontrerò più tardi, mi daranno una formidabile testimonianza di quest’affermazione. Mia nonna avrebbe pontificato così: ‘Tanto l’amore quanto il fuoco debbono essere attizzati. Come dire che nulla nasce dal caso e che per ottenere il successo ci vogliono tre cose: impegno, impegno e impegno.

“Signora Marisa: ma lei è nata ortopedica?” “Ma non scherziamo. È Primo, mio marito che ha fatto diventare un’ortopedica pure me” “Primo? Come Carnera?” “Si ma Primo non era né “La montagna che cammina”, né era nato all’inizio del Novecento come il celebre pugile. Il mio Primo, infatti, nasce nel 1931 e a sei anni ha cominciato a lavorare nell’impresa di calzature e calzoleria che aveva messo su suo padre” “Un figlio d’arte, allora?” “Figlio e nipote d’arte se vuole. Sia il nonno, sia il bisnonno erano tutti calzolai che facevano scarpe su misura, pagati il più delle volte in natura, niente soldi. E via, piegato sul desco con la semenza in bocca, una semenzetta piegata e ribattuta chissà quante volte. Scommetto che lei non lo sa che cos’è una “semenza”, vero?”” Ecco, le mie reminiscenze classiche … ““Si, ho capito.

Primo: da calzolaio artigiano a professionista dell’ortopedia

La semenza è un chiodino per calzolai, a testa piatta, con il gambo quadrato e affilato, piccolino, corto. Serviva a tenere insieme la tomaia con la suola. Era tutto un “leva e metti”. Sicché i nostri vecchi son diventati maestri nel recuperare gli scarti, le robe vecchie. Non si buttava via mai nulla. Le scarpe sono ormai disfatte e irrecuperabili? Ma i chiodini (le semenzette) erano sempre riutilizzabili. Bastava raddrizzarle” “Eh sì, a saperlo fare” “Che crede? La bella moglie non l’ottiene l’infingardo” “Lei vuol dire che in tutto occorre impegno e sacrificio?” “E certo. Mi dica lei se non è vero il detto “a chi non vuol far fatiche il terreno produce ortiche” “Perbacco, questo l’ho sentito dire anche da mia nonna. È proprio vero: col nulla non si fa nulla; quando manca tutto bisogna ingegnarsi” “E Primo s’ingegna, eccome se s’ingegna. Adesso le racconto bene”

Finora ballonzolavamo da un piede all’altro, in piedi nell’ampio show room. Adesso ci accomodiamo con un buon caffè su due poltroncine. E la signora Marisa continua: “Primo ha 4 fratelli (due maschi e una femmina). Uno dei maschi diventa musicista: ha perfino creato una scuola di musica qui a Rieti che ora è della famiglia. Ma non voglio divagare. Primo ha il sesto senso degli affari: subito si rende conto che i lavori su misura son quelli che gli permetteranno di fare la differenza rispetto alla concorrenza.

S’andava in giro per mercati, ora a Fano, poi a Pescara; un altro giorno a Roma e quello dopo a Porto San Giorgio” “Che cosa cercavate sui mercati?” “Compravamo sia le pelli per fare appunto la produzione su misura, sia le scarpe bell’e pronte da rivendere” “Trattavate solo ed esclusivamente scarpe?” “No, proprio agli inizi avevamo un approccio misto: sia borse che scarpe. Ma oggi ci occupiamo solo di fornire scarpe per le sanitarie. Da un punto di vista puramente mercantile questo approccio è vantaggioso perché si fanno meno rimanenze” “Lei mi diceva però che non è nata “ortopedica”, vero?” È vero. I miei genitori erano anch’essi commercianti ma operavano nel mercato degli alimentari” “Come ha conosciuto suo marito?” “Eravamo giovani, si stava nello stesso posto.

Il matrimonio tra Primo e Marisa, il lavoro, i rischi da imprenditori; la famiglia cresce

Primo era ambizioso. Voleva emergere tant’è vero che a vent’anni comincia a studiare per diventare un ortopedico vero, fatto e finito, come diceva lui. Il padre non era contrario per principio, tuttavia gli offre di restare e di assumere su di sé metà dell’impresa. Ma Primo insiste: vo e provo, se non ce la fo, allora torno. E così parte e va a Perugia a studiare mentre io tengo il negozio qui a Rieti.

Corrono i primi anni Cinquanta: ci siamo appena sposati. Siamo di sicuro due incoscienti. Perlomeno ci dicono così i nostri genitori che ci vedono caricarci di debiti. D’altra parte, la banca, vedendo la nostra intraprendenza e spirito di sacrificio, ci dava credito. Il loro tornaconto era che ci obbligavano a pagare un sacco di interessi. Pensi che una volta ci siamo fatti prestare i soldi pure per comprare una cambiale. Ma io l’incoraggiavo: compriamo Primo, compriamo. È un affare. Oh, m’ascolti bene: non compravamo mica gioielli, sa? Compriamo case, terreni, negozi. Io gli dicevo: non ce la facciamo a pagarli? Vorrà dire che li renderemo!”

“Non è mai successo” “Certo che no: abbiamo lavorato come matti, ma i frutti si sono visti” “Nel frattempo la famiglia cresce” “Eh sì: nel 1966 nasce Massimo e nel 1974 Alessandro”” Che ora sono alla guida dell’Azienda” “Sì: Primo è mancato 13 anni fa ma i ragazzi per fortuna erano già grandi e ben inseriti nell’organizzazione. Loro infatti dopo il diploma in ragioneria si laureano entrambi in Tecnica Ortopedica e sono diventati il motore dell’impresa” “Hanno figli?” “Si ho tre nipoti che sono proprio bravi a scuola. Due adesso fanno medicina” “Pensa che non si inseriranno nell’organizzazione di famiglia?” “Chi lo sa. Bisognerà vedere, capire. Intanto si preparano alla vita. Ecco, questo è mio figlio Alessandro. Parli un po’ con lui ora”

Di padre in figlio: Primo muore, l’azienda in mano a Massimo e Alessandro (e ovviamente a Marisa)

Alessandro, il più giovane dei fratelli Cecilia, mi accoglie nel suo ufficio ed è contento di ripercorrere la storia della sua Azienda: “La Primo Cecilia nasce come ditta individuale nei primi anni Cinquanta. Produce calzature con un’esperienza tramandata di padre in figlio ed oggi costituisce un punto di riferimento nel centro Italia per il trattamento del piede diabetico, per la prevenzione e cura delle patologie ortopediche, per la protesica, la protezione degli arti e la disabilità” “Sua madre mi ha appena raccontato di come lei e suo padre hanno cominciato battendo i mercati dell’Italia centrale. Erano sicuramente anni duri ma densi di prospettive” “Certamente lo spirito imprenditoriale di quell’epoca era particolare. Non creda però che oggi si possa fare a meno della creatività e della fantasia. Anzi, quando le opportunità si riducono per le difficoltà del mercato, per l’inasprirsi della concorrenza e lì che occorre riuscire a fare la differenza” “Può farmi qualche esempio?”

L’ortopedia Primo Cecilia oggi: le collaborazioni con il mondo dello sport…

“Fra i tanti possibili mi piace parlarle della nostra esperienza nel mondo dello sport. Collaboriamo con le Nazionali Italiana di Canottaggio e di Pesistica. Non solo, forniamo i nostri servizi anche ad importanti società sportive” “Ho visto che sponsorizzate anche una Società sportiva del calcio a cinque”“Sì: la Virtus Palombara che milita in C2. Questa è un’esperienza interessante. Qui esprimiamo, mi permetta di dirlo, al meglio la nostra filosofia. Il piede dello sportivo è sottoposto a sollecitazioni superiori alla norma, quali ad esempio accelerazioni, improvvisi arresti, cambi di direzione: attraverso la realizzazione del plantare su misura è possibile infatti migliorare le prestazioni, ammortizzare urti e sollecitazioni, prevenire crampi e tendiniti e l’insorgere di dolori alle articolazioni metatarsali. Consapevoli di ciò noi più che curare vorremmo proprio prevenire l’esigenza dell’intervento a posteriori, a danno fatto, cioè.” “In questa logica va dunque visto anche lo sviluppo degli intensi rapporti con le Università di Bologna e di Modena?” “Sì perché vede, il valore della Primo Cecilia è soprattutto l’aver saputo trasferire il sapere artigiano all’interno di processi innovativi altamente tecnici, diventando un’azienda di riferimento del settore dell’ortopedia tecnica e della realizzazione di ortesi.

…e le collaborazioni con le Università

Quindi da una parte siamo coinvolti in studi universitari dall’altra siamo impegnati in continui aggiornamenti riferiti alla tecnica ortopedica applicata per la progettazione e realizzazione dei presidi calzaturieri con marchio della Comunità Europea, in serie e su misura” “Bene dunque: le parole d’ordine, identificative mi sembrano innovazione sistematica e continua e competenze specifiche consolidate e costantemente arricchite ed aggiornate” “Si, se proprio dobbiamo semplificare, è così. Sistematizzando un po’ le cose: la Primo Cecilia fornisce una gamma completa di prodotti ortopedici, sanitari ed elettromedicali di ultima generazione. Propone esami diagnostici strumentali ad elevato valore tecnologico. Inoltre, mette a disposizione dei suoi clienti, a fronte di specifiche esigenze contingenti, una vasta gamma di apparecchiature ed ausili diversi per soddisfare qualunque esigenza di benessere e di comfort. L’obiettivo, coerentemente con la nostra mission, è quello di migliorare le condizioni di vita e la ricerca del benessere da parte delle persone. In Italia noi siamo l’unica azienda di questo tipo che disponga di una propria linea di produzione per quanto riguarda le calzature” “Nella vostra brochure di presentazione infatti l’ho letta la vostra mission: ‘la ricerca e la definizione delle migliori soluzioni mirate e la personalizzazione dei presidi più adatti a ciascuna specifica esigenza, ponendosi come unico obiettivo il benessere di ogni individuo. Mi colpisce il termine ‘benessere’” “E fa bene perché occuparsi di benessere richiede costante impegno e un aggiornamento continuo, non solo sotto l’aspetto metodologico, ma anche per quanto concerne gli strumenti utilizzati. E la Primo Cecilia è all’avanguardia su questo terreno”
“Con la concorrenza come la mettiamo?” È a Massimo, l’altro figlio della signora Marisa che è appena arrivato, a cui rivolgo questa domanda: “Partendo dal presupposto che dobbiamo sempre il massimo rispetto a tutti coloro che operano nello stesso mercato, a mio parere, il parametro di riferimento non è esterno a noi, bensì interno, mi capisce?” “Vuol dire che la misura della competizione consiste nella continua spinta a migliorare se stessi?” “Certamente. Ormai qualsiasi operatore in qualsiasi contesto operi, badi bene, afferma ed assicura di saper fare tutto e per di più ciascuna cosa al meglio possibile” “Ma chi è in grado di giudicare se ha ragione o meno?” “Secondo lei?” “Il cliente, direi. Non ci sono storie”

“L’ortopedia oziosa non può esser virtuosa’”

“Ha parlato con i miei figli?” mi fa la signora Marisa mentre m’avvicino per salutarla. Le racconto quanto interessante sia stato per me conoscere Alessandro e Massimo della cui intraprendenza e competenza sono rimasto colpito. “Soprattutto” le faccio “m’ha impressionato lo sforzo per il continuo miglioramento in cui tutta la vostra impresa è impegnata. “Caro lei” mi fa serafica” “‘L’ortopedia oziosa non può esser virtuosa’” mentre incede nell’ampio show room, ricco di modelli ed esemplari per ogni più diversa esigenza. “Tutte queste macchine in mostra mi fanno pensare che lei sia d’accordo col detto: ‘Se occhio non mira, cuore non sospira’. Vero?” “Figliolo: di certo la gente, i clienti vanno incuriositi, invogliati, attratti. L’uomo è un animale che desidera. Perciò far vedere gli oggetti, permettere di provarli, di toccarli è fondamentale. Ma anche se ci mette tutto l’impegno, tutta la qualità, tutta l’energia ancora non basta” “Che posso fare di più?” “Ci metta passione, gioia, doni se stesso: ‘Chi vuol essere amato, divenga amabile’”

stannah

Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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