“Come il volto è l’immagine dell’anima, così gli occhi ne sono gli interpreti’ – Storia di Imma e di Matilde

“La mia piccola Matilde è indifesa. Per capire la trappola in cui è imprigionata prova a muovere solo la punta del tuo naso”; così mi dice la Signora Imma Incardona, per farmi entrare nel suo universo, il mondo dei bambini colpiti dalla sindrome di Rett. “Che cos’è la sindrome di Rett?” “È una rarissima malattia genetica, una patologia progressiva dello sviluppo neurologico che colpisce una bambina su diecimila. Questa malattia, infatti, riguarda quasi esclusivamente le femmine. Alla nascita non presentano alcuna alterazione, perfettamente sane ed integre”. “Quindi questa sindrome si manifesta all’improvviso?”.

La sindrome di Rett o le bambine con gli occhi belli

“Sì. A qualcuna l’esordio avviene intorno al primo anno. Ad altre bambine capita intorno ai 18 mesi, ma anche oltre i due o tre anni”. “In pratica che succede?” “Avviene un arresto dello sviluppo, anzi, le bambine cominciano addirittura a regredire. Non sanno più usare le mani come fino a poco prima sapevano fare. E poi smarriscono anche la capacità di parlare”. “Sembra quasi una somma di sintomi specifici tipo l’autismo per il deficit nella comunicazione sociale, ma viene in mente anche il Parkinson per i disturbi del movimento”. “Sì, è una malattia grave e complessa. Le bambine con la sindrome di Rett, restano intrappolate nel loro corpo, subiscono un ritardo mentale, all’improvviso Matilde s’è chiusa nel suo mondo. Ti leggo questo passo dalla rivista ViviRett: “Le persone con sindrome di Rett sperimentano una serie di condizioni di comorbilità tra cui, solo per citarne alcuni, deficit della cognizione e nella comunicazione, problematiche motorie e muscolo scheletriche, disturbi sensoriali e convulsioni”.  Per dirtelo con più semplicità: Matilde a un anno ha cominciato ad avere diverse stereotipie, ha iniziato a portare le mani alla bocca, a digrignare i denti, non riusciva nemmeno a reggersi in piedi, non ha più parlato ha avuto apnee e crisi epilettiche. Inoltre, per via di una postura scorretta, la piccola presenta scoliosi”.

Una sindrome rara e quasi sconosciuta

“Non avevo mai sentito parlare di questa sindrome: si tratta di sicuro di una malattia ai più sconosciuta. Quando l’hanno scoperta?”. “Fino a che non mi sono trovata coinvolta, non ne sapevo nulla nemmeno io.  Comunque è una malattia intercettata relativamente di recente. Nella seconda metà degli anni Sessanta un medico austriaco, appunto il Dr. Rett colse questi movimenti stereotipati delle mani di alcune bambine che aveva in cura ed in seguito a ciò pubblicò uno studio al riguardo. Studio che per quasi vent’anni rimase ignorato. C’è voluto la ricerca di un gruppo europeo di neurologi infantili che verso la fine degli anni ottanta del secolo scorso, dimostrò l’esistenza della malattia”.  Sapessi quanti pellegrinaggi abbiamo compiuto! Quanti ospedali abbiamo visitato, affrontando e sostenendo sempre spese pazzesche. All’inizio ci avevano diagnosticato un ritardo psicomotorio: la prima diagnosi l’abbiamo avuta al Bambin Gesù a Roma. Ma è solo a Troina che abbiamo avuto, da parte di un medico straordinario, il riconoscimento della specifica sindrome.  Avevo deciso che anche io, come Matilde, avrei smesso di parlare, mi sarei chiusa al mondo proprio come la mia piccolina. Tu non puoi capire lo sgomento che piglia un genitore quando suo figlio all’improvviso comincia a soffrire. Anche io volevo impedirmi di parlare proprio come lei. È una malattia cattiva, crudele, carogna. Hai il tuo cucciolo fra le braccia che ti riempie la vita di gioia e poi, all’improvviso, appassisce e tu non capisci cosa sia successo. Quel che è peggio che neanche i medici da cui ti precipiti sembrano capacitarsene. Annaspano, si esprimono con tecnicismi, ti fanno sentire smarrito, confuso, perso. Non sai cosa fare, dove andare, a chi rivolgerti. Ero disperata. Ho incontrato tantissimi medici, mi sono sentita dire di tutto, tipo “ non spenda nemmeno un euro per sua figlia perché non capirà mai nulla”.

La via crucis tra ospedali e medici

“Ma lungo il tragitto ho conosciuto altri medici, quelli che valgono, i nostri eroi dal cuore sensibile. Così poi ho cominciato a studiare, nottate trascorse davanti al pc, ricerche su ricerche perché è molto complessa come sindrome. Sì succede proprio come nei film, i genitori che alla fine conoscono la patologia meglio di chiunque altro. Io darei una laurea ad honorem ad ogni mamma di un bimbo speciale”.

Tuttavia, attorno a questi bambini così vigliaccamente colpiti, ci vuole una squadra a sostegno: la famiglia in primis e poi letteralmente una pletora di operatori specialisti come il logopedista, lo psicologo della comunicazione, quello del potenziamento cognitivo, i fisioterapisti e gli insegnanti, solo per citare qualcuno dei professionisti esperti, necessari ad intervenire in modo funzionale ed efficace con Matilde”.

La Signora Imma non si è limitata a soffrire e a lottare; si è spesa anche a livello pubblico. “Sì perché bisogna lottare contro questa sindrome, abbiamo bisogno del sostegno della gente, bisogna fare squadra, mobilitarsi, fare cultura!” La Signora Imma è la responsabile regionale dell’Airett, l’associazione che persegue gli obiettivi di promuovere e finanziare la ricerca genetica per arrivare quanto prima ad una cura e a sostenere la ricerca clinica- riabilitativa per individuare soluzioni alle numerose problematiche che un soggetto, affetto da sindrome di Rett, si trova quotidianamente ad affrontare.

Un nuovo linguaggio: quello che passa attraverso gli occhi

“Come hai imparato a comunicare con Matilde, dopo che è stata colpita dalla malattia?”. “Una mamma impara in fretta. Impara insieme al suo bambino. Così ho imparato a comunicare con lei: parlando con gli occhi. Anche noi, cosiddetti normodotati, conversiamo talvolta solo in questo modo. E quante cose ci diciamo! Waldo Emerson ha scritto: “Un occhio può minacciare come una pistola carica, oppure può insultare come sibili o calci nel suo stato d’animo alterato, oppure ancora essere un fascio di gentilezza. Può rendere il cuore una danza di gioia”. E per l’appunto, le bambine colpite dalla sindrome di Rett sono chiamate “le bambine dagli occhi belli” perché riescono a comunicare solo con lo sguardo. Tutte loro sanno farlo, ognuna a suo modo, s’intende, perché sono bambine tutte uguali, nel senso che sono accomunate dalla stessa malattia e sono anche tutte diverse, ciascuna con la propria personalità. Tutti noi possiamo comprenderle, possiamo imparare a comunicare con loro facendo attenzione al loro mondo interno, ad ascoltare la loro sofferenza, ad accogliere il loro bisogno d’amore. Oggi poi, per fortuna, la tecnologia ci mette a disposizione dei ritrovati importanti quali ad esempio il puntatore oculare che permette di comunicare attraverso lo sguardo. Sono strumenti raffinati, adatti a questi nostri bambini così preziosi”.

La vita quotidiana tra grandi ostacoli e piccole soddisfazioni

“Vedi, Matilde ha bisogno di assistenza ininterrotta, di giorno per un verso e di notte per un altro. La notte per esempio soffre di disturbi del sonno, occorre seguirla, ascoltarla, intervenire quando ha bisogno. Di giorno, oltre agli stimoli che vanno alimentati continuamente per nutrire la sua mente e anche per consolare la sua solitudine, ha bisogno molto semplicemente di essere aiutata a sedersi correttamente. Purtroppo la scoliosi è un altro fattore che questa malattia apporta. Devo sempre stare attenta alla postura che assume per evitare ulteriori problemi nel futuro. Ma è sempre una bambina e si comporta come tale: talvolta è pigra, fa finta di dormire quando magari la sollecito al gioco o a prestare attenzione a qualcosa che la stimoli; oppure quando le do da mangiare, per esempio del miele, ecco che serra la bocca per rifiutarlo. Appena però accenno a darle la Nutella, subito spalanca la bocca e sorride contenta. Prima poteva mangiare solo ed esclusivamente cose liquide. Ora mi si apre il cuore vederla mangiare delle mollichine di pane. L’altro giorno mi ha morso il dito; mi sono emozionata quando le ho comprato le patatine che prima non poteva mangiare. Adesso sì! In questa routine ho il prezioso aiuto di Loredana, indispensabile, attenta e premurosa con la mia piccola”.

Video, cartoni, musica e danza le passioni di Matilde

“Oltre i video che cos’è che le piace di più?”. “Matilde ama i video e non i giocattoli. Ma io le bambole gliele compravo lo stesso. Chissà, forse lo facevo per me. E poi, come tutte le bambine affette da questa sindrome, Matilde ama tantissimo la musica. Quando poi va a danza è felicissima: ora si sta preparando per lo spettacolo natalizio. Si esibirà sul palco grazie alla sua maestra Sabrina Gueli, l’ha già fatto in altre occasioni”.

“Una volta la disabilità veniva nascosta. L’infelice (così veniva definito) andava tenuto a casa, segregato, lontano dagli occhi degli altri, per non urtarne la sensibilità, come se la diversità comportasse una disparità e fosse una cosa di cui vergognarsi. Oggi, per fortuna, la mentalità comincia ad essere più inclusiva. Così questa è oggi la nostra normalità: la mia bimba è amata e conosciuta in paese. Quando per la strada incontriamo altre mamme coi loro bambini che guardano incuriositi Matilde, io a questi spiego la malattia della piccola e dico anche che c’è speranza di guarigione. I bambini devono poter sognare, Matilde con i suoi sorrisi riscalda il cuore di tutti”.

“Come fai Imma a essere sempre così energica, determinata e piena di forza?” “Mio marito sa far tutto, lavora tutto il giorno ma quando torna c’è ed è davvero molto presente. Papà e marito esemplare. Inoltre ho un’intera squadra dietro, la famiglia,  l’unione è la nostra forza, Matilde è circondata d’amore”.

“C’è da dire anche che la nostra vita quotidiana è cambiata: non andiamo in pizzeria e neppure al cinema. Neanche al mare possiamo più andare: la piccola si spaventa e poi sai, Matilde è molto delicata: basta un nonnulla per farla ammalare. Prende già, lei così piccola, una miriade di farmaci. Ogni volta che penso a tutte queste medicine che devo somministrarle, mi torna in mente il sacchetto delle pillole dei miei nonni: quando ero bambina, rimanevo sempre basita di fronte a quella grande quantità di medicinali che loro dovevano prendere”.

Il fratellino Salvo: un dono. “Ma non so se sono religiosa”

“Che cosa facevi prima di sposarti?” “Avevo un negozio ma poi, durante la gravidanza, ho dovuto abbandonarlo e com’è ovvio non ci sono più tornata. Oggi poi è arrivato anche un altro figlio, Salvatore, che adesso ha un anno. Quando Matilde torna da scuola, Salvo la cerca, le sorride, avrebbe voglia di giocare con lei. Si è accorto però che Matilde ha un modo di fare diverso e lui allora ha imparato ad aspettare prima di arrivarle addosso. I bambini lo sai, hanno una gran voglia del contatto fisico. Mi sembra di leggerti negli occhi una domanda che non hai il coraggio di farmi. Ti tranquillizzo subito: no, non ho avuto nessuna paura quando è nato. Noi accettiamo i doni che ci arrivano. Non abbiamo fatto alcun controllo preventivo quando ero incinta di Matilde né l’ho fatto per Salvo. Anche qui magari ti verrà di pensare che l’ho fatto per una questione di fede. Sinceramente non so se sono religiosa. Tante volte mi sono interrogata e m’interrogo ancora sul perché ai bimbi capiti ciò. Qual è il motivo di tanto dolore?

“Talvolta mi capita di osservare le mamme di normodotati, che si lamentano per un nonnulla dei loro bimbi sani, ma non dico niente, non mi sento ostile”

Un giorno ho preso carta e penna e ho scritto al Papa. Più che al Papa ho scritto all’uomo, a Francesco che mi ha risposto, in qualche modo consolandomi. Siamo andati anche a Roma a trovarlo e siamo stati ricevuti in udienza.  Questa è la mia vita. Io l’accetto. Trovo un grande conforto nel fare gruppo con le altre mamme che vivono la disabilità dei loro figli. In questi anni penso di avere capito il senso della vita. Talvolta mi capita di osservare le mamme di normodotati, che si lamentano per un nonnulla dei loro bimbi sani ma non dico niente, non mi sento ostile. Si, è vero, sono fragile e in fondo al cuore può capitarmi d’essere triste, talvolta disperata, ma è solo per poco. Sono attrezzata: corro ad indossare la corazza che mi serve per combattere ogni giorno, ogni minuto della mia vita. Lo debbo alla mia Matilde”

Imma: una Frida Kahlo nello spirito e nel corpo

Quando sono uscito da casa della Signora Imma, fra le tante emozioni, sensazioni, impressioni che mi sono portato via, rammento un’immagine di Frida Kahlo, una donna al cui temperamento certo Imma s’ispira e del cui motto “Non mollare mai” mi pare sia una testimone davvero fuori del comune.

Tornato a casa, spigolando su internet, ho trovato che per molti anni la sindrome di Rett è stata classificata come neurodegenerativa, ma nel 2007 il genetista britannico Adrian Bird ha dimostrato che essa è reversibile. I neuroni non muoiono, come si pensava, ma soffrono di problemi di comunicazione al livello delle sinapsi. Io non lo so se Immacolata creda in questa possibilità. Di certo penso che lo speri e che qualche volta lo sogni. Quello che so, perché l’ho visto, è che Imma è ben salda nel suo impegno quotidiano a garantire la migliore vita possibile per Matilde. Per quanto Imma sia una giovane donna, quando ti rapporti con lei ne avverti la solidità: Imma è una roccia. Probabilmente non è affatto casuale che in casa sua campeggi un’immagine di Frida Kahlo. Chissà quante volte Imma avrà incrociato quello sguardo fiero, indomito. Si sarà interrogata un milione di volte su come quella donna ad appena 18 anni, rimasta devastata nel corpo, abbia saputo reagire con una capacità incredibile, inimmaginabile. Chissà se Imma ha trovato in lei una sorella, accomunata nella sofferenza e determinata nella voglia di reagire, di vivere, di meritare una qualità di vita pari agli altri. Di certo Imma sa esprimere in ogni momento della sua lunga giornata con la piccola Matilde, quello che Frida Kahlo ha scritto: “Guarderò attraverso la finestra dei tuoi occhi per vedere te” e sono certo che tutta questa forza, questa passione, questa potenza arrivi come un grande balsamo per Matilde.