Dacia Maraini, ovvero il delicato garbo della guerriera

Scritto da Stannah il 18-02-2021

Dacia Maraini: la scrittrice che si ribella alla scrittura al femminile.

Photo Credis: Dacia Maraini, Le Conversazioni 2015, Alessio Jacona in Cc’s

Partiamo dalla fine. Ovvero da una delle ultime dichiarazioni che Dacia Maraini ha lanciato e che i media hanno prontamente ripreso. La scrittrice, voce militante e brillante del femminismo italiano, afferma infatti con la fermezza che conosciamo che la “letteratura femminile non esiste”. Un’affermazione potente e che, a prima vista suona strana pronunciata da una delle più prominenti esponenti di questo genere di scrittura. Ma è proprio a questo che Maraini dice no.

Photo Credits: Dacia Maraini, 2019, Idris Albadufi in Cc’s

Perché in questa definizione c’è una precisa volontà di assoggettare un certo tipo di narrativa a stereotipi quali sensibilità, delicatezza e maternità. Stereotipi in qualche modo sminuenti e comunque lontani dalla realtà. “La storia”, afferma Maraini, “ha creato differenze culturali, non sessuali: per questo non esiste una letteratura femminile né come stile e né come forma”. A pensarci bene più che l’ideologia, in questo pensiero, c’è un sano pragmatismo. Potremmo infatti inquadrare la ferocia dolente della poetica di Alda Merini in un genere? O definire la narrativa di Virginia Wolf permeata di muliebre delicatezza? E poi c’è un altro fatto, sempre evidenziato dalla Maraini: quando un premio Nobel lo vince un uomo finisce in tutte le biblioteche, viene studiato ed entra nella leggenda. Grazia Deledda a parte, se il premio finisce in mano a una donna il discorso cambia. E in questa posizione della Signora Dacia, che fortunatamente, nella storia della letteratura c’è entrata alla grande, si può condensare l’intero suo carattere. D’altra parte, parliamo di una donna che alle spalle ha una storia che ne ha forgiato l’indole. Non la conoscete? Lei in effetti non è che ne parli molto, se non nei suoi romanzi. Ma dato che la sua vita è un appassionante narrazione e vale la pena di essere raccontata, ci pensiamo noi!

Dacia, la bambina nata con un passaporto per il mondo.

Dacia Maraini nasce nel 1936 a Fiesole, in Toscana. È la primogenita di una famiglia molto particolare. La madre infatti è Topazia Alliata, principessa e pittrice appartenente all’antico casato siciliano degli Alliata di Salaparuta. Papà è Fosco Maraini, l’antropologo (ma anche scrittore, poeta, fotografo e alpinista) che ha fatto conoscere il Tibet e l’estremo oriente in Italia. Dacia ha solo tre anni quando si trasferisce con i genitori in Giappone sull’isola di Hokkaido dove Fosco conduce uno studio su una popolazione in via di estinzione. Ci rimane sei anni. In quella trasferta nascono le sorelline Yuki e Toni ma, nel 1943, succede l’imprevedibile. Il Giappone si allea con l’Italia e la Germania: ai coniugi Maraini viene chiesto di aderire alla Repubblica di Salò. Loro rifiutano e per due anni l’intera famiglia viene internata in un campo di concentramento vicino a Tokyo. Tutta la famiglia, compresa la piccola Dacia, precipita in una situazione di fame estrema e di grandi sofferenze. E dovranno attendere la fine della guerra per riconquistare, grazie agli americani, la libertà. Due lunghissimi anni che segnano per sempre la piccola Dacia, come racconterà lei stessa nel 1978 all’interno della raccolta di poesie “Mangiami pure”. In ogni caso Dacia e la sua famiglia, nel 1945, rientrano in Italia e vanno a vivere nella villa degli Alliata a Bagheria. La fame è alle spalle, le piccole Maraini cominciano gli studi ma non “vissero tutti felici e contenti”. Lo racconta Dacia, nel suo romanzo “Bagheria”. “Conoscevo troppo bene le arroganze e le crudeltà della Mafia che sono state proprio le grandi famiglie aristocratiche siciliane a nutrire e a far prosperare perché facessero giustizia per conto loro presso i contadini”, racconta.  “Io non ne volevo sapere di loro. Mi erano estranei, sconosciuti. Li avevo ripudiati per sempre già da quando avevo nove anni ed ero tornata dal Giappone affamata, poverissima. Io stavo dalla parte di mio padre che aveva dato un calcio alle sciocchezze di quei principi arroganti rifiutando una contea che pure gli spettava in quanto marito della figlia maggiore del duca che non lasciava eredi”.

La principessa Dacia getta la corona e lascia il castello (senza troppi rimpianti) 

Dacia Maraini. Souece: Istituto Italiano di Cultura

 

È chiaro che il ruolo di nobildonna in una terra che la vuole asservita a rigide regole sociali in cui la donna “deve stare al suo posto” senza farsi troppe domande non fa per la giovane Maraini. Che infatti, approfittando della separazione dei genitori e, appena diciottenne, raggiunge il padre a Roma. Ed è il compimento di un sogno. Una principessa in gabbia, del blasone, non sa che farsene. Meglio invece prendere tutto quello che si può dal privilegio, ben più sostanzioso, di essere la figlia di Fosco Maraini. Grazie a lui, infatti, la giovane Dacia non solo ha un’”iniziazione culturale” di tutto rispetto. Ma vive e respira a pieni polmoni e “a distanza ravvicinata” i fermenti di una città che, negli anni ’50, è un crocevia di avanguardie e stimoli straordinari. Dacia li raccoglie tutti. Nel 1957, a 21 anni, fonda la rivista “Tempo di Letteratura” e i suoi racconti vengono pubblicati sulle più importanti testate.

Maraini, Moravia e Pasolini Source: Grey-Panthers

Trova anche il tempo di sposarsi con Lucio Pozzi, astro nascente della pittura Italiana. Ma è un fuoco di paglia. Il vero amore arriva quattro anni più tardi e si chiama Alberto Moravia. Che non solo è già un “gigante della letteratura italiana”, forse il più importante esponente dell’esistenzialismo nostrano. Ma è anche un uomo di grande apertura mentale, moderno, coraggioso e anticonformista. E quando incontra Dacia è un colpo di fulmine: per lei lascia Elsa Morante. In quegli anni Dacia stringe amicizia con i più illuminati esponenti della cultura italiana e internazionale. Parliamo di Pierpaolo Pasolini, Maria Bellonci, la stessa Morante (che era ancora “formalmente” sposata con Moravia), Marguerite Duras, Luchino Visconti e molti altri. La sua carriera di scrittrice decolla. I suoi libri vengono tradotti in moltissime lingue, acclamati da pubblico e critica e spesso diventano anche pièce teatrali o pellicole “leggendarie” come “Memorie di una ladra” interpretata da Monica Vitti o “Storia di Piera”. Ma se siamo tentati di pensare che Moravia sia una sorta di Pigmalione per Maraini ci sbagliamo e di molto. Il loro sodalizio è intenso, sicuramente anticonvenzionale (di fatto non si è mai rotto, si è solo “trasformato”, dopo 15 anni, in una profonda amicizia), ma ha sempre tenuto le rispettive arti fuori dalla porta.

Dacia per raccontare il presente, fa pace con il passato

Photo Credits: Dacia Maraini, 2012, by
G. M. Ireneo Alessi in Cc’s

E alla fine arriviamo al presente. Alla Dacia Maraini dei grandi successi come “Bagheria” o “La lunga vita di Marianna Ucrìa” (tradotto in 25 lingue). Quella Sicilia con così tanta forza negata e rinnegata viene ritrovata. Per dare una voce ancora più potente alle donne. Non quelle forti, coraggiose e padrone del proprio destino come lei. Ma a quelle zittite, calpestate, derubate della propria dignità. Da una società patriarcale, ma anche da quella ancestrale difficoltà che, ancora oggi, c’è tra di esse nel ribellarsi, nell’essere unite in una battaglia non solo di completa emancipazione, ma di reale avanzamento sociale. Per questo Dacia, la “femminista” con gli occhi bordati d’azzurro, anche oggi che ha 83 anni, oltre a scrivere, porta la sua battaglia nei teatri, nelle scuole e in tutti i luoghi in cui, come dice, “è possibile piantare semi di consapevolezza”. Lei a differenza di molte sue “compagne di viaggio”, non è disillusa, non è pentita e tantomeno rassegnata. A chi le chiede come ci si sente ad essere un modello per molte donne lei reagisce dicendo: “mi fa piacere, anche se non ci penso mai, a meno che non me lo facciano notare. Se posso dare un suggerimento, chiederei per favore solidarietà, e ancora solidarietà. Le donne da sole non possono cambiare niente. Hanno bisogno di essere unite e solidali”. E in quel “se posso” e “per favore” c’è tutta la forza di una battaglia che proprio in quanto pacifica e senza iperboli, un passo alla volta, cambia il mondo. In passato è già successo…

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