Il Museo della macchina da scrivere; Via Menabrea 10; Direttore Umberto Di Donato

Tastiere, amore e fantasia

Il genio della lampada

Incontro un simpaticissimo folletto, un guizzante e arzillissimo genio della lampada che al braccio tiene il contapassi: “Io faccio diecimila passi al giorno. Questo mi fa stare e soprattutto sentire bene. E quando mi tiro su la manica e scopro il polso, non è per vedere che ore sono ma per scoprire quanti passi mi mancano all’obiettivo”.

Di obiettivi il Direttore Umberto se ne intende parecchio: li ha sempre perseguiti, personali e professionali che fossero, in tutto il corso della sua vita che definire dinamica è ricorrere ad un blando eufemismo.

“Ho lavorato in banca per più di trent’anni. Pensi: m’assunsero anche perché sapevo già scrivere velocissimo a macchina” “Perbacco. E dove aveva imparato?” “Sono stato militare presso la Guardia di Finanza e lì mi feci notare per questa abilità che poi, sotto le armi, o meglio, sparando lettere sulla tastiera, son venuto perfezionando”.

Sull’uscio dell’ampio negozio il mio ospite mi attende, benevolo e curioso. Questo spazio lo ha affittato per dare un porto alle sue caravelle favolose. Caravelle? Ah già; non lo sapete? In questo Museo della macchina da scrivere il Dr. Umberto non colleziona semplici macchine da scrivere. Via Menabrea 10 è il porto dove sono ormeggiati galeoni pronti a salpare per il mare dei sogni, dove i curiosi ospiti che varcano la soglia incontrano mondi, respirano atmosfere, condividono un po’ le emozioni delle persone cui questi oggetti sono appartenuti.

In fondo, se ci pensate, fra banca e barca c’è una sola, pressoché insignificante differenza. Una piccola consonante distingue il serioso granito dall’agile scafo audace. E se si ha una mente svelta e un cuore intrepido, chissà che da piazza della Scala non si riescano a scorgere le colonne d’Ercole che vorrebbero sigillare il Mediterraneo. Di certo il nostro baldanzoso giovane varcò non senza tremore nel luglio del 1958 le porte della Comit al fine di farsi imbarcare in quel glorioso equipaggio uso a solcare i mari dell’economia e della finanza.

La banca per navigare

Nei suoi libri il Direttore Umberto racconta il severo processo di selezione cui fu sottoposto e che culminò con una virtuosistica dimostrazione di quanto fosse bravo a scrivere a macchina. Altri talenti dimostrò di possedere diventando negli anni dirigente di svariate filiali della Comit.

La raggiunta pensione non ha chiuso la vita lavorativa del nostro ospite tant’è che dette l’abbrivio a un prestigioso studio di commercialista oggi portato avanti dal suo primogenito.

Tanta strada ha fatto il nostro Direttore Umberto, originario della provincia di Caserta: “Veramente allora Casanova di Carinola dove nacqui qualche tempo fa, era in provincia di Napoli. Da lì son partito verso nord, neanche ventenne, alla ricerca di un’occupazione.”

Se il bisogno spinge le persone a cercarsi un lavoro per garantirsi pane e companatico, è la passione che muove il cuore della gente. Il Dr. Umberto ha cominciato prestissimo a raccogliere e a collezionare macchine da scrivere “che hanno un’anima” perché sono appartenute a scrittori, giornalisti, politici e persone che hanno in qualche modo lasciato traccia e memoria di sé usando questo strumento.

In questo Museo che invito a visitare per la gioia che può regalarvi incontrare la vitalità e il sorriso del suo curatore, si possono trovare esemplari straordinari. Lo sanno bene gli insegnanti che portano qui i loro allievi per consentire loro un’esperienza che va ben oltre il mero apprendimento di nozioni.

Il museo della fantasia

I bambini e gli adolescenti adorano il Direttore Umberto perché racconta loro la storia della scrittura come farebbe Indiana Jones, trascinandoli con sé, sulle ali dell’avventura e del sogno. Non è solo della macchina da scrivere che il Sig. Umberto s’è appassionato. La sua curiosità parte dalle prime forme di scrittura. “Saranno state le sei di pomeriggio ma non c’erano orologi che potessero documentare l’ora. Il sole era tramontato e come al solito aveva lasciato sgomenti i nostri antenati, affranti dall’antico timore: tornerà su quella palla luminosa che ci dà luce e calore, liberandoci da questa oscurità e da questo gelo che già c’incombe? Poi qualcuno aveva afferrato una scaglia di selce e, con fare distratto, l’aveva avvicinata alla parete della caverna in cui vivevano. Quei tratti vecchi di ventimila anni sono le prime incisioni che ci fanno conoscere la storia dell’uomo. E poi, sapete? uscito dalle caverne, diventato agricoltore e sedentario, creatore di culture importanti, protagonista della sua vita, l’uomo sperimenterà altre modalità di scrittura. Bravo. No, non i Somari, i Sumeri sono quelli che hanno inventato la scrittura cuneiforme. Certo non usavano più le selci ma lo stilo per tracciare i loro segni su tavolette d’argilla cruda”.

E di calamo in calamo e di gente in gente, s’arriva così alla penna d’oca. “Eh già, ma allora era necessario trovare un altro tipo di superficie su cui scrivere, non vi pare? Già, il papiro, la pergamena, bravissimi. E su questi supporti la mente dell’uomo si sbizzarrisce per trovare lo strumento più adatto”. I ragazzini, giunti per obbligo scolastico al museo non se ne vorrebbero più andare. “Cent’anni dopo Cristo i cinesi inventano la carta che giungerà in Europa sette secoli dopo”

E la storia si dipana fra scalpellini, incisori, scribi, amanuensi e calligrafi. Tutte queste figure sembrano proiettarsi davanti agli occhi dei ragazzi che ascoltano attenti. “Ed ecco ora avvicinarsi il momento fatidico: siamo nel XV secolo: nel 1455 Gutenberg con un socio mette a punto la stampa a caratteri mobili e neanche vent’anni dopo, Jacopo da Fivizzano, imparata l’arte, impianta una stamperia nella sua città natale”

Gli insegnanti sono profondamente stupiti dall’attenzione che i loro alunni portano al Dr. Umberto che è capace di catturarli, catalizzando completamente tutti gli sguardi e rapendo con sé gli orecchi desiderosi di scoprire come va finire quella storia così divertente, interessante, allegra … Chissà, forse i docenti di professione saranno anche un po’ gelosi di tutto il fascino che sentono sprigionarsi da questo signore così appassionato, loro soliti scorgere le tonsille dei loro allievi quando li sorprendono in certi immensi sbadigli.

“Adesso siamo nella prima metà dell’Ottocento: questa qua è una macchina del 1829. È il Typographer. Vedete? Qui c’è un puntatore che seleziona le lettere. Siamo negli Stati Uniti. Questi qui sono anni terribili negli USA: comincia infatti la terribile deportazione degli indiani dalle loro terre del sud che con la marcia delle lacrime, lunga oltre mille miglia, deporterà nel centro del paese vecchi, donne, bambini e uomini affranti”

Ecco che si affacciano alla mente episodi che il cinema ha poi negli anni sdoganato. Da “Soldato blu” al “Piccolo grande uomo” film di denuncia che misero in evidenza un altro punto di vista rispetto alla gioiosa logica di conquista dei baldi pionieri del Far West, intrepidi eroi e generosi conquistatori.

Il Direttore Umberto riprende la narrazione: “Nel 1833, un marsigliese inventa la leva portacaratteri: ecco, qui vedete la tastiera completa con 66 leve articolate disposte attorno ad un cerchio”

Fra cembali scrivani e cavallette

“Guarda: il cembalo scrivano! Ma che cos’è?” “I tasti hanno ispirato la sua denominazione: guarda se non somigliano a quelli del pianoforte, ti pare? Un ingegnere di Novara è il responsabile di quest’invenzione creando un vero e proprio prototipo delle moderne macchine da scrivere. Questo avvocato appassionato di tecnica continuerà negli anni fin quasi la fine dell’Ottocento, a brevettarne modelli sempre più perfezionati. Per quindici modelli chiederà la privativa”

Intanto la tecnologia si sviluppa: un danese, il signor Malling – Hansen costruì uno strumento meccanico che aumentava la velocità di scrittura attraverso palle di scrittura, ovvero un grosso pallone con tanti tasti a forma di palline. Fu questa la prima macchina prodotta in serie. Nel 1874 brevettò un nuovo modello in cui il cilindro era sostituito da un carrello piatto su cui era fissata la carta.

“Ma c’è un altro signore interessante di cui desidero facciate la conoscenza: ecco a voi Mister Christopher Sholes” “Ah. E che ha fatto di tanto interessante?” “Guarda la tastiera di questo pc: cosa vedi?” “Tante lettere dell’alfabeto, i numeri, e segni vari” “Bravo. Guarda subito sotto la linea dei numeri” “Sì, ci sono” “Ora, partendo da sinistra verso destra, prova a leggere in sequenza le prime sei lettere che vedi e dille ad alta voce. Un consiglio: la lettera q pronunciala esattamente come l’ho detta io: qu. Dai, prova” “Qwerty”

“Ecco, questo è il nome della innovativa tastiera che il signor Sholes inventò. In questa tastiera le coppie di lettere maggiormente utilizzate sono allontanate. Perché secondo voi?” “C’è meno rischio perché pestando velocemente sui tasti e quindi aumentando anche la velocità di scrittura, la leva nella fase di ritorno si vada a scontrare con quella successiva che sale, facendo incastrare i martelletti e bloccare il movimento” “Ma non capisco” “Che cos’è che non ti quadra?” Dove sta tutta questa eccezionalità della disposizione delle lettere sulla tastiera?” “Vedi, agli inizi i progettisti disposero i simboli delle lettere per l’appunto in ordine alfabetico. Questo sistema avrebbe aumentato la velocità di scrittura ma anche la possibilità di sovrapporsi e l’impicciarsi dei martelletti”

“Poi la storia narra che Sholes ottenne una commessa da mille unità dalle poste degli USA, cedette il brevetto alla Remington che cominciò a produrle”
Ed ora la storia s’intreccia con la poesia. “Ecco qua Miss Lilly, la prima dattilografa moderna” – Miss Lilly è un manichino perfettamente abbigliato che raffigura una fanciulla a grandezza naturale – “Chi è miss Lilly?” Il Direttore Umberto danza sulle ali della fantasia e ci racconta di questa miss Lilly allora diciottenne, figlia di Christopher Sholes, quest’uomo eccezionale che da aiuto tipografo divenne prima giornalista e poi senatore. Sholes brevettò un apparecchio che aveva il risultato della battuta non visibile da parte dell’operatore: chiamò questa macchina The Calligraph. E fu proprio la Lilly che sperimentava i prototipi inventati dal padre.

Nella scia verranno tante altre macchine Crandall, Villiams, Underwood, Yost, Densmore, Hammond, Smith – Premier; Blickensderfer Leve. “Guardate, vedete questa particolarità? Sapete qual è il materiale che costituisce l’ossatura del martelletto?” È facile: è di plastica” “No, quel materiale verrà realizzato più tardi. Pensate: è lo stesso materiale con cui si facevano i colletti rigidi delle camicie, gli stessi bottoni oppure le stecche dei busti che le signore all’epoca ancora indossavano o anche i manici degli ombrelli” “Non saprei proprio” “E’ l’osso di balena. Avete presente quegli enormi mammiferi del mare? Hanno nelle loro bocche delle lamine con cui trattengono il plancton di cui si nutrono. Queste lamine si chiamano fanoni che sono molto flessibili ed elastici. Proprio questi furono adoperati per realizzare le molle delle prime macchine da scrivere”

“Però le persone che battevano a macchina non riuscivano a leggere ciò che scrivevano” “Sì, presto però Remington e Underwood si specializzarono ed inventarono la scrittura frontale leggibile” “Scusi, ma la Remington non produceva fucili?” “Certo. Fin dall’inizio dell’Ottocento la Remington produceva fucili leggendari. Più o meno dopo che l’Italia conquistò Roma facendo finire il potere temporale dei papi, l’azienda si specializzò anche in macchine da scrivere. E qui la storia si fa divertente, sapete? Un ingegnere d’origine austriaca, un certo signor Wagner, inventò il movimento del tasto maiuscolo. Il che permise di dimezzare il numero delle leve. Poi realizzò il movimento meccanico a battuta frontale, rendendolo così leggibile dallo scrivente finalmente in grado di correggere ogni eventuale errore. Ma il suo capo in Remington non volle dargli soddisfazione e svalutò questa invenzione, ignorandola bellamente. Colpito nell’orgoglio e convinto dell’eccellenza della sua intuizione, Wagner bussò ad un concorrente della Remington, la Underwood, fino a quel momento nota per produrre nastri dattilografici. Quest’azienda comprò ben volentieri il brevetto dell’ingegner Wagner e fino al 1911 Remington e Underwood animarono una furibonda concorrenza”

“Posso fare una domanda?” “Ma certo” “L’altro giorno mio padre m’ha fatto vedere un libro pieno di fotografie dove c’era un tizio che lavorava in ufficio e sulle maniche della camicia indossava una specie di protezione …” “Eh già! E sai perché?” “Mio padre m’ha detto che lo faceva anche suo padre, mio nonno. Siccome le giacche dei vestiti costavano tanto, a forza di stare alla scrivania, le maniche si consumavano. Con quell’accidente le proteggevano” “Io la so diversa e te: te la racconto” Il direttore Umberto ripiglia il filo: “c’era una volta una macchina da scrivere che era prodotta da un’azienda che nel 1891 realizzò la Williams curved caratterizzata per avere un doppio cinematico frontale e leve dei martelletti lunghe come zampe di grillo: questo le valse il nome di ‘la cavalletta’. Questo particolare apparecchio aveva bisogno di inchiostrare i cuscinetti perché non aveva il nastro. Quando il martelletto picchiava sulla carta puoi immaginare quanto inchiostro schizzasse di qua e di là: ecco perché vennero adottati quei buffi cosi, i manicotti che avevano proprio lo scopo di proteggere le maniche dei dattilografi”

L’esposizione universale del 1893

“Ma sapete che succede ora a sparigliare le carte fra la Remington e la Underwood?” E qui il Dr. Umberto fa una sapiente pausa: i ragazzi non reggono alla curiosità e sbottano: “Dica! Che cosa successe?” “Conoscete l’Olivetti vero?” “Perbacco! Certo” “Bene. Tutto cominciò un bel mattino di primavera inoltrata: era il 1° maggio 1893; l’evento voleva fra l’altro celebrare l’arrivo di Cristoforo Colombo quattrocento anni prima. In occasione dell’Expo le sue caravelle furono riprodotte in scala naturale. Dopo neanche due anni che un terribile incendio l’aveva rasa al suolo, Chicago rifioriva in un palcoscenico mondiale in cui ospitava espositori provenienti da una cinquantina di Paesi del mondo.

Sui principi della simmetria, dell’armonia e dello splendore fu disegnata la grande esposizione universale. La lucentezza dei palazzi costruiti appositamente risaltava anche in virtù dell’illuminazione elettrica che rendeva fruibile anche di notte l’intero, enorme complesso espositivo. C’era perfino una grandissima ruota panoramica alta 80 metri e dotata di 36 cabine. Accompagnati dal ragtime suonato da Scott Joplin, e da dozzine di altri musicisti, fiumane di visitatori sciamarono nei padiglioni: si parla di qualcosa come sette milioni di visitatori paganti che consentirono di vedere i bilanci dell’esposizione fortemente in attivo. Si tenne anche un convegno internazionale sull’utilizzo della nuova energia elettrica per l’illuminazione pubblica e privata”

“E c’era anche l’Olivetti?” “No, no. La fabbrica doveva ancora nascere” “E allora? Ma lei ha detto …”“Si, lo so che cosa ho detto. Avete sentito parlare vero di Galileo Ferraris, professore emerito di elettrotecnica?” “Beh, ecco …” “A quell’epoca divampava una polemica furibonda fra Tesla che voleva usare la corrente alternata e Edison, quella continua. Ferraris era stato invitato come relatore al convegno per mettere un po’ d’ordine nella disputa ma Ferraris non sapeva l’inglese, però s’era portato con sé un giovane brillante molto dotato, per l’appunto Camillo Olivetti che disimpegnò alla grande l’incombenza di traduttore”

“Quando l’Expo terminò, Edison gli procurò un assistentato alla Stanford University. Il giovane e intraprendente ingegnere piemontese mise a frutto i mesi di permanenza in America. Si studiò la macchina da scrivere Blickensdefer, moderna, leggera e di basso costo. Fra l’altro proprio queste furono anche le prime macchine da scrivere portatili a tastiera completa. Fu anche una macchina con principi futuristici che l’IBM adottò più di settant’anni dopo. Così Olivetti che aveva un gran fiuto per gli affari, ottenne l’incarico di venditore per l’Italia delle Williams. Nel 1908 torna in USA, visita lo stabilimento della Underwood (che produceva 100.000 macchine l’anno). Il 29 ottobre 1908 Olivetti compra un capannone a Ivrea e fonda la Olivetti & C e fabbrica la prima Olivetti M 1, presentata a Torino nel 1911. Della gloriosa storia dell’Olivetti però ve ne parlerò un’altra volta. Intanto vi presento la sua segretaria” e con tratto garbato il Dr. Umberto mostra ai ragazzi un bel manichino che esalta statura, forme e capigliatura della celebre assistente dell’imprenditore piemontese.

Celebrità che ebbero per le mani queste macchine della fantasia

“E poi dovete sapere una cosa: le macchine che vedete qui non sono semplici oggetti meccanici. Dietro queste leve così sottili e apparentemente fragili si nasconde tutta la forza dell’immaginazione di grandi personalità. Seguitemi che vi presento i miei ospiti”

Ora il museo si anima: gli oggetti meccanici quasi spariscono dalle semplici scaffalature dove sono appoggiate per ritornare sui tavoli, sopra le scrivanie, negli ambienti dove erano soliti stare fra le più o meno agili mani di chi sapeva farle risuonare.

Il Direttore Umberto scivola elegante fra la rossa Valentine della Olivetti “Rossa come la sua padrona, Silvia Annichiarico, divertente protagonista di tante trasmissioni televisive e quest’altra ICO dell’Olivetti realizzata la prima volta nel 1932, la prima portatile della Società. Sapete a chi apparteneva? A Camilla Cederna”

“Ma scusi, questo signore qui non è il presidente Cossiga?” chiede un insegnante al Direttore Umberto “Certo professore, il Capo questore della Camera, dopo aver visitato il mio museo, decise di farmi questo gentilissimo omaggio ed io la conservo con grande orgoglio”

“Hemingway? Niente meno? Professore, questo qui non è quello di cui abbiamo letto in classe ‘Il vecchio e il mare’?” “Eh già: la ricordi ancora quella lettura? Mi fa piacere” “Quanto è stato tenace, eh il vecchio nella sua battaglia con il merlin, quell’enorme pesce?” “Si ricordo che quelle pagine che abbiamo letto in classe ci hanno fatto capire che cosa sia il coraggio” “E quanto sia dura la vita e come non ci si debba arrendere mai”

Sappiamo tutti che i musei sono dedicati alla conservazione della memoria, delle gesta, delle meraviglie compiute dall’ingegno umano. Ma in un luogo come questo, pur deputato alla conservazione della memoria, ci si imbatte anche nella volontà di conservare il ricordo di aspetti probabilmente insignificanti per la storia dell’umanità, ma di certo importanti per chi li ha vissuti. Questo rispetto, questa attenzione, questa cura riverberano in tutti questi apparecchi che fanno vedere perfino tastiere con caratteri cirillici, ebraici, cinesi, arabi che ci aiutano così ad allargare le nostre prospettive, i nostri orizzonti. E come non rimanere basiti di fronte a tanti altri apparecchi speciali, addizionatrici e calcolatrici a manovella? Sono rimasto a bocca aperta di fronte a una macchina con la quale ho inserito i numeri infilando il dito come si faceva coi vecchi telefoni d’una volta.

Chi s’aggira fra questi scaffali può toccare questi oggetti: fatelo e vi parrà di incontrare l’artista, il politico, l’uomo comune che questo apparecchio ha usato e che grazie alla passione del Dr. Umberto continuerà ad esistere per sempre.