Sonia Petricca, una donna d’amore

Sonia Petricca

La Storia

La Signora Sonia ha quasi 50 anni. Vive con il marito (operaio) in una casa di campagna alla periferia di Sora, nella Ciociaria. In un recinto ci sono dozzine di galline chioccianti, una maialina grigia (di nome Giorgy) che risponde quando lei la chiama, un numero imprecisato di cani e gatti.
In casa, ad ottobre dell’anno scorso (2017) c’era ancora l’anziana madre affetta da demenza senile e per lo più persa nel suo mondo e il padre, affetto dal linfoma di Hodgkin che risponde bene alle nuove cure sperimentali cui si è recentemente sottoposto mentre le chemioterapie precedenti lo avevano piuttosto abbattuto.

La signora Sonia ha 5 figli: tre sono grandi e vivono lontano (quasi trentenni sono la figlia maggiore che – sempre ad ottobre in occasione del nostro primo incontro, faceva l’infermiera a Milano, un maschio vive a Venezia ed un 28 enne adottato quando aveva 9 anni, rumeno di origine, che per 8 mesi l’anno lavora sull’Orient Express e nei mesi invernali opera presso strutture turistico ricettive in montagna). Ha poi una figlia 16enne e una bambina di due o tre anni arrivata del tutto inattesa ma non per questo meno amata e gradita.

La signora Sonia si occupa delle pulizie presso un ospedale della sua zona. Nel corso delle sue mansioni è venuta a conoscenza dell’esistenza di una donna d’origine nigeriana, ospite della struttura ospedaliera. La donna si chiama Dolly: è stata praticamente dimenticata in fondo a un letto senza che il personale si occupi di lei e dei suoi bisogni primari.

Dal momento che non parla, che non si muove essendo paraplegica, della sua vita non si sa molto. E’ sicuro anche che fu portata in Italia una ventina d’anni fa, lei già madre di quattro figli, quasi sicuramente per essere avviata alla prostituzione. Essendosi ribellata è stata massacrata di botte che l’hanno ridotta invalida. Chi l’ha trovata ha chiamato i soccorsi e la donna, ormai allo stremo, è stata salvata.

Col passare del tempo, visto che nessuno s’interessava a lei, l’ospedale non ha potuto dimetterla ma nello stesso tempo non è stato capace di prendersene cura.
Invisibile per l’istituzione, la sua presenza ingombrante e scomoda ha fatto sì che venisse spostata di ospedale in ospedale, tutti “dimenticandosi” però di prestarle la benché minima assistenza: dall’igiene personale, all’abbigliamento, dal nutrimento a qualsiasi forma d’attenzione affettiva.
Quando la signora Sonia è venuta a conoscenza di tutto ciò se n’è fatta carico e ogni giorno passa a trovarla per accudirla. Ha così maturato la decisione di prenderla con sé in casa per poterle assicurare conforto materiale e spirituale. Perché ciò possa avvenire in modo definitivo, occorre che a Dolly venga dato il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Ad ottobre del 2017 incredibili impedimenti burocratici sembravano incombere sulla questione. Una volta che sarà stato espletato questo atto burocratico Dolly entrerà a far parte della grande famiglia Petricca: Sonia ha già, grazie all’aiuto del parroco, previsto l’installazione di un montascale che ci ha appena ordinato. Inoltre, la concessione del permesso, consentirà a Sonia di ricevere sussidio economico e l’assistenza sanitaria.

Dolly arriva in casa Petricca proprio pochi giorni prima del Natale appena trascorso: un dono reciproco ed inatteso.
Arrivo a Sora dopo aver attraversato il bel paesaggio collinoso della Ciociaria. Mi sono fermato in un bar dove alcuni cupi avventori continuavano ad infilare monete nelle macchinette da gioco, del tutto estraniati da ciò che capitava intorno a loro. Anche la barista sembrava distante, forse assorta in pensieri suoi. Sorseggiando il caffè, le ho chiesto se mi sapeva consigliare un fioraio: “Sa, sono stato invitato a pranzo da una famiglia che ancora non conosco e non mi voglio presentare con le mani in mano”. “Da quale parte di Sora deve andare?” “In via Val Comperta” “Ma guarda: anch’io abito da quelle parti.” Ha subito messo su tutt’un’altra espressione: “Allora guardi, segua sempre la strada davanti al mio bar. Questa è la strada centrale. Attraverserà praticamente tutto il paese. Ad un certo punto troverà un distributore. Se lo ricorderà perché si chiama Te” “Te?” “Si. Proprio Te.

Di fronte, poi lo vedrà, c’è anche un negozio di articoli sportivi. Dopo il distributore, davanti al negozio di sport, c’è il fiorista. Sono davvero bravissimi. Da lì poi, ad arrivare in via Val Comperta impiegherà un minuto.” La barista mentre mi parlava era completamente un’altra persona da quella che m’era apparsa entrando: adesso è vivace, calorosa, partecipe, sorridente, attenta; una presenza e non è più un’appendice del bancone.

Con questa sensazione di piacevolezza addosso raggiungo la meta consigliata e la fiorista s’ impegna davvero nel darmi consulenza. Tutta contenta mi mostra la piantina più adatta alla circostanza. Risalito in macchina, un occhio al mio Tom Tom, un altro alla strada, arrivo all’incrocio che devo prendere e la via che imbocco dopo poco non è più affollata di condominii. Fra una e l’altra costruzione c’è spazio per la campagna. Le abitazioni poi si distendono per largo, non svettano come i palazzoni di città. Il verde e lo spazio si dilata ulteriormente. Ogni tanto qualche cancello aperto mi permette di scorgere gli spazi davanti alle porte delle case che sempre più assomigliano a fattorie e i cortili antistanti ad aie.

I numeri civici, come succede spesso nelle strade di campagna, non sono riconoscibili o addirittura mancano proprio. Ma il mio navigatore è inappuntabile: mi invita a fermarmi proprio lì. “Beh sì, tu hai un bel dire che la signora abita lì, ma io non vedo nessun numero” – dico alla mia collaboratrice meccanica. “Come fai a dire che sia davvero questo il posto? Magari hai ragione tu: c’è una sorta di discesa in fondo alla quale, sulla sinistra, c’è una casa grande.” “Quanta poca fantasia ti ritrovi! Non vedi che ci sono parcheggiate un auto e un pick up? E cosa vedi dietro le auto? “ ”Beh! c’è un recinto.” “Bravo. E questi li senti?” “Questi latrati intendi?” “E che altro? Devono essere i cagnolini della signora che fanno il lavoro del campanello.” Il mio Tom Tom ha ragione ancora una volta. Ecco che una signora s’affaccia. Mi verrebbe da scherzare: “Miss Petricca, I suppose” ma il Tom Tom mi guarda male, così abbozzo e mi limito a un sonoro “Buongiorno signora, come sta?”

“Bene sto. Sto bene. Venga, che fa? Mi scusi ma devo parlare con mia sorella, mannaggia, mannaggia “ mi fa mentre litiga col cellulare. Io ho questa pianta in mano e capisco in un istante che questo affare non c’entra nulla, è assolutamente incongruo. Ma che faccio: ce l’ho in mano e quando Sonia… “Sonia mi chiamo. Che è ‘sta signora Petricca? Sonia. Chiamami Sonia. E diamoci del tu.” … ha messo giù il telefono, provo a porgergliela. Lei sorride ma, giustamente, non si lascia andare alle smancerie. Asciutta la prende e la pianta sparisce. Sparisce perché siamo risucchiati dentro questa casa alveare. Su un divano, opposto alla porta d’ingresso siede una signora anziana. “E’ mia madre. I medici mi hanno detto che c’ha la demenza senile. E’ brava. Le voglio bene. M’han detto di metterla in una casa di riposo. Ma che son scema? Qua deve stare, con me” . Mentre mi sospinge a tavola, vedo che nella cucina c’è una persona. “E’ mio padre. Anche se è malato, e anche se c’ha gli anni che c’ha, non sta mai fermo. Va a prendermi la bambina a scuola, m’aiuta in casa. E’ bravo. Bravissimo” Il papà ha fatto i piatti: “Che è questa bellezza?” Chiedo: “Sono maltagliati alla ciociara” “Ah con la pancetta e le verdure.” “Mangi che sennò s’attaccano” E mentre mi do da fare con entusiasmo la signora, scusa, Sonia, serve la mamma, le fa prendere prima una pasticca, poi un’altra “Diciassette ne piglia al giorno!” Le parla in dialetto perché ingoi bene la pillola. Offre il formaggio al papà, mi versa un bicchiere di vino “E’ di qua, E’ buono, Bevi tranquillo. E genuino. Non fa male”. E mentre mi racconta: “Mia figlia grande fa l’infermiera a Milano … “ Sonia non tocca cibo, sorveglia me, sua madre, suo padre, che noi s’abbia tutto quello che ci serve. “Il ragazzo grande sta a Venezia, ci sentiamo al telefono … “E questo ragazzo qua? – faccio “Vestito come un pascià?” Il giovane è agghindato con abiti turcheschi (ohibò) “E’ sull’Orient Express. Fa una specie di maitre a bordo. Lui è rumeno. Io l’ho adottato perché dopo un po’ che veniva da me, un giorno mi chiese di restare. Gli voglio un bene dell’anima. E lui a me” mi fa mentre mi mostra una foto di loro due abbracciati. Lei non mangia nulla. Suo padre, sua madre ed io facciamo onore ai maltagliati. Buonissimi. “Guardi qui lui ha vent’anni” mi fa mostrandomi delle foto in una vetrinetta dove di cornici ce ne saranno più di venti. “Ma quanti figli hai?” chiedo. “Cinque” Intanto il papà che era uscito per andare a “fare una commissione, rientra con una giovanetta sedicenne e una cucciolina sui tre anni. “Anche questa è figlia tua?” “Ma certo. Stavo poco bene. Credevo che fossero i dolori della menopausa! Che risate i medici del mio reparto quando, dopo avermi visitato m’han detto che ero incinta. Incinta di nuovo! Alla mia età! Avevo con me due amiche e mentre una mi sorreggeva, l’altra m’ha messo sotto il sedere una seggiola, appena in tempo, sennò cascavo come una pera cotta.” E la cucciola intanto bambineggia sulle sue gambe: spilluzzica i maltagliati che Sonia non ha quasi toccato, butta in terra una forchetta, poi un’altra, poi un’altra volta, scartoccia una caramella … In tutto questo dinamismo, il papà serve la ragazza di 16 anni il suo bel piatto di maltagliati, la mamma s’alza per sparecchiare e Sonia mi racconta di Dolly, questa donna nigeriana comparsa all’improvviso nella sua vita e dalla quale ha deciso di non staccarsi mai più. “Tetraplegica l’hanno ridotta.” Mi mostra una foto di questa giovane donna nera nera. Sembra che sorrida, me se lo fa è solo per Sonia che la cura come se fosse una sesta figlia, quasi coetanea però. “Questa donna è invisibile” mi racconta. La struttura ospedaliera vorrebbe disfarsene, ma dove la può mettere? “Fosse stata operata in tempo forse oggi non avrebbe le gambe in queste condizioni” inerti, inutili, paralizzate. Solo una mano le resta . Ma non ha voce per parlare. Sonia e ha imparato a comprendere Dolly. Le ha promesso che la prenderà con se e se Dolly oggi può pensare che il mondo non è poi tutto così crudele e cattivo, può dirlo perché c’é Sonia.

“Sonia ma tuo marito che dice?” “Sembra burbero, ma mi fa: lo vuoi fare? Fallo!” e c’è sempre per me.”

stannah

Da sempre realizziamo montascale per consentire libertà di movimento ai nostri clienti. Dall’ascolto dei loro racconti nasce il progetto Stannah Racconta, una raccolta di storie di uomini e donne straordinariamente ordinari.

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