La compartecipazione al costo dei servizi socio-sanitari - a che punto siamo...

Scritto da Gaetano De Luca il 03-12-2012

Con l’avanzare dell’età e con il raggiungimento della cosiddetta terza età le persone possono incontrare con maggior frequenza situazioni di bisogno e di difficoltà nello svolgimento degli atti quotidiani della vita.
Una persona anziana infatti può avere bisogno di aiuto e supporto ad esempio nel doversi alzare e vestire, preparare i pasti, fare la spesa, nel muoversi in strada sino alla situazione limite in cui per tutta una serie di motivi la persona necessita di essere inserita in una struttura residenziale dove troverà l’assistenza di personale qualificato e un ambiente adeguato ai suoi bisogni.
Per poter rispondere a queste situazioni di bisogno e di difficoltà il nostro ordinamento prevede la predisposizione di un sistema di servizi sociali e di servizi socio-sanitari, quali a puro titolo semplificativo: centri multiservizi anziani, l’assistenza domiciliare, la teleassistenza, i centri diurni integrati, i servizi residenziali, i soggiorni di sollievo per anziani in località climatiche, il pronto intervento estivo, i centri socio ricreativi culturali.
Come ho avuto modo di scrivere in un mio precedente articolo relativo al costo delle prestazioni sociali, è bene sapere che ciascuno Comune è sostanzialmente libero di decidere se fornire questa tipologia di servizi gratuitamente oppure richiedere un contributo, in quanto non esiste una normativa che ne imponga la fornitura gratuita.

Questo significa che gli enti locali possono legittimamente chiedere una contribuzione sul costo dei servizi sociali e sulla quota sociale dei servizi socio-sanitari.

Fatta questa importante premessa di principio generale, occorre peraltro evidenziare come le Amministrazioni Pubbliche non sono però libere di determinare le tariffe in modo totalmente discrezionale ma devono determinare la quota di compartecipazione al costo dei servizi in modo equo, rispettando una normativa specifica.

Cosa significa determinare la quota di costo in modo equo? In primo luogo significa chiedere la contribuzione al solo beneficiario del servizio e non a terze persone pur se parenti o perfino appartenenti allo stesso nucleo familiare. La legge sul punto è chiara: gli enti gestori dei servizi non possono chiedere contributi ai parenti tenuti agli alimenti (Art. 2 comma 6 Decreto Legislativo 109.1998).
In secondo luogo occorre determinare la compartecipazione al costo del servizio applicando il cosiddetto principio di proporzionalità, ovvero calcolarla in proporzione alla ricchezza ovvero alla situazione economica e patrimoniale del beneficiario. In parole povere una persona ricca è giusto che paghi di più di una persona povera.
Ma come si fa a valutare e verificare la ricchezza di una persona anziana che chiede di accedere a un servizio sociale o socio-sanitario? Lo strumento di misura ancora oggi attualmente in vigore dal punto di normativo è l’I.S.E.E. (Indicatore della Situazione Economica Equivalente).
Anche se infatti il Governo sta per introdurre una nuova regolamentazione della materia a livello nazionale, oggi si deve ancora applicare la regola generale sancita dall’art. 25 Legge 328.2000 che ai fini dell’accesso ai servizi sociali  impone l’utilizzo dell’Isee per la verifica della condizione economica degli utenti
Quindi la persona anziana (o un suo rappresentante legale) quando chiede al proprio Comune di accedere ad un servizio sociale dovrà fornire anche il modello Isee debitamente compilato. Per la compilazione del modello Isee ci si potrà fare assistere da uno dei tanti Caaf.
l’Isee non è altro che uno strumento di determinazione della ricchezza di una persona che tiene conto sia dei redditi che del patrimonio. La somma di redditi e patrimoni viene poi divisa per un coefficiente corrispondente al numero delle persone presenti nel nucleo familiare anagrafico.
l’Isee di una persona viene quindi generalmente calcolato anche sulla base della ricchezza posseduta dai componenti del nucleo familiare con cui convive. Si tratta però, si noti bene, del nucleo familiare anagrafico, ovvero dei componenti che convivono nella stessa abitazione. Non possono pertanto essere presi in considerazione elementi reddituali e patrimoniali di parenti che non vivono nella stessa casa della persona anziana beneficiaria del servizio.
La normativa attualmente in vigore (art. 2 Decreto Legislativo 109/1998) infatti stabilisce espressamente che “La valutazione della situazione economica del richiedente è determinata con riferimento alle informazioni relative al nucleo familiare di appartenenza“. Lo stesso articolo al secondo comma specifica che “fanno parte del nucleo familiare i soggetti componenti la famiglia anagrafica“.
I successivi decreti attuativi della normativa Isee (DPCM 221/1999 e DPCM 242/2001) confermano questa regola generale rinviando all’art. 4 DPR 30 maggio 1989 n. 223 per la definizione di famiglia anagrafica.
Secondo quest’ultima normativa per famiglia anagrafica si intende “un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune“.
Risulta incontrovertibile pertanto come i familiari cui può essere richiesto legittimamente il reddito ai fini della valutazione della situazione economica del loro parente richiedente il servizio possono essere solo quelli che convivono con lui.
Esiste poi una deroga al generale utilizzo dell’Isee familiare che si applica quando i servizi sono richiesti da anziani non autosufficienti con un’età superiore ai 65 anni. In questo caso i Comuni devono prendere in considerazione l’Isee della sola persona anziana (art. 3 comma 2 ter Decreto Legislativo 109.1998) che beneficia del servizio.
Questa deroga è giustificata dal fatto che una persona non autosufficiente richiede un grosso impegno e sacrificio da parte dei familiari che vivono con lui. Per evitare che i parenti evitino di continuare la convivenza o si rifiutino di avere in casa una persona non autosufficiente la legge esclude che debbano fornire i propri redditi e patrimoni per il calcolo dell’Isee o possano essere chiamati a contribuire al costo dei servizi.
Si tratta in realtà di una regola che i Comuni in questi ultimi anni hanno quasi sempre rifiutato di applicare per motivi di bilancio, ma che in realtà continua ad essere sempre in vigore. La mancata applicazione di questa regola ha creato numerosi contenziosi da cui è oramai emerso un orientamento giurisprudenziale consolidato che ha sancito come la regola dell’Isee individuale debba essere sempre applicata agli anziani ultra65enni non autosufficienti.
Le sentenze sul tema sono numerose, ma meritano di essere lette quanto meno  le recenti pronunce del Consiglio di Stato 1607/2011, 5185/2011, 4071, 4077, 4085 e 5782 del 2012 perché danno l’idea di come queste regole peraltro rappresentino l’espressione di principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico.
Alla luce di queste considerazioni la persona anziana o il suo rappresentante legale possono sempre contestare la richiesta di quote non calcolate sulla base dell’Isee individuale.
È importante comunque farvi presente come non sempre si riesca ad ottenere il rispetto della normativa Isee con una semplice contestazione scritta. Spesso purtroppo è necessario presentare un ricorso al Tar avvalendosi dell’assistenza di un legale esperto in diritto amministrativo per poter ottenere il riconoscimento del diritto ad una compartecipazione equa.

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