Da saggi a target: gli anziani italiani nelle pubblicità

Scritto da Laura Cantoni il 08-10-2010

Fino a pochi anni fa, potremmo dire dieci-quindici, gli anziani sono stati fortemente sotto-rappresentati in pubblicità. Perché?
Innanzitutto, per la predominanza nel settore di temi, espressioni, valori, focalizzati su mondi positivi, euforici, vincenti, fortemente insistenti sugli effetti benefici dell’acquisto, a discapito degli aspetti meno ottimistici, meno proiettati al futuro, meno vitalistici, meno orientati alla crescita. La vecchiaia, infatti, in genere richiama valori poco desiderabili come la fragilità, la decadenza del corpo e della mente, quindi l’inefficienza psicofisica, la malattia, la morte.
C’è poi anche una ragione socio-culturale: la nostra società, soprattutto nelle fasi del boom, ha sempre valorizzato la prestanza giovanilistica, di pari passo con una buona attitudine ai consumi, là dove l’anziano significava, per scarse disponibilità economiche o perché portatore di una cultura non consumista se non pauperista, l’opposto.
Insomma, per decenni il gap tra i modelli della comunicazione e il mondo degli anziani è stato fortissimo.
Certo, non bisogna sottovalutare le eccezioni: chi non ricorda la nonnina di una nota candeggina? O l’uomo baffuto di una birra italiana? O ancora qualche figura di sfondo, come  in alcune campagne di un dado per brodo, per dei biscotti, per un formaggio fresco o per un marchio di panettoni?
In tutte queste campagne, però, l’anziano svolgeva un ruolo prevalentemente rassicuratorio, esprimendo competenza acquisita nel tempo, saggezza e in qualità di testimone di valori sicuri o della qualità artigianale dei prodotti. In tutti i casi, si trattava di una comunicazione rivolta ad altri settori della popolazione, in cui gli anziani svolgevano, appunto, una funzione diciamo di “garante”, ma con ruoli comunque defilati rispetto ai “target” della comunicazione.
Il ruolo “pubblicitario” si realizzava comunque anche in altri modi: in passato, la comunicazione ha, se pure moderatamente, utilizzato testimonial non giovanissimi come Ernesto Calindri (chi non lo ricorda seduto impassibile in mezzo al traffico con il suo amaro al carciofo?),
o Mike Bongiorno e la Grappa che ti porta sempre più in alto  o Franca Valeri e un marchio di pandori, infine Nilla Pizzi e il suo pomodoro super. Analogamente agli esempi sopra citati, in questo caso gli effetti valoriali legati all’immagine dell’anziano erano decisamente  secondari se non completamente occultati dal prestigio e l’appeal del personaggio, della “star”.
Oggi, invece, che cosa c’è di diverso? Molto: un insieme di condizioni socio-demografiche e culturali hanno modificato radicalmente il ruolo dell’anziano in pubblicità.
Si parla continuamente di questi cambiamenti: l’allungamento della vita media e l’innalzarsi della soglia oltre la quale una persona viene comunemente considerata “vecchia”; la maggiore disponibilità economica (crisi di questo infausto periodo a parte); il cambiamento nel modo di considerare alcuni eventi tipici di questa fascia d’età, come la menopausa, la pensione, l’utilizzo del tempo libero, e così via. Si tratta di mutamenti cui le imprese produttrici (e distributrici) hanno dovuto portare la debita attenzione.
Non a caso, infatti, le aziende hanno preso a guardare con molto interesse a questo segmento. Il marketing sempre più tiene d’occhio la differenziazione dell’impiego del tempo (per definizione) libero, come dimostra il moltiplicarsi dei viaggi, dell’uso della tecnologia, della  cura del corpo e della salute in questa fascia d’età rispetto alle generazioni precedenti. E si sta tenendo conto anche degli importanti ruoli sociali che questo settore della popolazione ha assunto e assumerà nel tempo. Detto in altri termini, l’invecchiamento sta diventando un’opportunità di business, anche se spesso disomogeneo al suo interno. Del resto, non sono del tutto sovrapponibili i consumi degli stessi anziani, suddivisi in almeno due fasce d’età diverse, quella dai 64 ai 74 anni, che rappresenta la terza età, e quella dai 75 agli 84, detta la quarta. La prima costituisce, quindi, un segmento di grande interesse per imprese produttrici di prodotti e servizi in molteplici settori; la seconda assume più rilevanza per prodotti assistenziali, medicali, sanitari.
Ed ecco che cambia la presenza degli anziani in pubblicità: gli anziani sono diventati un “target” di riferimento per la produzione industriale e dei servizi. La pubblicità non può ignorarli.
A fronte della necessità di integrare gli anziani nelle strategie di comunicazione, si confermano però due vincoli.
Da una parte (ma è un fenomeno tipicamente italiano) la resistenza, da parte degli  anziani stessi, ad essere rappresentati così come sono, di contro alla preferenza verso la raffigurazione secondo stili e valori delle classi d’età più giovani. Detto in soldoni: agli anziani italiani non piace essere trattati come tali.
Dall’altra parte la pubblicità (anche qui: soprattutto quella italiana) persiste nel rappresentare mondi positivi e piacevoli in cui le persone anziane possano identificarsi in modo “aspirazionale”.
Come si realizza questo nuovo protagonismo pubblicitario degli anziani? Con molte sfaccettature.
Innanzitutto, permane il ruolo rassicuratorio dell’anziano in comunicazioni che non sono necessariamente rivolte al suo mondo. In questa accezione, sembra che questi “anziani” dispensatori di saggezza e di buoni consigli siano sempre di più anziani “star”. Non personaggi anonimi, “l’anziano qualunque”, ma personaggi noti e apprezzati che mettono a disposizione la loro notorietà: basti pensare alla voce di Mina prestata ai recenti spot di un noto marchio di pasta.
Gli anziani (ex) appartenenti allo star system sono comunque sempre più utilizzati per orientare target non più giovanissimi, anche della terza o quarta età, verso prodotti utili anche per loro ma non necessariamente per loro “pensati”- pensiamo a prodotti trasversali come lo yogurt “anti-colesterolo” rappresentati da Little Tony e Raffaella Carrà quali emblemi d’età soggette a rischio di malattie cardiovascolari, o di un’altra linea che che aiuterebbe le donne a fare ‘pace’ con le proprie ossa, con Stefania Sandrelli quale testimonial.
Numerose, invece, sono le campagne che si rivolgono agli anziani per prodotti e servizi espressivamente rivolti e pensati per loro. Primi tra tutti il settore bancario/assicurativo, ad esempio sui temi del risparmio o dei prestiti, che intercettano sia le nuove disponibilità economiche di questa fascia di età, sia le nuove esigenze di consumo che non possono essere soddisfatte dalle risorse familiari attuali.
La categoria della cosmesi scopre il desiderio dell’essere giovani fino a parecchio “su” con gli anni, promettendo prodotti anti-invecchiamento promossi da signore in effetti non più trentenni; ma anche la moda, dietro l’alibi di vestiti “per taglie forti”, malcela l’orientamento al mondo delle “nuove anziane” sempre meno rassegnate ad un abbigliamento senile. Nel campo dell’arredamento, per la prima volta quest’anno il noto marchio svedese di arredamento non si è rivolto solo ai giovani o alla famiglia, ma anche agli anziani con un chiaro messaggio-stimolo al restyling della loro abitazione. Per non parlare delle campagne per prodotti ortopedici, sanitari o medicali per anziani, sempre più diffusi per facilitare una vita che sia sempre meno costretta dai limiti fisici dell’età avanzata.
In tutti i modi, sembra che queste campagne si pongano pur sempre l’obiettivo di innescare un processo di identificazione con i valori espressivi di giovinezza,  salute, allegria e benessere di chi ha “una ‘vita’ (o un mondo) di opportunità da vivere (godersi)”, quasi sempre negando “il problema” della rappresentazione della vecchiaia. Si mette in mostra un modo di diventare senior molto giovanilistico (nel senso anche di stile),
che cerca da un lato di smontare lo stereotipo anziano = sgradevole e dall’altro di tenersi al passo con le trasformazioni socioculturali attuali e future. Un esempio di questa tendenza potrebbe essere una storica pubblicità di un’altra birra che sfiora il paradosso o meglio, “gioca” su di esso.
In questo contesto spiccano però anche delle eccezioni, allusive a controtendenze probabilmente espressive di una evoluzione anti-stereotipia.
Innanzitutto, serpeggia un orientamento a ritrarre gli anziani con maggiore realismo. Pensiamo ad esempio alla campagna di una marca di dentiere, in cui la protagonista Liana Pederzani, una donna simpatica, autentica, vera portatrice di protesi che durante un’intervista testimonia quanto la sua vita sia migliorata con l’uso del prodotto. O anche a un sapone, che all’insegna del concetto di autenticità, trasforma i trattamenti anti-age in pro-age avvalendosi di modelle effettivamente “segnate” dal tempo.
Su un altro versante, quello delle istituzioni pubbliche, ci si incomincia a  rendere conto di quanto sia importante la protezione degli anziani, che nonostante le nuove energie sono pur sempre una fascia debole e vulnerabile. Anziani che vivono a lungo, ma anche, e questa è l’altra faccia della medaglia, che sovente vivono soli, privi di strutture familiari allargate  o lontani dai micronuclei familiari.
Ed ecco quindi che l’associazione Pubblicità Progresso da tempo si occupa degli anziani con l’obiettivo di recuperarli alla vita sociale (tutti ricorderanno Adotta un nonno a tutela delle competenze affettive e sociali degli anziani); o, molto recentemente, la Polizia di Stato attraverso la pubblicità cerca di contrastare la frequenza delle truffe che prendono di mira proprio le persone meno agguerrite come gli anziani. 
Infine emerge, come fenomeno degno di molto interesse, il nuovo ruolo sociale degli anziani. Un tempo associato alle loro competenze simboliche (portatori della cultura familiare atavica) o funzionali-tradizionale (il saper fare nella gestione della casa o della famiglia),
ora gli anziani assumono una nuova funzione come soggetti sostitutivi dei genitori spesso assenti. Ed ecco che Unicef si associa al popolarissimo Lino Banfi per festeggiare, proprio nei giorni scorsi, i nonni: e i testimonial senior invitano a donare un’orchidea ai nonni per aiutare non loro, ma i nipotini di tutto il mondo.
Gli ultimi esempi simboleggiano forse meglio di altri quanto stiano mutando gli anziani d’Italia, sempre più differenziati per gusti, interessi e bisogni, come già accadeva nelle altre fasi della vita.

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