Il 2010 e la biodiversità da tutelare
Scritto da Angela Maria Messina il 15-03-2010
Il 2010 è stato dichiarato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite “Anno internazionale della biodiversità”. Ma cosa s’intende con questa espressione?
In senso letterale, il termine sta per “diversità della vita”: indica, cioè, la varietà di tutti gli esseri viventi che vivono sulla Terra e la complessità dei sistemi che interagiscono tra loro.
I diversi ecosistemi (ambienti naturali come acque, boschi, spazio alpino) sono popolati da specie diverse (animali, piante, funghi, microrganismi),
specie che a loro volta sono di razze o varietà diverse. Questo complesso sistema rende il nostro Pianeta unico ed è il risultato di 3 miliardi e mezzo di anni di evoluzione.
Ambienti, specie viventi, varietà sono strettamente connessi tra loro e situazioni che minacciano la sopravvivenza anche di uno solo di questi componenti possono condizionare la permanenza di tutto il sistema.
“Negli ultimi quarant’anni è stata distrutta una superficie di foresta pluviale tropicale più ampia dell’Europa, in massima parte per ricavarne legno, per praticare colture come la palma da olio e la soia e per allevare il bestiame. In Europa meno del 3% delle foreste può essere definito “indisturbato dalla presenza umana”. A partire dagli anni ’50, il continente europeo ha perso oltre la metà delle terre umide e dei terreni agricoli a più alto valore naturalistico, senza contare che molti ecosistemi marini dell’UE sono degradati”: sono alcune considerazioni ricavate da un dossier pubblicato dal Wwf, in cui emerge in modo chiaro la rapidità di questa trasformazione.
Anche in Italia la situazione non è incoraggiante a causa soprattutto del consumo del suolo: secondo un rapporto della stessa organizzazione, “questo si perde al ritmo di 110 chilometri quadrati all’anno, pari a 30 ettari al giorno, 200 metri quadrati al minuto”.
Anche per quanto riguarda alimenti come ortaggi, frutta, cereali o carni e altri prodotti di origine animale, fino ad alcuni decenni fa, molti luoghi erano caratterizzati dalla coltivazione di vegetali tipici, selezionati per rendere al meglio su quel determinato tipo di terreno e in quelle determinate condizioni climatiche o dall’allevamento di razze particolari di animali. Ora tutto questo patrimonio, così diversificato e cresciuto nei secoli, si sta perdendo.
Associazioni agricole, enti pubblici, istituti di ricerca si sono attivati per preservare la biodiversità di piante e animali, utilizzati per produrre alimenti: sono stati così selezionati prodotti agroalimentari di qualità, radicati nella cultura del territorio, e a rischio di estinzione e sono state messe in atto diverse iniziative per tutelare i produttori e potenziare il loro mercato.
Molti sono i prodotti selezionati in zone particolari delle diverse regioni italiane: cereali, ortaggi, frutta, salumi e formaggi, vini e olii…
Per curiosità eccone alcuni, scelti nel nord, centro e sud Italia.
Il grano saraceno è l’ingrediente principale dei pizzoccheri, piatto tipico della Valtellina. Essendo una pianta che resiste ai climi freddi, ha costituito fin dal 1600 la base per l’alimentazione dei contadini dell’intero arco alpino. Oggi le coltivazioni in Valtellina sono poche, tanto che la maggior parte del prodotto lavorato in Italia viene importato dall’estero.
Il caciofiore della campagna romana può essere considerato l’antenato del Pecorino Romano: la sua particolarità è che viene utilizzato il caglio vegetale ottenuto dal fiore di carciofo o di cardo selvatico, secondo una pratica di caseificazione assai diffusa negli antichi Romani. E’ un formaggio dal sapore intenso, non salato, lievemente amaro.
In provincia di Potenza viene coltivata la melanzana rossa di Rotonda: è piccola e tondeggiante come una mela, per il colore arancio intenso con sfumature verdognole e rossastre sembra un caco o un pomodoro, tanto che viene chiamata, nella parlata locale, “merlingiana a pummadora”. Il suo sapore è più piccante ed esotico rispetto alle comuni melanzane.
Valorizzare e far conoscere l’esistenza di queste produzioni locali può contribuire a tutelare la biodiversità, preservando quanto più possibile l’intero ecosistema di quel particolare territorio.