“Siamo tutti archeologi, basta la passione”
“Vienimi a trovare ad Allumiere” mi scrive in una mail Walter Accialini a cui avevo chiesto, con lo stesso sistema, un incontro. Un po’ imbarazzato gli rispondo che non pensavo, però, di spingermi fino in Francia per approfondire quel discorso sull’archeologia che una sera trascorsa a cena con lui tanto m’aveva affascinato. Cortese, mi risponde subito che Allumiere è un borgo italianissimo, vicino alla Tolfa, non lontano da Civitavecchia. Quando vado a trovarlo in ufficio mi racconta che questo paese, una specie di Cenerentola di quella zona collinare ricchissima da un punto di vista archeologico, deve il suo nome alle ricche miniere d’allume di rocca. Siccome la mia espressione gli fa capire l’abisso d’ignoranza in cui sono sprofondato, mi spiega che l’allume è una sorta di sale minerale, noto fin dall’antichità per certe sue peculiari capacità astringenti. “Pensa che il suo impiego è vastissimo” – mi dice, “Nel passato serviva come mordente per tingere la lana e per imbalsamare i corpi; oggi l’allume è utilizzato nella cosmesi, nell’industria tessile e perfino in ambito sanitario: serve infatti anche a cicatrizzare le ferite”. La cittadina di Allumiere, spulciando Wikipedia, imparo che deve il suo nome proprio alle miniere che furono scoperte nel XV secolo e i cui proventi servirono al Papa per pagare la guerra contro i Turchi.
Ai primi di agosto, in occasione di una visita che avevo programmato di fare ad un cliente non troppo distante da lì, arrivo nella piana della Tolfa, un bellissimo territorio superbamente incorniciato di bellezza e di storia: ecco Tarquinia, poco lontano a nord ovest, e poi Viterbo più a nord est. Il mare e Civitavecchia sorgono ad ovest, a sud si apre Santa Marinella e ad est il lago di Bracciano. In questo spazio densamente popolato fin dall’età della pietra, gli archeologi conducono continue e sistematiche ricerche e studi alla ricerca delle tracce del nostro passato.
Che cosa fa un archeologo
“Fra tutte le discipline l’archeologia è di certo quella che è più in contatto con tutte le altre espressioni culturali: proprio nel nome che ‘indossa’, questa scienza esplicita e fa capire a fondo qual è la sua area d’interesse” “Praticamente tutto” “E’ proprio così: mette in continua relazione l’esperienza della vita in tutte le sue espressioni materiali, dall’architettura ai manufatti, ai resti umani”
“Quando hai cominciato ad occuparti d’archeologia?” chiedo a Walter.
“Esattamente trent’anni fa. Ero in un momento particolare della mia vita, un po’ emotivamente turbato. Un amico per darmi una scossa, m’invitò a fare una vacanza alternativa. Ero piuttosto scettico al riguardo ma poi l’ambiente, il contesto, il fascino della ricerca m’ha preso e non m’ha più lasciato”
“Tu fai tutt’altro nella vita, vero?”
“Certamente. M’occupo di finanza. Ma questa passione m’infiamma”
“Raccontami: in questo sito che fai di preciso?” Siamo sulla parte alta di un pendio: il terreno davanti a noi è recintato perché zona archeologica. E dal momento che si fanno degli scavi, la zona va messa in sicurezza sia per proteggere chi capita da queste parti, sia per esplicitare che è una zona sorvegliata nella quale l’accesso non è libero. Da questa posizione in cui ci troviamo vediamo disporsi intorno a noi colline a perdifiato, boschi e pascoli. Qualche asino gironzola non lontano. Qui nei pressi scorgo un folto gruppo di giovani d’ambo i sessi, mescolati con qualche personaggio più attempato, ma non meno coinvolto. Tutti controllano e smistano pale, picconi, secchi, rastrelli e attrezzi vari. Questa è l’attrezzatura essenziale di cui professionisti e volontari archeologi qui impegnati, dispongono. Parcheggiato poco lontano c’è anche un vecchio Ducato che serve a trasportare oggetti e persone fra il Campo base e questa area di scavi. Fa molto caldo, ma ciò che più scalda è l’ardore che si percepisce negli sguardi e nei gesti di tutte queste persone che al di là dei titoli accademici, sono consapevoli dell’importanza di questo lavoro di ricerca. Chissà cosa succede nel cuore di una di queste persone quando s’imbatte in un reperto? Già, i reperti: ma dove saranno mai? Sottoterra lo so, ma come scorgere il punto preciso? Dove guardare?
Walter che ha capito, dal mio incerto incedere, la confusione che mi passa per la testa, mi presenta la dottoressa Cristiana Battiston che comincia a spiegarmi ciò che vedo.
“Questo territorio porta tracce abitative già dal IX secolo a.C. e fino al 1471 questa zona è stata densamente popolata. Poi il cardinal Della Rovere, appena eletto al soglio pontificale col nome di Sisto IV nel 1471, fece distruggere la cittadina che qui sorgeva. Se guardi bene questa zona puoi distinguere dei terrazzamenti da ognuno dei quali, scavando con cura e passione in questo terreno argilloso, abbiamo potuto identificare una ‘villa rustica’ con ciò intendendo la parte abitativa più povera destinata ai servizi e agli schiavi e la ‘parte dominica’, ovvero l’ambito abitativo dei proprietari. Al momento abbiamo potuto esplorare pochi ambienti dai quali abbiamo capito che la villa era molto ricca”. “Quando avete cominciato a scavare?” “Dai primi anni Ottanta. Poi ci hanno fatto chiudere. Abbiamo ripreso nel 2018”
Archeologi di mestiere e archeologi volontari
“Come mai questa interruzione?” Mi risponderà più tardi Gianfranco Guzzetti, attuale Presidente del GAR, Gruppo Archeologi Romani, sorto nel 1963. “Il GAR è un’Associazione di volontariato per i Beni Culturali ed Ambientali il cui scopo è contribuire alla salvaguardia e alla valorizzazione del patrimonio storico e archeologico italiano. Ci sono altri gruppi territoriali situati dappertutto in Italia”.
Gianfranco è un uomo maturo ma lascia ancora trapelare tutto quell’entusiasmo e quell’energia che nel 1968 lo fecero aderire al GAR. “Che obiettivi avevate all’epoca?”
“Gli stessi che abbiamo ancora oggi. Supportare la Sovrintendenza, contribuire al controllo degli scavi sorvegliandoli, affiancando così le forze dell’ordine per impedire che i tombaroli, vera piaga dei siti archeologici, ne facciano scempio”
“Questa è un’impresa magnifica. Dovreste ottenere benemerenze e riconoscenza perpetua dalle Autorità e dalla popolazione. Ma chi vi ha ostacolato?” Gianfranco diventa più nero della folta barba che gli incornicia il volto; lo sguardo ora diventato fosco si volge verso un punto imprecisato all’orizzonte; guarda, chissà? i tormenti che pensa meriterebbero certe persone di potere.
“La nostra storia, la nostra cultura non esisterebbe se la scienza archeologica non documentasse l’evoluzione e lo sviluppo della civiltà. Talvolta certi accademici guardano con un certo sussiego i dilettanti, i volontari e così stoppano gli scavi. E poi naturalmente i politici per perseguire certe loro convenienze e favorire certi ambienti a dispetto di altri fanno disastri imponendo l’abbandono di certe ricerche, l’interruzione sine die di attività straordinarie”. Colgo l’amarezza di chi ha profuso e continua a farlo, un impegno generoso, senza mai pensare al proprio tornaconto. Mi viene così da formulare questo pensiero: se gli accademici, gli archeologi professionisti sono la ruota che fa girare la conoscenza, i volontari che affiancano gli scienziati sono come un perno che non si vede, che non si nota, che sfugge all’osservazione della massa. Però è attorno a questo perno che gira la ruota. Non sarebbe dunque da celebrare, valorizzare, promuovere la diffusione e la notorietà di tanti anonimi volontari, capaci di dare avvio a un moto capace di generare indiscutibili ricchezze?
L’amarezza però viene subito sopraffatta dal brio e dal garbo della dottoressa Battiston che riprende ad illustrarmi il sito sul quale mi trovo. “Qua c’è la prima terrazza da dove abbiamo estratto più di cento vasi e abbiamo anche rinvenuto una capanna gota. Abbiamo trovato anche la tomba di un bambino dall’apparente età di sei anni. Proseguendo nella seconda terrazza, entriamo nel cuore della villa. Qui c’era la parte servile, il balneum, ovvero un impianto termale privato, con una fornace che vi s’innesta. Questa seconda terrazza funge anche da zona d’intercapedine per dare ancora più sostegno alla struttura dell’edificio, posto come vedi, su un terreno degradante e per questo da puntellare, al fine di evitarne lo scivolamento in avanti. Tuttavia, nonostante gli sforzi profusi, ad un certo punto c’è stato un crollo a causa di un sisma, avvenuto nel II secolo d.C., imperante Marco Aurelio. Così i giardini che nella terza terrazza sorgevano rigogliosi, furono abbandonati per creare un cimitero riservato ai servi che lavoravano nella villa. C’è ancora una quarta terrazza che non abbiamo ancora però affrontato. Che cosa avrà ospitato?” “Qualche congettura?” “Noi archeologi preferiamo documentare, non lasciarci andare a fantasticherie. L’analisi e lo studio ci hanno permesso di interpretare una sepoltura di uno schiavo” “Perché? Che cosa aveva di così peculiare?” “Sul petto del personaggio sepolto c’era una targhetta di piombo su cui era impressa una ‘defixio’” “Una maledizione?” “Già. Abbiamo potuto ricostruire ciò che accadde. S’era diffusa l’erronea notizia che l’imperatore Marco Aurelio fosse morto. Il proprietario della villa, Cassio Lidio degli Avidii, colse la palla al balzo per autoproclamarsi imperatore. Il senato romano intervenne duramente: lo dichiarò ‘hostis’, nemico della patria e lo condannò a morte. Il 50% dei beni della famiglia degli Avidii fu sequestrato e anche una parte della famiglia fu giustiziata” “Quindi questa villa restò in possesso della famiglia degli Avidii?” “Sì, a quella parte che scampò alla persecuzione e al sequestro?” “Ed avete scoperto chi era il servo?” “Quello che era stato sepolto con la targhetta sul petto? Era, nientepopodimeno ché uno dei due controllori del latifondo. Evidentemente non si comportò da fedele amministratore per meritare, ad imperitura memoria, una così feroce squalifica”
Tecniche e competenze necessarie
“Tutto questo è davvero affascinante. Ma da dove si comincia per fare l’archeologo?” “Dalla tecnica e dall’umiltà. La tecnica consiste nell’operare adottando lo scavo stratigrafico” “Cioè?” “Bisogna scavare il terreno con molta cautela: vanno rimossi gli strati secondo un ordine cronologico così da non confondere tra di loro reperti di epoche diverse” “Capisco quello che vuoi dirmi: i vari oggetti si accumulano; quindi, il più antico è quello più in basso …” “… e chi scava porta alla luce l’oggetto più in alto, quindi quello meno antico. Ora l’origine dei sedimenti sopra i reperti può essere sia antropomorfa, sia naturale. Mi spiego: è l’uomo che crea strati, pensa solo al Colosseo per secoli usato come cava di pietra per costruire altre abitazioni, parzialmente interrato e solo nell’Ottocento riportato alla luce. Ma è anche la natura che causa queste stratificazioni: pensa alle valanghe, ai terremoti, alle eruzioni dei vulcani.”
“Ecco quindi la necessità dell’umiltà a cui accennavi. Capisco bene?” “Si bisogna imparare ad avere anche una certa sensibilità tattile e non solo visiva per conoscere l’anzianità della terra. E questo apprendimento è frutto di tanta consuetudine, costante applicazione a maneggiare il terreno, a comprenderne grana e consistenza”
I volontari adesso salgono sul mezzo infuocato, non c’era un filo d’ombra dov’era parcheggiato. Affaticati e accaldati, si dirigono verso il campo base, una struttura ricettiva spartana ma resa accogliente dall’entusiasmo delle tante persone, per lo più giovani, che l’affollano. Una delle finalità di questi volontari è anche la promozione del turismo sociale, della formazione dei giovani e anche dei bambini.
Gianfranco Guzzetti con Walter Accialini e Cristiana Battiston, un’altra importante figura dello loro equipe, archeologa e già responsabile del marketing e della formazione al Sole 24 Ore, si prodigano per spiegarmi quanto sia importante valorizzare le aree definite da alcuni politici marginali, stigmatizzate come secondarie rispetto a siti archeologici così famosi da intercettare immediatamente l’attenzione del largo pubblico. Perché abbandonare i siti definiti ‘minori’? Minori questi siti possono solo esser definiti tali semplicemente perché lontani dalla luce della ribalta, dalla facile notorietà. Ma è utile redigere una classifica come se la cultura, la ricerca, la scienza fossero classificabili secondo le regole delle competizioni sportive? Forse che un sito cosiddetto minore non può regalare ad un visitatore una sorpresa inaspettata, un punto di vista nuovo, far nascere in lui la curiosità che poi magari si sviluppa e s’accresce in desiderio e alimenta una passione? Un sito minore potrebbe avere la capacità d’attrarre qualcuno forse intimorito dal ‘sito maggiore’: questo sì capace magari d’evocargli sgraditi ricordi scolastici, facendogli sentire così il peso di un approccio educativo polveroso? Potrebbe essere solo arroganza distinguere i siti in minori e maggiori? Quanto potrebbe essere più utile pensare che ogni sito archeologico ha lo scopo di documentare, conservare, proteggere le nostre radici e anche arricchire i visitatori da un punto di vista non solo meramente culturale: il ‘sapere’. Accanto all’irrobustimento appunto del sapere scolastico e accademico, vale la pena perseguire anche un’altra forma di conoscenza che ci porti tutti al desiderio del rispetto del territorio, che ci induca alla sua valorizzazione. Educare al rispetto, a proteggere e a conservare la memoria, serve a costruirsi persone, cittadini consapevoli e responsabili.
Gianfranco Guzzetti continua così: “Negli anni ’80 Roma ha un gruppo archeologico molto forte, estremamente impegnato nello sviluppo di attività di valorizzazione archeologica, nell’appoggio per la ricostruzione e la corretta conservazione nei musei. Da quarant’anni faccio il funzionario dei Beni Culturali. Sono fermamente convinto che ci sia bisogno di una grande sinergia fra comuni, associazionismo e sovrintendenza. Noi volontari abbiamo formato centinaia di persone ed oggi possiamo vantare molti docenti universitari. E’ questa commistione fra volontari e professionisti, questa apertura mentale fra intelligenze e sensibilità diverse che crea una comunità. Solo così, a pare mio, s’avvia il circolo virtuoso: l’attenzione alla cultura genera rispetto che promuove ricchezza”
L’appello
Questo gruppo di appassionati archeologi volontari dedica il proprio tempo libero ad organizzare scavi che permettano di aggiungere nuovi elementi alle conoscenze già consolidate e contribuiscono comunque alla protezione e alla difesa del territorio. “Quali altri campi avete aperti?” “Corchiano, da metà luglio a metà agosto; Ischia di Castro a luglio, località entrambe del viterbese” “Quante persone partecipano alle vostre iniziative?” “In estate sono centinaia di giovani e meno giovani che vengono anche dall’estero”
“Ma che cosa si potrebbe fare per darvi una mano?” “Associarsi” mi risponde sorridendo Walter. “Quanto costa iscriversi?” “37 euro l’anno” Vale a dire dieci centesimi al giorno? Dieci centesimi per sentirti dalla parte dei buoni, di coloro che fanno qualcosa per il proprio paese, che s’impegnano affinché le nostre straordinarie ricchezze culturali non vengano sprecate.
“Inoltre, se vuoi, puoi anche partecipare ai nostri campi estivi per una settimana o due. Credimi, questo è un modo certamente diverso per impiegare qualche giorno di vacanza, impegnandosi in attività il cui ricordo è destinato a farti compagnia a lungo”
Walter, l’Indiana Jones de’ noantri, come l’ha giocosamente descritto una sua collega, si rimette in testa il suo cappellaccio e s’avvia fra i suoi ragazzi. Adesso è notte ma domattina alle sette suona la sveglia e alle otto, sotto un gran sole, la squadra s’avvierà verso lo scavo, guidati dagli esperti, dai professionisti. Questi insegneranno loro a guardarsi intorno, a usare la pala, a spostare la terra. Beh? Che dite? Lo seguiamo anche noi?