Alda Merini e il block-notes delle figlie sul Web

Scritto da Alessandra Cicalini il 09-04-2010

Emanuela Carniti ha una voce placida, di chi ama stare con la gente. “Dicono che somiglio a mia madre, nel viso, ma non so se sia vero o lo fanno per adularmi”. Adesso non lo nasconde più, ma per molto tempo solo in pochissimi sapevano la verità: Emanuela è la figlia maggiore di Alda Merini, la prima Poeta d’Italia, come sua madre amava definirsi. Quando lo ripeteva a lei mentre discutevano, e lo facevano spesso, Emanuela si infuriava: “A me non importava chi fosse, per me era mia madre e basta e le avrei voluto bene comunque”, spiega. Eppure, adesso che non c’è più, questa signora che nella vita ha scelto, non a caso, di fare l’infermiera in psichiatria, confessa che sbagliava: “E’ stata la poesia a salvarla, era più forte anche del suo essere madre”. Ed è questo uno dei motivi che hanno spinto lei e le sue sorelle Flavia, Barbara e Simona, nate dal matrimonio della poetessa dei Navigli con Ettore Carniti, a dedicarle un sito internet ricchissimo di versi, aneddoti, fotografie (come quella in alto a sinistra e la seconda in basso a destra che si alternano nell’homepage) e testimonianze. Lanciato ufficialmente il 21 marzo scorso, in occasione di quel che sarebbe stato il settantanovesimo compleanno della poetessa milanese (e della Giornata mondiale della Poesia),
il sito vuole essere un omaggio alla madre, ma non solo. “C’è un mare di gente che ci cerca, molti hanno a che fare con la poesia, ma molti altri vogliono solo essere rassicurati”, racconta Emanuela. “A molti rispondo in diretta durante gli incontri sulla mamma, ma chi scrive vuole una risposta e noi con questo sito cerchiamo di darla”. Nella maggior parte dei casi, la risposta è sempre la stessa, anche se bisogna darla individualmente, spiega ancora Emanuela: “Se ce l’ho fatta io, cioè la mamma, potete farcela anche voi che non siete poeti”.
In realtà, Emanuela pensa che le risposte siano già scritte dentro di noi senza bisogno di chiederle a qualcun altro, ma lei è abituata alla sofferenza, vissuta sulla sua pelle, quando Alda Merini è finita in manicomio, e poi per il lavoro che ha scelto. “Mi ci sono voluti anni di analisi e di pianti”, rivela con molta tranquillità. Eppure non tutti ce la fanno da soli, per questo è importante avere un luogo, anche virtuale, in cui ritrovare l’anima di Alda. “La poesia è universale, va condivisa e fruita da tutti”, sottolinea, “molti hanno in mano poesie della mamma, anzi, ma non tutti hanno voluto darcene almeno una copia e questo non è giusto”, aggiunge severa.
Rotte tutte le macchine per scrivere, l’unico mezzo “tecnologico” con cui la poetessa componeva di getto i suoi versi, Alda si abituò a dettare. “Era capace di chiamare i suoi amici all’alba chiedendo loro di trascrivere i versi e come si arrabbiava se le si diceva di ripetere!”, ride, “ed era velocissima, bisognava essere stenografi”. Adesso a soffrire della sua mancanza sono proprio gli amici che Alda tirava giù dal letto, quelli di cui, evidentemente, si fidava, quelli che con lei avevano in comune il fuoco dell’arte. Un esempio è Giovanni Nuti, che ha musicato le poesie di Alda ed è linkato direttamente sul sito-omaggio. Una sua composizione, anzi, fa da colonna sonora al sito, predisponendo il visitatore a una lettura partecipata di quel che cliccheranno.
Eppure, per Emanuela “la mamma non va santificata”: ne è convinta, lei non l’avrebbe voluto. Alle figlie raccontava che a volte la gente la veniva a trovare e la voleva toccare, ma lei si scansava, schernendosi. Di quanta adorazione fosse circondata, le figlie si sono rese conto al funerale, a inizio novembre dello scorso anno: “E’ stato molto commovente, certo, però per me la mamma è ancora qua, mi parla dalle sue foto e mi rimprovera che sto dicendo delle sciocchezze”, ride di nuovo con un po’ di malinconia.
Poi, Emanuela è stata con lei fino a quindici anni e per buona parte di questi Alda stava bene, anche il papà c’era, la sua era una famiglia (certo speciale),
ma una famiglia. E anche Flavia, racconta, in parte, potrebbe dire lo stesso. E Barbara e Simonetta, a loro volta, hanno la propria storia di cui giustamente lei non vuole parlare troppo. Però un aneddoto lo porge giusto alla fine della chiacchierata (fatta mentre preparava il ragù per il figlio Riccardo) e riguarda Flavia: “Da bambina, se trovava qualche soldo in giro, comprava dei blocchetti piccoli, ma proprio ne prendeva a iosa, e poi non ci scriveva niente su. Erano il suo feticcio”, il suo modo di stare più vicino alla mamma. In un certo senso, anche il loro sito internet è un grosso block-notes, solo che stavolta è pieno di parole che ricordano e avvicinano. L’arte migliora le persone, Emanuela ci crede fermamente, e ci credono le sorelle che immaginiamo speciali come lei. Grazie del vostro gesto, Alda sarà orgogliosa di voi, ancora una volta.

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