Curare la psiche, che poesia
Scritto da Luciana Quaia il 26-01-2011
Chi di noi non è un po’ poeta?
Sarà perché, come scrive il filosofo Emanuele Severino, “la poesia dà ai mortali l’ultimo e più alto bagliore della felicità”, o perché affidare al canto poetico la nostra capacità visionaria di interpretare il mondo ci illude di renderlo immortale e di poterlo consegnare all’umanità di tutti i tempi, di fatto, nell’incertezza dei nostri giorni, la poesia torna ad essere luminosa protagonista, come dimostrano i numerosi siti che abitano la rete: W la poesia; Poesia creativa; Poetare; Poeti per caso, per nominarne solo alcuni. Oltretutto, in quanto creazione artistica, la poesia si sta rivelando anche un utile strumento terapeutico. Come mai?
Ammettiamolo. Almeno una volta nella vita ci è successo di affidare alle parole poetiche un malessere, uno stato d’animo in dissonanza con ciò che ci circonda, una celebrazione con la Terra e la natura, una necessità di raccoglimento e di silenzio, di segreta introversione.
Scrivere poesie, dunque, è un gesto nostro, un atto creativo che non richiede obbligatoriamente un destinatario. La poesia di per sé non deve essere per forza definita. Ascoltiamo l’ultima strofa di “Ad alcuni piace la poesia” della poetessa Wislawa Szymborska:
“La poesia.
Ma cos’è mai la poesia?
Più d’una risposta incerta
È stata già data in proposito
Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo
Come alla salvezza di un corrimano”.
La poesia non parla, canta. La poesia non definisce l’oggetto, ne sollecita la visione. La poesia ha un potere magico che ha a che fare con il canto e l’incanto. La poesia evoca e parla al cuore.
Il linguaggio poetico, inoltre, interpella le funzioni dell’emisfero destro del cervello, il luogo deputato per eccellenza al pensiero creativo e le cui associazioni non si formano in modo lineare, ma a rete. Qui non esiste grammatica o sintassi. Le parole sono libere e si incontrano quasi per gioco con condensazioni, neologismi, somiglianze, rime, metafore, melodia. Poche parole concentrate che riescono a trasmettere in chi le ascolta emozioni forti in cui rispecchiarsi, poiché la poesia contempla il mondo con gli occhi dell’anima e affida alle parole l’eco di ciò che risuona nel proprio intimo.
Quel mondo che resta per la maggior parte inesplorato diventa improvvisamente visibile: malinconia, smarrimento, paura, nostalgia, ma analogamente passione, illusione, amore, desiderio, mescolanze infinite di pensieri ed emozioni, di presente e passato, di interiore ed esteriore diventano nuovi spazi per entrare in contatto con se stessi e gli altri.
Ma torniamo all’ambito psicologico e psicanalitico e al valore terapeutico attribuito all’arte in generale e alla poesia.
Sigmund Freud, per esempio, pensa che la produzione artistica rappresenti l’appagamento sostitutivo di un rapporto interrotto con la realtà. Grazie all’opera espressiva, l’artista in disaccordo con la vita riesce a soddisfare i propri desideri e a trovare una riappacificazione con il mondo.
Allarga la prospettiva invece Carl Gustav Jung, secondo il quale l’impulso creativo non può essere limitato ad una visione patologica di chi lo manifesta, ma ritenuto simbolo di una ben più estesa mitologia inconscia collettiva senza tempo.
Il pittore francese Jean Dubuffet definisce la sua Art Brut (arte grezza, spontanea),
come opere di persone del tutto prive di condizionamenti estetici o culturali e che talvolta le circostanze della vita hanno posto in condizioni di disagio o di difficoltà comunicative. Attraverso l’applicazione delle più svariate forme dell’espressione artistica – pittura, disegno, musica, scrittura, teatro, video, fotografia, canto, scrittura – lo spirito dell’artista riesce, in forma impulsiva e originale, a dare forma a ciò che giace nella sua dimensione profonda.
Si può quindi affermare che il linguaggio artistico veicola ciò che il linguaggio razionale non riesce a rivelare.
Nella cura psicoterapeutica, le modalità di esprimersi per entrare in contatto col territorio del sommerso invisibile trovano oggi diverse tecniche di arteterapia: la pittura, dove lo spazio bianco si riempie delle proprie visioni interiori; la musica, dove la creazione di un dialogo sonoro può risvegliare sopite sensazioni; la danza, dove il movimento consente di recuperare un rapporto armonioso con le limitazioni del corpo; il canto, dove l’estensione vocale può riempire un vuoto angoscioso; il teatro, dove nella finzione scenica si traduce ciò che si nasconde dietro la maschera.
Non ultime, come dicevamo poc’anzi, la letteratura e la poesia, con l’utilizzo di tutti i mezzi della retorica classica, rappresentano sicuramente un’ulteriore modalità per attivare l’immaginazione del lettore e dell’ascoltatore e dare quindi alla parola un vantaggio curativo.
La parola poetica appartiene a una lingua che non è comunemente parlata, ma che sa rivendicare il proprio diritto alla vita. Il parlare poetico non è logico-razionale, bensì immaginativo e simbolico, come suggeriscono queste parole del poeta americano Mark Strand:
“La vita tranquilla non dà preavvisi.
Consuma i climi dello sconforto
e compare, a piedi, non riconosciuta, senza offrire nulla,
e tu sei lì.”
E’ proprio la dimensione onirico-fantastica suscitata dal componimento poetico che nella metà del 1800 stimola la nascita della Poetry Therapy (poesia come terapia),
quando, nell’ospedale psichiatrico di Pennsylvania, si iniziò a fare un uso intenzionale della produzione e lettura di poesie e scrittura creativa (Writing Therapy) per consentire ai malati di mettere in scena il proprio vissuto attraverso l’identificazione nel materiale narrativo. In seguito, nel 1969 nasce a New York un’associazione per la terapia con la poesia e nel 1973 a Los Angeles viene fondato il Poetry Therapy Institute.
Gli aspetti fondamentali della terapia con la poesia si basano sul rispecchiamento dell’Io nel componimento poetico e la riformulazione dell’esperienza vissuta tramite la liberazione catartica della parola simbolica. Essa viene generalmente condotta in attività di gruppo o individuale con l’impiego di particolari tecniche psico-poetiche, finalizzate a raggiungere determinati obiettivi psicologici e comportamentali e selezionate sulla base di un colloquio motivazionale con la persona che desidera giovarsi di tale metodo.
Nella terapia di gruppo, il prodotto dell’artista permette sia un discorso con se stesso, sia un discorso interpersonale con chi ascolta. È attraverso l’incontro-scontro con gli altri, infatti, che il prodotto individuale si arricchisce di nuovi significati, si vengono a creare le condizioni per cui interiore-esteriore, realtà e fantasia s’incontrano, si sovrappongono e diventano materiale partecipato con momenti comunicabili e confrontabili.
Ogni lavoro è un lavoro spontaneo, che non deve diventare un capolavoro, ma espressione di ciò che ognuno ha dentro di sé e che in quel momento riesce a dire attraverso la creatività, in un momento in cui le parole e il linguaggio tradizionali risultano difficili da produrre.
Le tecniche sono numerose. Per citare qualche esempio, la poesia biografica si avvale di una narrazione di parti di sé in versi o con la lettura di poesie ritenute adatte a rappresentare aspetti della propria personalità; la poesia fantasmatica è indicata per i bambini per aiutarli ad affrontare paure non riconosciute; la Agnotherapy si basa sulla lettura e l’analisi dei racconti di Samuel Yosef Agnon, scrittore di origine ebraica e premio Nobel per la letteratura nel 1966.
Su quest’ultimo approccio vale la pena di citare l’esperienza che Lilia Binah, direttrice di un centro diurno per anziani israeliano, ha pubblicato sul “The Journal of Poetry Therapy” descrivendo i miglioramenti conseguiti dagli anziani affetti da demenza lieve o sindromi ansiose-depressive durante o dopo la lettura dei brani proposti.
l’analisi di una poesia o di un racconto aiuta la persona anziana depressa ad esprimere le proprie emozioni, ad uscire dall’isolamento e a riannodare i fili della propria esperienza esistenziale, rendendo quindi più accettabile la nuova fase della vita.
Anche nella realtà ospedaliera sta avendo particolare successo l’iniziativa di Leggere con cura, un progetto di poetry therapy per aiutare i malati a riconciliarsi con la propria patologia attraverso la “somministrazione” quotidiana di brani poetici.
Come poi non ricordare l’importanza della poesia nell’ambito della malattia mentale?
E’ ancora vivo il canto della ferita di Alda Merini che così invoca:
“O poesia, non venirmi addosso
sei come una montagna pesante,
mi schiacci come un moscerino;
poesia, non schiacciarmi
l’insetto è alacre e insonne,
scalpita dentro la rete,
poesia, ho tanta paura,
non saltarmi addosso, ti prego.”
Come il sogno, anche la poesia è la terra dell’artista, il ponte tra conscio e inconscio dove la sovranità della parola detiene la supremazia per ricomporre i pezzi che compongono il Sé e restituire una pacificazione emozionale nei momenti critici della vita.
E se le parole della nostra lingua possono essere indebolite, vilipese, degradate, le parole del linguaggio poetico trascendono ogni tempo e spazio, essendo i valori espressi – amore, bellezza, felicità, dolore, morte – quelli universali della condizione umana.
Scrive la poetessa Emily Dickinson:
“Una parola è morta –
dice taluno –
quando è pronunciata.
Io dico
ch’essa incomincia a vivere
proprio quel giorno.”
Così ci piace immaginare il nostro poetare. E a voi?