Un poligono solido – Storia di Esagono

Il primo impatto

Il Signor Stefano mi riceve seduto dietro una scrivania essenziale, in un ufficio semplice, senza orpelli, fatto per gente che lavora sodo. Tutta la struttura dell’Azienda non è disadorna: è priva del superfluo, del ridondante. La maggior parte dei divisori fra gli uffici sono di vetro: la trasparenza, la visibilità, l’essere tutto sotto gli occhi di tutti mi sembra un filo conduttore, seguendo il quale ci si orienta in Azienda.

I suoi collaboratori, che incrocio mentre vengo accompagnato nell’ufficio del capo, indossano capi comodi, qualcuno porta una gabbanella, una veste da lavoro tipica dei laboratori artigianali dove sovente alla competenza tecnica specifica si accompagna concentrazione, impegno e passione per ciò che si fa.

Stefano non indossa le insegne del comando, tuttavia si capisce che è lui il referente, il motore che muove tutto l’ingranaggio. Parla con voce sommessa, spesso proteggendosi la bocca con una mano o addirittura con entrambe. Il suo percorso professionale, importante ed articolato, non mi piomba addosso: si dipana in un crescendo di cui capisci le tappe, le stazioni, i nodi e gli snodi di un itinerario non occasionale, voluto e mirato ad un fine: l’innovazione e l’indipendenza.

Il fine del percorso imprenditoriale è scandito da una visione precisa: da una parte essere imprenditore, avere la capacità di scegliere sempre rinnovando la propria strada, dall’altra essere indipendente, guadagnarsi la libertà di orientare la propria prospettiva.

I primi passi

Stefano nasce il 16 marzo 1943 tra Rivergaro e Ponte Oglio nelle colline piacentine, mentre infuria la guerra. Proprio in quei giorni, gli Inglesi sul fronte del Mareth in Tunisia, scatenavano un attacco contro le forze dell’Asse che cominciavano, dopo le battaglie di El Alamein dell’anno precedente, ad inanellare sconfitte una dietro l’altra. È un altro preciso segnale dell’inizio della fine di regimi sconsiderati e terribili.

Altri inequivocabili segnali si registrarono nel Pacifico dove, all’inizio del 1943 gli statunitensi conquistavano Guadalcanal. Altri ancora in Russia: i nazisti, ormai irrimediabilmente circondati a Stalingrado, si arrendevano. Intanto gli alpini con l’ultimo assalto rompevano l’assedio a Nikolaevka e proseguivano la tremenda ritirata dei resti dell’Armir.

Pantelleria in questo stesso mese dell’anno in cui nacque Stefano, e Lampedusa a giugno, piegate dai bombardamenti dal cielo e dal mare, erano invase: furono questi i primi lembi del territorio nazionale a venire occupati dagli Alleati. Stava per scatenarsi l’attacco anglo – americano contro “il ventre molle dell’Asse”: la Sicilia costituirà infatti il primo bersaglio fin da maggio con bombardamenti continui e sistematici. L’invasione dell’isola avverrà a luglio e diversamente dalle altisonanti parole del duce, gli alleati non verranno affatto fermati sul bagnasciuga.

A Torino deflagravano i primi scioperi antifascisti e a luglio Mussolini veniva arrestato e con lui precipitava il regime che aveva imperato nell’ultimo ventennio.

Furono anni terribili, dunque, quelli in cui Stefano ebbe la ventura di nascere. I genitori di Stefano, Ernesto e Iolanda avevano tre aziende agricole una di proprietà e le altre due in affitto, da gestire. “Non stavamo male – mi dice Stefano – “Non abbiamo mai sofferto la fame pur in quei tempi grami”. “La nostra – prosegue Stefano -era una famiglia matriarcale dove la mamma Iolanda, svolgeva il ruolo principale. Era lei che esercitava il potere in casa”

C’è un momento di commozione che impedisce a Stefano di proseguire il racconto: capisco che è questo un terreno privato e gelosamente custodito. Mi ritraggo e attraverso il silenzio, offro tutta la comprensione e il rispetto che provo.

Un punto di vista originale

Dopo poco Stefano riprende il racconto. Ricorda che, per farlo studiare, ormai è terminato il lungo dopoguerra, siamo nei primi anni ’50, i genitori lo mandarono in un antico collegio, sorto già nella seconda metà dell’Ottocento: il Morigi di Piacenza, ambiente che Stefano mal sopportava. Stefano era più bravo nelle materie umanistiche che in quelle scientifiche. Giunti ormai agli albori degli anni ’60, Stefano si diploma Perito Industriale elettrotecnico.

“Con questo titolo quale prospettiva di carriera si apre?” “In teoria il Perito Industriale elettrotecnico può progettare sistemi ed apparecchiature elettroniche, realizzare degli impianti, collaudarli, testarli, diagnosticarne il funzionamento ed intervenire nella loro manutenzione. In pratica dipende dalle opportunità di impiego che si riescono a trovare”

Il livello di complessità certamente negli anni è venuto crescendo anche perché essendo la materia specifica in continuo divenire, non puoi mai considerarti esperto perché l’aggiornamento non si esaurisce mai. È probabilmente una disciplina che tutti possono apprendere, perlomeno nei suoi rudimenti, nelle sue linee essenziali ma che di certo non tutti hanno il talento di praticare con successo.

Analizzare i dati, distinguere le cause dagli effetti, identificare soluzioni possibili fra le tante applicabili, individuare quella più adatta nella specifica contingenza, richiede una notevole capacità analitica. Questa è certo una condizione necessaria, un prerequisito. Tuttavia, non basta ancora: il pressapochismo in questo settore è assolutamente da bandire. È la precisione, l’accuratezza, l’inesausta ricerca dell’inarrivabile perfezione che garantiscono il processo verso il miglioramento continuo. Chi mira all’efficacia non disgiunta dall’efficienza, sa che deve porre la massima attenzione ad ogni più minuto ed apparentemente secondario particolare.

Le esperienze professionali

Stefano dice che non amava troppo lo studio. Gli piaceva ancora meno il posto dove era nato. Sicché comincia a darsi da fare per trovare lavoro: viene assunto in un’azienda che verrà poi acquisita dalla Siemens. Qui ci trascorre quindici mesi. La lascia per entrare in Marelli infrastrutture dove l’azienda è famosa per realizzare ponti radio: ovvero sistemi di collegamento a radioonde tra due stazioni terminali. L’emittente invia un fascio di onde che la stazione ricevente acquisisce: si crea così una sorte di ponte fra le due stazioni che a questo punto sono vicendevolmente collegate fra di loro.

Terminata questa esperienza, opera per quattro anni e mezzo in Brionvega, in qualità di assistente al direttore di produzione. “La Brionvega è sicuramente una delle aziende che più hanno inciso nella storia del design italiano. In quell’azienda ho conosciuto i migliori architetti europei, i più straordinari progettisti. L’azienda era una creatura del fondatore: Giuseppe Brion. Eccellenti coadiutori si rivelarono sua moglie Rina e il figlio Ennio. In quest’azienda riesco a farmi un’esperienza globale proprio perché facevo l’assistente al direttore di produzione. In questo ruolo capisco il nesso indissolubile fra tecnologia e design.

“Noti bene, design non fine a sé stesso, bensì capace di integrarsi in un ambiente domestico dove il rapporto fra efficienza, qualità e funzionalità debbono trovare un equilibrio armonico. Quindi il design così concepito, con questo scopo diventa un fattore di differenziazione, un modo per distinguersi dal resto della concorrenza. Lo gnomo dell’elettronica, così veniva definito il piccolo televisore portatile della Brionvega, si contrapponeva ai dinosauri valvolari, come venivano descritti quei televisori giganteschi, pesanti ed ingombranti, caratterizzati da un enorme tubo catodico, assolutamente perdenti quando venivano contrapposti alla leggerezza e alla maneggevolezza dei televisori prodotti dall’azienda milanese.

“Si era formato un vero e proprio gruppo di progettazione che si dimostrava capace di superare le difficoltà attraverso il lavoro di squadra”

Questo tema sospetto che diventerà un mantra nella mente di Stefano. Il gruppo di lavoro in cui le diverse intelligenze, le molteplici attitudini si compenetrano. Nessuno concentrato solo ed esclusivamente sulla propria specificità, tutti coinvolti nella ricerca di una soluzione comune.

Esaurita l’esperienza esaltante in Brionvega, ecco Stefano per un anno coinvolto nella Rim Safim, un’azienda statunitense insediata a Melzo e specializzata nella costruzione di bidoni, di fusti. Il ruolo di Stefano in questo contesto, lui stesso lo definisce “in divenire”. È infatti un ambito completamente diverso che però gli serve per “aiutarmi ad aprire la mente” “Com’è possibile? Che collegamento ci può mai essere fra bidoni, fusti e componenti elettronici?”

“Ovviamente nessuno. Però il compito che in quell’azienda dovetti assumere fu quello di realizzare un manuale di azioni base per costruire il processo di lavoro. Si rende conto del salto che fui costretto a fare? Dovetti smettere di pensare come un progettista, come un ideatore di soluzioni ed immergermi completamente nel mondo di chi, non avendo partecipato alla sua progettazione, deve costruire il manufatto. Dovevo quindi favorire nell’addetto alla produzione, la piena comprensione del senso di determinate soluzioni, affinché capendole appieno, le realizzasse con la massima efficacia. Sono stato invitato a pensare al bisogno essenziale di una persona che, di fronte ad un manufatto, deve essere in grado di riprodurre le operazioni necessarie per costruirlo. Capisce il salto cognitivo?” “Dall’estro creativo, alla abilità realizzativa. Dal momento dell’illuminazione folgorante, al metodo costante che nella reiterazione assicuri contenimento e ottimizzazione di tempi e costi” “Sì, a questo serve un manuale”

“Successivamente sono entrato in un’altra azienda italo americana di elettromedicali dove per quattro anni ho fatto il responsabile di produzione. Qui mi sono, fra l’altro, confrontato con la realizzazione di un altro manuale. Questo serviva alla determinazione dei tempi standard dei ponti radio. Ritorno a praticare il mio mondo d’elettronica. Mi occupo di guide d’onda: ovvero tubi in rame in cui venivano convogliate onde di produzione”

Gli anni ’70: il grande salto

“Adesso ho raggiunto i trent’anni: sono i primi anni ‘70 e decido il grande salto: mi metto in proprio. Ho voglia di essere padrone di me stesso. Divento così fornitore dapprima di tutta la galassia Marconi (militare e civile) e poi della Marelli che si trasforma in Siemens ponti radio.

Probabilmente non c’è stata una frattura nel mondo del signor Stefano: lo spirito imprenditoriale che lo ha sempre caratterizzato mentre lavorava “sotto padrone” adesso questo, opportunamente temperato, serve a massimizzare l’efficacia dello sforzo che compie, consapevole di indirizzare, di guidare una propria impresa volendone determinarne il destino e l’indirizzo.

“E così costituisce Esagono” “Già, creai Esagono energia la cui missione era costruire impianti fotovoltaici”
“Accipicchia. Siamo a questo punto nel centro della sua competenza tecnica con in più la possibilità di fare qualcosa per il bene del pianeta, mi sembra” “Sì. Il fotovoltaico costituisce una modalità assolutamente innovativa di produrre energia elettrica” “La potenza del sole. A pensarci sembra una cosa ovvia, scontata. Certo difficile dev’essere imbrigliarla, immagazzinarla” “Vengono realizzati dei pannelli fatti appositamente per immagazzinare le radiazioni solari. Ci sono tante cellule fatte apposta. Poi la corrente viene trasformata da continua ad alternata e così può dare energia a tutta la casa, la fabbrica, la città” “E’ una meraviglia. Ma perché non si occupa più di questo adesso?” “Sono finiti gli incentivi statali e l’interesse della gente è precipitato”

“Quando comincia l’avventura delle auto elettriche?” “A partire dal 2011. Per finanziarla ci ho messo sette milioni di euro” “E’ una somma enorme” “Certo, avrei potuto far vivere tutta la mia famiglia comodamente e assicurare anche alla mia discendenza una certa tranquillità” “E come mai si mette così in gioco?”

“Certamente per quella che si può definire la mia spinta imprenditoriale, per la visione che ho di questo mestiere. Fuori di dubbio hanno giocato un ruolo importante anche le mie convinzioni interne. A quell’epoca sono alla soglia dei settant’anni. La maggior parte dei miei coetanei, arrivati a questo punto, si dedicano all’orto, ai nipoti, al riposo; ebbene, io proprio no. Non mi ci vedevo vagolare in casa, in mezzo ai piedi di mia moglie. No, proprio no”. Stefano fa una pausa adesso, riflette. Non sembra cercare le parole: vuole solo assicurarsi che ciò che sta per dire mi arrivi nel suo significato più profondo. “Vede, avevo con me delle persone verso le quali avevo assunto dentro di me, nei loro confronti, un impegno preciso. Loro non mi avevano mai mollato: adesso non li mollo io”

La filosofia imprenditoriale del signor Stefano

“La mia filosofia imprenditoriale? Vedere l’obiettivo, non quello davanti al naso ma oltre, vedere quello che viene dopo. Puntare lo sguardo verso quello che si apre successivamente all’obiettivo appena conseguito, diventato questo non più scopo ma tappa intermedia di un percorso lungo e articolato. Che cosa mi è servito per cercare il successo? Non ci si può improvvisare: quindi serve una base di esperienza e poi pratica, tanta pratica. La duttilità e la disponibilità a scandagliare tanti punti di vista. L’ostacolo più grande che ho avuto di fronte? La componente finanziaria è stato l’ostacolo principale: non avevo capitali bastevoli. Quando suonava il telefono in ufficio, provavo un tuffo al cuore. Era qualche fornitore che chiedeva d’essere pagato. In certi momenti è stato necessario stressare i fornitori. Ma se sono sempre qui è perché ho sempre saputo fare fronte agli impegni. Come ho fatto? Combattere tutti i giorni, non mollare mai: questo che non è certo un segreto, è se non la garanzia, il modo di operare di chi voglia davvero raggiungere qualcosa”

“Qual è la realtà odierna di Esagono?” “Oggi noi produciamo prodotti affidabili che sicuramente costano più degli altri. Perché? Perché c’è dietro un progetto complessivo, completo in ogni sua parte. In Esagono non costruiamo tutte le componenti dei nostri prodotti. Però noi compriamo dai fornitori solo ed esclusivamente ciò che noi stessi, internamente, abbiamo progettato”

Senza nessuna arroganza Stefano afferma d’essere conosciuto in tutto il mondo: “La produzione di Esagono è destinata al 97% all’universo mondo e destiniamo soltanto il residuo 3% all’Italia. Mi chiede perché? Probabilmente la sensibilità, l’attenzione, vorrei dire una consuetudine verso gli aspetti ecologici della questione da noi sono diventati tema d’attualità e d’attenzione molto più di recente rispetto a quando, questi stessi temi, sono diventati praticamente scontati, ovvii da un canto, imprescindibili dall’altro in molti paesi. Poi, come spesso accade, le cause che determinano un effetto sono molteplici. Quella culturale è senza dubbio importante ma probabilmente non determinante. Ce ne saranno altre di varia natura ma non ho voglia di sollevare polemiche. Questo è un dato ed io sono abituato, mi piace confrontarmi con i dati e ragionare su questi. Perciò le dico che siamo in gara per forniture rivolte alle Forze Armate olandesi, alle Poste slovene, ad Aziende ospedaliere europee. Un’altra importante fornitura in ballo è rivolta a una prestigiosa azienda internazionale per le consegne ultimo miglio. Per il mercato interno vedremo di valutare quando ci verranno avanzate delle richieste”

“L’organizzazione di Esagono? Snella ed efficace: tre persone all’ufficio vendite, quattro all’ufficio tecnico (elettrico e meccanico per sviluppare il prodotto), due all’ufficio acquisti per trattare coi fornitori, una persona in contabilità più un altro piccolo gruppetto di addetti ai servizi generali”.

Il signor Stefano, adesso che l’intervista è finita, mi accompagna all’uscita. Appesa ad una parete vedo la fotografia di un’automobile sportiva; mi avvicino, è una Porsche. “Ma è un’auto elettrica!” “Già! Non è sorprendente? Pensi che fu progettata e realizzata nel giugno del 1898” “Quindi produrrà anche vetture sportive?” “Sarebbe bello, eh? Vede io non sono uno di quelli che fino a quarant’anni ha fatto la bella vita e poi, raggiunta, diciamo così la maturità, s’è messo a sgobbare. Io non mi sono mai fermato da quando era ragazzo. Perciò, caro lei, la saluto e mi stia bene”

Mentre torno in moto a casa, è una freddissima giornata verso la fine di dicembre, riavvolgo il nastro delle sensazioni, dei pensieri e delle emozioni provate nel corso dell’incontro con il Signor Stefano e per tenermi caldo in questa nebbia uggiosa sogno che Esagono sia nata dal desiderio di donare al mondo la dolcezza. La propulsione elettrica l’avverto proprio come un’offerta gentile, ecologica, sana. “Già, sicuro. Ma la Porsche” – mi fo, mentre procedo in questa via Cassanese buia e gelida – che c’azzecca?” Chissà che il signor Stefano non stia per progettare un’altra iniziativa? Potrebbe chiamarla, che ne so? Dodecagono? Eh già, velocità gentile, prestazioni senza perturbare l’ambiente, velocità ed equilibrio. Da un tipo così io me l’aspetto. E voi?