Fratture Femore

Scritto da Massimo Tanzi il 29-12-2011

Le casistiche italiane registrano, globalmente, un’incidenza di fratture da caduta intorno allo 0,7 per mille all’anno; valori un poco più alti si hanno per la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Francia. Prevalgono nei maschi anche se, nei grandi anziani (> 90 anni di età),
prevalgono nelle femmine (sono numericamente più rappresentative).
Secondo quanto emerge dal “bilancio demografico nazionale 2005” pubblicato dall’ISTAT, si stima che, nel 2050, circa il 34% della popolazione italiana avrà più di 65 anni, contro il 19,5% del gennaio 2005.
Circa il 35% dei pazienti con età superiore ai 65 anni presenta, nell’arco di un anno, almeno un episodio di caduta. Di questi episodi, circa il 10% si complica con una frattura.
Le fratture dell’estremo prossimale del femore nelle persone anziane sono in costante aumento e richiedono un notevole impegno di risorse per il trattamento chirurgico e la riabilitazione post-operatoria. Esse sono tra le più frequenti cause di ospedalizzazione per patologia ortopedica negli anziani.
l’aumento dell’età media della popolazione, l’aumento dell’incidenza di questo tipo di frattura e l’incertezza della prognosi in termini di invalidità e di mortalità, ren-dono questa patologia un rilevante problema di sanità pub-blica, sia in termini di salute del cittadino che di costi per la società.
Inoltre è stato riscontrato, in soggetti osteoporotici ed anziani, un impegno fisico ed energetico di più alto livello se confrontato con quello di soggetti di differente età. Ciò contribuisce ad una maggiore frequenza di lesioni ossee e legamentose nella regione bacino-femore; non a caso si osserva, in questi soggetti, una maggiore incidenza di traumi fratturativi con meccanismo lesionale da caduta.
Si fa sempre più pressante la necessità di individuare dei fattori predittivi, tra cui la sopravvivenza ed il recupero funzionale nei pazienti operati per fratture del femore, anche in considerazione del continuo aumento di tali eventi.
Numerosi studi hanno evidenziato l’influenza sulla mortalità e sul recupero funzionale di fattori quali l’età, il tipo di frattura, lo stato mentale, la presenza di patologie associate e l’autonomia dell’anziano.
Non vanno infatti trascurate quelle patologie associate, potenzialmente influenzanti l’intervento chirurgico e la riabilitazione post-operatoria, quali la demenza senile, il Morbo di Parkinson, l’insufficienza cardiorespiratoria e gli esiti invalidanti di ictus.
In anziani trattati chirurgicamente per fratture di femore, si possono verificare, a volte con frequenza, complicanze post-operatorie quali: piaghe da decubito, infezioni urinarie, trombosi venose profonde, infezioni respiratorie, infezioni superficiali o profonde della ferita chirurgica, paralisi neurologiche periferiche.
La mortalità è più bassa in alcuni paesi dell’Europa centro-meridionale, tra cui l’Italia, in cui la maggioranza degli anziani vive in famiglia, rispetto a quanto osservato nei paesi dell’Europa Settentrionale dove molti anziani vivono in istituzioni.
Ricordiamo che l’immobilizzazione post-chirurgia di femore, con l’assenza di ogni attività fisica e la stessa postura in scarico orizzontale del corpo a letto, determina delle alterazioni anatomo-funzionali a carico dei più svariati organi ed apparati, che costituiscono nel loro insieme la “sindrome da immobilizzazione”.
l’obiettivo è quindi il recupero più completo e rapido dell’anziano. La precocità e la specificità del trattamento riabilitativo risulta determinate: a) nel prevenire il decadimento motorio e le disabilità da complicanze correlate all’allettamento; b) nel promuovere l’indipendenza funzionale.
La riabilitazione deve comprendere numerosi esercizi di rinforzo muscolare, esercizi per i passaggi posturali ed il recupero dell’articolarità (successivamente della deambulazione),
per l’equilibrio e la coordinazione, con specifici carichi relativi all’intensità dell’esercizio stesso. Deve essere fornita anche l’assistenza nella gestione delle ADL (attività della vita quotidiana),
quali la terapia occupazionale, compresa la capacità di esecuzione di attività quali la gestione dell’igiene orale, l’alimentazione, la toilette, il vestirsi/svestirsi.
Si deve organizzare la riabilitazione successiva all’intervento in diversi tempi:
1) periodo post-operatorio immediato, che comprende la prima settimana dall’intervento;
2) periodo post-operatorio precoce, che va dalla fine della prima settimana alla fine della terza;
3) periodo post-operatorio tardivo, che si concluderà con il raggiungimento degli obiettivi programmati e possibili per il singolo individuo.
Nel primo giorno dopo l’intervento, si deve ottenere una mobilizzazione attiva/assistita dell’arto operato, con movimenti del piede e della caviglia e contrazioni muscolari isometriche. Non bisogna trascurare la ginnastica respiratoria e la mobilizzazione attiva dei distretti articolari sani.
Nei giorni successivi si deve proseguire con la mobilizzazione attiva/assistita del ginocchio, l’elevazione assistita dell’arto a ginocchio esteso, esercizi di recupero controllato dell’articolarità dell’anca.
Si autorizza precocemente la posizione seduta al bordo del letto (con esercizi di equilibrio per il tronco) e, successivamente, si istruisce il soggetto per il trasferimento letto-poltrona e viceversa, senza caricare sull’arto operato; in questa fase egli inizia ad assumere la stazione eretta (in appoggio mono-podalico). Consensualmente, gli esercizi consentiranno l’autonomia nelle variazioni posturali a letto.
Tra la decima e la quindicesima giornata dall’intervento, inizia la deambulazione assistita con idonei ausili (walker, stampelle canadesi),
ad un carico progressivo sull’arto operato.
Il trattamento riabilitativo tardivo prosegue consentendo un carico distrettuale progressivamente maggiore, eliminando gradualmente gli ausili fino alla deambulazione libera: ciò avviene in genere dopo 20-30 giorni dall’intervento, in modo completo dopo 50-60 giorni, previo controllo radiografico dell’avvenuto consolidamento della frattura.
Non bisogna trascurare comunque, nelle fratture di femore, una preparazione pre-operatoria, sempre che le condizioni del soggetto ed il suo grado di collaborazione lo permettano, al fine di mantenere un’adeguata funzionalità respiratoria ed attivare i distretti articolari sani, garantendo un buon tono muscolare. Il contatto con il terapista è inoltre rassicurante, soprattutto per i soggetti anziani che, con la frattura, passano repentinamente da una condizione di autonomia ad una di dipendenza completa, anche per le necessità elementari; ciò scatena una serie di preoccupazioni nel paziente, sia per il recupero funzionale che per la propria autosufficienza.

BIBLIOGRAFIA:
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