Ti serve il pane? Bussa al portiere sociale!
Scritto da Alessandra Cicalini il 02-10-2009
Capita a volte di aver bisogno di un po’ di sale o di un pezzo di pane perché non si è avuto il tempo di fare la spesa. Più spesso capita a chi non può uscire da casa, come gli anziani malati o le persone con difficoltà motorie. In questi casi, la presenza di un buon vicinato diventa una necessità vitale. Purtroppo, però, soprattutto nei grandi centri urbani, non sempre si ha confidenza con gli inquilini della porta accanto: a volte, anzi, se ne ha proprio paura, in qualche caso, purtroppo, non senza ragione.
Da esigenze di questo genere sono nate le esperienze di “portierato sociale”, attivi a Milano già da diversi anni, ma ormai diffusi su tutta la Penisola.
Uno degli ultimi esperimenti è nato a Carpi, in Emilia Romagna, nel giugno scorso, nelle palazzine Erp di via Santa Chiara e via Pezzana.
Ma che cosa fa precisamente un portiere “sociale”?
In un certo senso, svolge mansioni molto simili a quelle del classico portiere di una volta, come se ne vedono ancora nelle città maggiori oppure nei film italiani degli anni Cinquanta. In più, al portiere sociale si chiede di organizzare momenti di aggregazione per gli abitanti del palazzo e di dare una mano nelle piccole commissioni quotidiane.
Insomma, un bravo portiere sociale deve saper ascoltare, come ha sempre fatto qualsiasi portiere, ma anche saper sostenere gli inquilini nelle proprie necessità pratiche e psicologiche.
È chiaro perciò che non tutti possono fare un lavoro del genere. E infatti per diventare portiere sociale è prevista una formazione ad hoc, in alcuni casi anche di tipo sanitario.
Talvolta, poi, i portieri favoriscono anche l’incontro tra i “vecchi” e “nuovi” italiani, come succede ad Arezzo in un condominio di periferia, in cui il servizio di supporto agli anziani inquilini è affidato a una coppia marocchina.
In questi casi, l’esperimento prende il nome di “condominio solidale” di cui ha parlato anche il nostro Giovanni Del Zanna, qualche mese fa.
Comunque le si voglia chiamare, è bello immaginare che da queste esperienze nascano affetti, amicizie e momenti di reale serenità. Quando le famiglie vivevano vicine, spesso anzi sotto lo stesso tetto, era infatti difficile restare senza pane o senza scambiare una parola per giorni interi. Oggi, forse, si sta recuperando un po’ della coesione sociale di un tempo, però in chiave allargata, come ormai capita a molte famiglie. Almeno, noi lo speriamo.