Luisa è un “fuoco lavorato”!
Se mia nonna l’avesse conosciuta, dopo un quarto d’ora che ci parlava insieme, l’avrebbe definita proprio così, perché in tal modo ne avrebbe evidenziato, con questo epiteto, grinta, determinazione, forza espressiva, energia, brillantezza. Sì, proprio: sto parlando della Signora Luisa. Dove vive questo fiume in piena? A Mede. Scommetto che la maggior parte delle persone non abbia la minima idea di dove sorga Mede; vero? No, non sto parlando di Meda, ma di Mede, provincia di Pavia. Siamo nella verde Lomellina: nella pianura tra il Po, l’Agogna e il Sesia. A soli 96 km da Torino, a 60 da Milano, a 45 da Novara, a 42 da Abbiategrasso, a 40 da Vercelli, a 39 da Pavia, a 31 da Vigevano, a 30 da Alessandria, Tortona, Casale Monferrato, a 29 da Voghera, Borgolavezzaro, a 21 da Mortara.
Siamo a Mede, nel cuore della Lomellina
È più chiaro adesso dove siamo? Mede è un importante centro agricolo fin dall’epoca romana. Qui ci nacque Giuseppe Amisani, conosciuto come il pittore dei Re. In piena Belle Epoque, Amisani divenne noto per l’estrema eleganza dei tratti e per i colori freschi dei suoi particolari dipinti, di solito di figure femminili. I suoi ritratti erano contesi dall’alta nobiltà e dalle celebrità del suo tempo, tra cui il Re d’Egitto Faud. Bene, in questo paesino sono andato ad incontrare la signora Luisa.
Luisa oggi è titolare dell’ortopedia Sanitas
È molto divertente parlare di lei imprenditrice fin da bambina, cantante, animatrice cabarettista, poetessa e oggi titolare dell’ortopedia Sanitas. Sono andato un paio di volte a trovarla nel suo negozio e già dopo la prima visita avevo proposto che il negozio cambiasse nome: da Sanitas a Felicitas, tanta era l’allegria che vi si respirava. “Lo sa che, ancora ragazzina, sono apparsa sul prestigioso Sole 24 ore?” “No! Che aveva combinato?” “Ora le racconto: fra la fine degli anni sessanta ed i primi anni settanta con il mio amico Franco, giovanotto di una decina d’anni più vecchio di me, c’eravamo dati alle invenzioni”. “Lo sa che Leibniz disse: ‘Niente è più importante che poter osservare le fonti dell’invenzione: sono più interessanti delle invenzioni stesse’?”. “Che cosa vuol dire?” “In pratica semplicemente che il processo è più importante del risultato. Sono sicuramente curioso di sapere che cosa avete inventato, ma sono ancora più curioso di sapere di lei e del suo amico”.
L’amico Franco e le invenzioni (tra cui la candeletta per il diesel)
“Franco è sempre stato un tipo estroso, creativo, ricco di fantasia, ed io sono sempre stata una curiosona che trovava tutto il mondo interessante. Per farla breve quel geniaccio di Franco ha inventato e brevettato nientepopodimeno che la candeletta per preriscaldare il motore diesel”. “Ma non è roba inventata dalla Bosch?” “Diciamo che la Bosch ne è entrata in possesso grazie alla Fiat, la prima dei clienti che andammo a visitare”. “E la Fiat comprò?” “Certamente. Comprò e commercializzò l’attrezzo brevettato da Franco e poi lo cedette alla Bosch. Nel frattempo andammo anche a Verona in Volkswagen, e in Ford, a Roma prima e a Parigi poi”. “Lo spirito d’iniziativa non vi mancava davvero”.
“E nemmeno le idee. Franco ebbe un’altra intuizione. S’era chiesto: ma come fanno i camionisti a rinfrescarsi, soprattutto d’estate? Ti ricordo che stiamo parlando degli anni a cavallo fra il sessanta ed il settanta, dove magari gli impianti doccia in Autogrill non erano ancora stati approntati”. “Mi sta dicendo che Franco ha inventato la doccia? Non voglio fare il pedante, ma di certo saprà che le origini della doccia risalgono addirittura alla Grecia antica. Saprà anche che la doccia modernamente intesa nasce nelle prigioni della seconda metà dell’Ottocento per garantire una migliore igiene ai prigionieri. E che più o meno nello stesso periodo l’esercito prussiano obbligava i suoi soldati a farne un uso sistematico”. “Grazie dell’informazione. Dove l’ha trovata? Sulla ‘Settimana Enigmistica’? Franco aveva inventato la tanica per camionisti: ovvero con questo oggetto, portatile, munito di un apposito marchingegno, i camionisti accaldati potevano prendersi un po’ di refrigerio senza allontanarsi dal proprio camion”. “Insomma, Franco era una specie di Archimede della Lomellina?” “Un po’ di rispetto: pensi che aveva tanta di quella fantasia da progettare sistemi automatici per quelli che volevano spurgare l’olio vecchio dalle auto a ideare quel cappello che, lanciandolo in aria, si apriva diventando un sombrero. Non era un tipo eclettico?”. “Beh, di certo la fantasia non mancava”. “E non ci mancava neanche l’imprenditorialità. Io, una ragazza di Mortara, e Franco, un giovanotto di Borgolavezzaro, paesi distanti fra loro una manciata di chilometri, mettemmo su insieme questa attività aprendo una ditta che dal nulla riuscì ad accreditarsi e a farsi ascoltare da gruppi delle dimensioni di Fiat, Volkswagen, Ford. Non è proprio da tutti, non crede?”.
La famiglia di Luisa: la mamma di 90 anni e papà, oggi 96 anni, ex fuochista
“Va bene, ho capito il vostro contesto geografico e ho capito anche la sua intraprendenza, signora Luisa. Da dove le ha prese? Dalla famiglia d’origine?” “Oggi mio padre ha 96 anni e la mamma 90, ed ora sono molto fragili e bisognosi di cure e attenzioni. Mio padre, fuochista patentato di caldaie a vapore in un’azienda che produceva legno, è sempre stato un uomo infaticabile che dopo il duro lavoro in fabbrica, terminato l’orario, non si stravaccava di certo in poltrona o se ne andava al bar a bere con gli amici. S’impegnava in altre attività, non smetteva mai di lavorare. Magari a tanta laboriosità non corrispondeva altrettanta vivacità. Mio padre, un uomo semplice ed integro, mi ha insegnato amore, rispetto, sincerità ed onestà ed io sono così grata ad entrambi i miei genitori che ancora oggi vivo con loro prendendomene cura, perlomeno tanta quanta loro ne hanno avuto per me bambina prima e ragazzina poi”.
La passione per il canto e il concorso (mancato) a Castrocaro
“Bene: imprenditrice piena di fantasia. Ho capito. Quali sono le altre virtù, oltre alla lodevole attitudine familiare?” “Il canto”. “Come il canto? “Sì, da ragazza cantavo” “Ora capisco il suo timbro: la sua voce è bella sonora” “L’ho sempre avuta così squillante: ero portata al canto. Ho perfino smesso di fumare per potenziare la mia estensione”. “E quale era il genere musicale suo tipico?” “Anche in questo caso prevale l’eclettismo. Un genere musicale solo non è adatto a me: io devo sperimentare, ricercare, mettermi alla prova sempre ed in ogni circostanza”. “Ci credo. E d’altra parte, come una volta dicevano del sorriso di Virna Lisi, lei con la sua voce, può chiedere quel che vuole!” “Grazie. E’ vero che ho una voce molto forte. Grazie alla potenza delle mie corde vocali, potevo cantare le canzoni di Mina. E badi, mica mi limitavo a cantarle e basta, sapevo interpretarla con gli stessi gesti, riproducevo perfino la stessa mimica, ne ricalcavo i movimenti”. “Oltre che con la Tigre di Cremona, con chi altri si è misurata?” “Si stupisce se le dico che ho imitato Cocciante?” “Guardi, adesso che l’ho incontrata, non mi meraviglio di nulla. Nemmeno se avesse provato, che ne so, a fare la Liza Minnelli in Cabaret” “Fatto anche quello”. “No, fantastico. Ho capito il temperamento, la grinta e tutto il resto. Ma la competenza musicale, a parte la natura che l’ha dotata così, come ha fatto ad acquisirla?”
Quando Luisa imitava Mina, Patty Pravo, Liza Minnelli, Cocciante
“Vede, quando ero studentessa, non passavo i pomeriggi soltanto sui libri, a cui pure mi dedicavo con impegno; fra una materia e l’altra materia ascoltavo le canzoni, me le studiavo e poi le ripetevo. Non solo, mi registravo. In questo modo mi sono fatta una bella esperienza. Pensi: avevo in mano tutto il repertorio di Mina e anche quello di Patty Pravo, cantanti che all’epoca andavano per la maggiore. Ma non è finita”. “Ah no?”. “Tutti questi nastri incisi, glielo ricordo, non certo in sala di registrazione, ma in modo assai artigianale, in casa, alla bell’e meglio, li mandai ai responsabili del Festival di Castrocaro”. “Caspita che determinazione!” “La cosa che m’ha lasciato a bocca aperta è che i capi della manifestazione m’hanno invitata alla selezione per le voci nuove”. “E com’è andata?” “Come sarebbe potuta andare, piuttosto. Mio padre non mi dette il permesso di recarmici. Mi ha tarpato le ali ancora prima di provare a volare. Non m’ha lasciata andare avanti nella carriera di cantante. Non m’ha fatto nemmeno provare. ‘Prima si studia, poi ci si diploma e dopo si vedrà’, ha sentenziato, mentre dentro ribollivo di rabbia. Ma ho obbedito. Che altro avrei potuto fare?”.
Il no assoluto di suo padre: prima il diploma, dopo il canto
“Ma una vocazione non si spenge! In un carattere forte poi come il suo, figuriamoci! Non avrà avuto il permesso di tentare la professione, ma perlomeno da dilettante avrà continuato, suppongo”. “Eccome. Sa, mi ero fatta un sacco di amici romani e all’epoca andavo di frequente a Graffignano, un tipico centro medievale cresciuto attorno al castello”. “Dov’è Graffignano?” “Su un altopiano nei pressi di Viterbo, al confine con l’Umbria. Una bella terra, ricca di boschi. L’ideale per ritrovarsi fra amici canterini”. “Ah si? Cantavate in coro?” “Beh, io imperterrita, continuavo a sbizzarrirmi nell’imitare Cocciante e tanti altri. Così veniva fuori la serata, fra una bevuta e una spaghettata in grande allegria. Pensa che lì conobbi anche l’attrice Agostina Belli che era diventata famosa per avere interpretato ‘Profumo di donna’ con Vittorio Gassman. Agostina all’epoca abitava a Bracciano, non troppo distante da Graffignano. Era questo un luogo d’aggregazione di persone anche di una certa notorietà. Frequentava la combriccola il giornalista di Rai Uno, scomparso di recente, Claudio Pistola”. “Me lo ricordo: fui lui raccontare il caso Pecorelli”. “Non solo, seguì successivamente anche i delitti di via Poma, poi di Cogne, ed infine di Novi Ligure. Insomma era un cronista impegnato nei principali fatti da prima pagina”.
I ritrovi a Graffignano con gli amici romani
“Bene. Bazzicavano Graffignano altre persone famose?” “E come no. A un certo momento conobbi l’ambasciatore del Qatar”. “Oddio e dov’è?” “Nel Golfo Persico” “Sabbia e petrolio a go go, immagino”. “Ed immagina bene. Oggi a Doha, la capitale, chi ci va per affari ma ultimamente anche per turismo, non può non rimanere affascinato dai grattacieli avveniristici e dalle architetture d’avanguardia realizzate di recente da architetti di gran nome. Costruzioni che s’ispirano all’antica tradizione islamica”. “Insomma ha corso il rischio di diventare anche ambasciatrice?” “Ma che dice! Non faccia l’impudente. Gli amici erano tutti accoppiati, io ero l’unica single e tale era anche l’ambasciatore. Così venne naturale che in quelle feste ci si pigliasse cura l’uno dell’altra. Mi ricordo che questo ambasciatore, invitato per un ultimo dell’anno da noi, a Graffignano, venne col suo cuoco”. “Come a dire: siete bravi e cari, simpatici un sacco, cantanti eccezionali, ma in cucina, ecco, insomma, non ve ne abbiate a male ma siete un vero disastro?” “Macché, voleva farci assaggiare alcune delle specialità della sua terra” “E in tutto questo lei che c’entrava?” “Sa come mi chiamavano all’epoca? Prezzemolo. Perché ero sempre ovunque, dappertutto. In questo caso ho affiancato il cuoco e l’ambasciatore nella preparazione dei loro manicaretti”.
Le canzoni in dialetto e le feste danzanti a Livigno
“Insomma, lei era l’anima delle feste”. “Proprio: mi divertivo un sacco a partecipare nei dintorni di Graffignano, a feste paesane e alle varie sagre, ora c’era quella dello gnocco, ora quella del risotto. In tutte queste feste c’era sempre qualcuno che suonava e io con un altro mio amico, Stefano, facevamo in modo di avvicinarci piano piano, con gradualità, ai musicisti ed in breve ci s’impadroniva del microfono e cantavamo tutto il repertorio degli stornelli romani. Tipo: ‘Ma che ce frega ma che ce ‘mporta se l’oste ar vino ci ha messo l’acqua e noi je dimo e noi je famo c’hai messo l’acqua nun te pagamo”. Ma questa era ‘La canzone dei magnaccioni’”. “Quasi giusto: il titolo corretto è ‘La società dei magnaccioni’: cominciava così: ‘Fatece largo che passamo noi sti giovanotti de’ sta Roma bella, semo ragazzi fatti cor pennello e le ragazze famo innamorà”. “Ma la cantava Lando Fiorini” “Bravo, proprio lui, il romano di Trastevere cresciuto dalle parti di Modena. Vincitore al Cantagiro, mille volte Rugantino, attore con Ciccio e Ingrassia e anche con Celentano”. “Ma scusi signora Luisa, che c’azzecca lei, pavese, col dialetto romano?” “Quanta poca fantasia ha: il folklore è l’anima di un popolo. Non c’è bisogno di tanta sovrastruttura. E’ l’empatia che serve. Io la gente la sento”
“Che cosa intende dire di preciso. Mi fa qualche altro esempio?” “Eccola accontentato: per le feste ricorrenti io lo sentivo che i miei amici erano alla ricerca di preservare la tradizione, ma avrebbero voluto ‘spolverarla’ un po’, non so come dire, toglierle di dosso quella patina di antico. Così mi mettevo a pensare a qualche iniziativa che mi aiutasse a rendere ogni occasione di quelle feste tradizionali, dove festeggiare è un obbligo, una cosa ‘nuova’, perlomeno non routinaria. Così ogni volta per me era una bella sfida escogitare sempre delle trovate particolari”. “Per esempio?” “Una volta son bastati dei centro tavoli un po’ schiribillosi; un’altra volta invece organizzai a casa di Franco che lì a Livigno aveva uno chalet bello grande, una vera e propria kermesse, dove invitammo maestri di sci, musicisti, tanta bella gente simpatica che aveva solo voglia di divertirsi”. “Che cosa organizzò?” “Una festa danzante. Mi dissi: ‘Siamo in montagna, no? Allora stasera tutte le ragazze si presentino in abiti da sera e con i tacchi, mi raccomando!’ E così il gentil sesso si presentò tutto in tiro, con addosso roba brillantosa, spacchi e tacchi! Da allora in poi quella iniziativa è diventata una tradizione dei nostri capodanno”. “E in quelle occasioni cantava?” “E come no. La mia amica Sandra suonava la chitarra e con lei cantavamo in lingua”. “Avevate anche un repertorio straniero?” “Sicuro. Cantavamo in lingua di Livigno, in lingua trentina, perfino in piemontese oltre che in lombardo. Abbiamo cantato perfino in arabo”. “In arabo?” “Assolutamente sì, senza, peraltro, conoscerne neppure una parola. Sandra mi diceva: adesso cantiamo in arabo. E io, imperterrita, rispondevo: sì, va bene. Indossavo uno smoking con tanto di farfallino. Una volta il parrucchiere m’aveva fatta tutta riccia ma non mi piaceva, sicché disfeci tutto e mi sistemai i capelli sulla nuca con uno chignon. In questa mise facevo anche la valletta a Franco nelle serate in discoteca quando lanciavamo gare di ballo”.
Last but not least, la poesia. Un’altra piccola grande passione di Luisa
“Ricapitoliamo: inventrice, cantante, imitatrice, niente altro?” “Modestamente poetessa. Scrivo poesie che ho raccolto in un quaderno che in realtà era nato come ricettario” “Me ne legge qualcuna?” “Ce n’è una che parla della guerra nel golfo persico: ‘Là in Iraq’ e sempre sullo stesso tema ‘Missione di pace’”. “Quando ha scoperto di avere questa passione”. “Io ho sempre scritto poesie. Mi venivano di getto. Ovviamente ci vuole l’ispirazione. Adesso da un po’ questa ispirazione mi manca e ora non scrivo più niente. Una delle ultime, l’ho scritta sulla politica che ha squassato l’Italia a cavallo fra il vecchio ed il nuovo secolo. E lì ce n’ho per tutti gli uomini politici dell’epoca. E’ una satira graffiante che compiange il popolo italiano, caduto in queste mani. Ma ho anche scritto poesie anche più appassionate, calde dedicate a mio fratello e a mio padre”.
Luisa, titolare dell’ortopedia Sanitas, che sarebbe meglio chiamare Felicitas
“E oggi?” “Non è cambiato nulla. Sì, all’esterno per forza. Ma dentro mi scorre sempre lo stesso sangue impetuoso. Sono sempre stata in questo modo. Non sono mai stata differente. In me il personaggio non ha mai fatto dimenticare la persona. Persona e personaggio in me coincidono perfettamente. Non mi sono mai atteggiata. A qualcuno potrebbe sembrare che io stia sul palcoscenico, ma non recito mica, sono così. Non mi cambieranno mai. Sono sempre stata me stessa. Racconto le cose come stanno. Non le infiocchetto, sa né le mando a dire. No, no io non so mentire. A qualcuno sono simpatica, ad altri antipatica. Adesso mi ritrovo qui a fare la dottoressa, sfoggiando il camice bianco. Faccio anche la volontaria presso una casa di riposo. Per me il lavoro in ortopedia è gioco e svago: e forse sì, intitolare il negozio Felicitas, invece di Sanitas è proprio giusto”.