Il diritto al progetto di vita

Scritto da Gaetano De Luca il 28-04-2010

Nella realtà di tutti i giorni capita spesso che una persona con disabilità, i suoi familiari e in generale chiunque sia in condizione di disagio psico-fisico non sappiano a chi rivolgersi per avere una valutazione globale dei propri bisogni e per capire quali siano le possibili risposte in termini di servizi sociali e socio-sanitari. Pochi conoscono, infatti, la normativa sul progetto individuale di vita. Di che cosa si tratta? Scopriamolo insieme.
Per capirlo, procediamo per tappe. Se abbiamo dei problemi di salute, sappiamo di doverci rivolgere al servizio sanitario pubblico o privato. Se invece ci occorre un aiuto per il compimento degli atti quotidiani (per esempio per l’assistenza e il trasporto nei centri diurni) dobbiamo contattare i servizi sociali del nostro comune di residenza. E se vogliamo molto di più? Basta rivolgersi all’articolo 14 della legge 8 novembre 2000 n. 328 intitolata Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali“, il quale recita: “Per realizzare la piena integrazione delle persone disabili di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’istruzione scolastica o professionale e del lavoro, i Comuni, d’intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale“.
Il progetto di vita dovrebbe dunque costituire lo strumento principale attraverso il quale garantire una vera e propria presa in carico globale dei bisogni della persona tenendo conto delle diverse fasi della sua vita. Lo scopo di questo strumento è quello di evitare che vengano erogate prestazioni e servizi senza tenere conto delle relazioni che esistono tra i diversi contesti (scuola, formazione, lavoro, tempo libero, sanità, riabilitazione, assistenza sociale, famiglia).
Quanto al contenuto, l’articolo 14 della legge 328/2000 prevede che “il progetto individuale comprende, oltre alla valutazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale, i servizi alla persona a cui provvede il Comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale, nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare.
Il progetto di vita, secondo la normativa nazionale, dovrebbe quindi costituire il fulcro principale del sostegno alle persone con disabilità che, in questo modo, non sono costrette a vagare disordinatamente da un servizio ad un altro alla ricerca delle risposte ai loro numerosi bisogni
Purtroppo, però, nella realtà sono pochi gli enti locali che riescono a garantire una vera e propria presa in carico dei bisogni delle persone con disabilità attraverso la stesura di un progetto individualizzato che coordini i diversi interventi. I motivi sono i più disparati: mancanza di risorse, disorganizzazione dei servizi sociali, non consapevolezza della obbligatorietà dello strumento.
E tuttavia una buona notizia c’è: da qualche mese esiste una pronuncia-pilota della Magistratura cui fare riferimento per poter pretendere dal proprio Comune di residenza la predisposizione di un progetto di vita. Si tratta della sentenza del Tar Sicilia emessa il 12 febbraio 2010, che ha condannato un ente locale per non aver dato alcuna risposta alle numerose istanze con cui una persona con disabilità ne chiedeva la predisposizione.
Si tratta di un precedente molto importante in quanto interviene su una prassi molto diffusa tra gli enti locali, ossia quella di non dare alcuna risposta alle richieste di “presa in carico globale dei bisogni”. Il Tribunale amministrativo regionale (in sigla, Tar) ha sancito una volta per tutte che questo silenzio è illegittimo.
Ma cosa deve fare concretamente una persona con disabilità? Anziché limitarsi a chiedere periodicamente l’erogazione di un singolo servizio, deve mandare al proprio ente locale una richiesta scritta (raccomandata con ricevuta di ritorno) in cui espressamente richiede la predisposizione di un progetto individualizzato ai sensi dell’articolo 14 legge 328/2000.
In questo modo, sarà possibile avere un quadro generale della “somma” dei bisogni individuali, e articolare di conseguenza i singoli interventi e servizi sulla base delle effettive esigenze della singola persona.
E’ importante peraltro ricordare come questo importante compito dell’ente locale non possa essere limitato alle sole persone con una disabilità certificata, ma debba essere esteso in un modo o nell’altro a tutte le persone che si trovano in una situazione di bisogno e fragilità, e quindi anche alle persone anziane con problemi di autonomia.
La normativa nazionale e le diverse normative regionali sanciscono infatti, in linea generale, il principio della presa in carico personalizzata attraverso una valutazione globale dei bisogni, che consenta di garantire quindi un reale sostegno alla persona e alla famiglia.
Ad esempio, in Lombardia la recente normativa di riforma dei servizi sociali (articolo 7 della legge regionale 3/2008) prevede espressamente che tutti gli utenti (e non solo le persone con disabilità certificata) abbiano il “diritto ad essere prese in carico in maniera personalizzata e continuativa ed essere coinvolte nella formulazione dei relativi progetti“.
In conclusione, la fragilità si è conquistata un posto in primo piano nelle tutele della legge: ci sono buone speranze che con il tempo diventi concetto comune anche per la prassi amministrativa.

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