L'Osteoporosi
Scritto da Massimo Tanzi il 30-08-2011
Attualmente l’osteoporosi è una malattia che colpisce prevalentemente il sesso femminile, con un rapporto maschi/femmine = 1/3. In sintesi, circa un terzo delle donne fra i 60 ed i 70 anni e due terzi fra quelle con più di 80 anni ne sono interessate.
Quando si parla di disabilità secondaria all’osteoporosi, obbligatoriamente si deve fare riferimento alla frattura come elemento che condiziona più di ogni altro lo stato di salute.
E’ probabile che in Europa nel 2050 il numero totale di donne con frattura di femore sarà di circa 1 milione. I riflessi finanziari sono molto importanti poiché, solo in Europa, l’osteoporosi costa ora più di 25 miliardi di Euro all’anno in assistenza ospedaliera e, se non si riduce l’incidenza delle fratture, questi costi sono suscettibili di ulteriore aumento.
La frequenza delle fratture di femore è maggiore nelle aree urbane rispetto a quelle rurali dello stesso paese. Ciò perché, nell’urbanizzazione, la diminuzione di attività fisica e la scarsa afferenza sensoriale propriocettiva concorrono a diminuire i fattori di protezione nei confronti del rischio di caduta.
Il rischio di caduta nell’anziano è in funzione della ridotta stabilità, della diminuzione della forza muscolare, della riduzione del visus, della presenza di patologie concomitanti come quelle neurologiche, degli alterati valori di pressione arteriosa (come l’ipotensione ortostatica),
dell’assunzione sempre maggiore, ed in forma cronica, di psicofarmaci.
La tendenza attuale e prevalente, nei confronti del trattamento dell’osteoporosi, è quella di orientarsi verso la gestione terapeutico/farmacologica piuttosto che prediligere una valutazione globale del rischio nella persona “fragile”.
Il paziente anziano affetto da osteoporosi manifesta una disabilità, che si può ricondurre prevalentemente alla disfunzione fisica ed al dolore cronico.
Si definisce “disfunzione” l’irregolarità nel funzionamento dell’apparato locomotore, in particolare della colonna vertebrale.
La disfunzione fisica/motoria si correla a meccanismi di involuzione tipicamente senili (sindrome ipocinetica) ed è caratterizzata da alterazioni che si sviluppano minando le corrette risposte neuro-motorie al movimento, diminuendo l’equilibrio, la propriocezione e la coordinazione.
Inoltre, circa il 7-14% dei soggetti con osteoporosi manifesta sintomi dolorosi, che tendono a persistere oltre i normali tempi di risoluzione, esitando in cronicizzazione e disabilità.
Generalmente, non si contempla la risposta umana al dolore, alla disabilità ed al livello di partecipazione familiare, trascurando le complicanze lavorative e sociali.
Pensare e/o prevedere il sintomo “dolore” condiziona enormemente la percezione del dolore stesso, potendo comportare l’adozione di strategie sbagliate nei confronti dell’osteoporosi stessa. Inoltre, si sviluppa un senso di indecisione che si correla alla persistenza del dolore cronico, creando pregiudizi nei confronti della possibile evoluzione delle proprie sensazioni dolorose e dubbi sulle corrette strategie mediche e psicologiche.
Bisogna tenere in alta considerazione l’ambiente socio/culturale del paziente, non trascurando il suo ambiente familiare, la percezione che ha di sé, in modo da inquadrare correttamente l’approccio terapeutico.
La disfunzione fisica nell’osteoporosi si correla ad anomalie posturali, rigidità articolare, perdita di controllo neuro-muscolare e la conseguente capacità di stabilizzare il corpo nello spazio.
I pazienti possono sviluppare la tendenza a somatizzare il dolore, in assenza di comprovati riscontri clinici.
Nel caso di disfunzione fisica secondaria ad osteoporosi, è possibile che il paziente sia terrorizzato dall’usare la propria schiena, alimentando il circolo vizioso della cronicità, perché è convinto che il suo dolore possa essere correlato ad un grave rischio di paralisi e sarà terrorizzato dal movimento, peggiorando lo stato di disabilità.
Al contrario, la cultura del corretto movimento e l’applicazione pratica sul paziente assume indiscutibile centralità per ogni medico e rieducatore, influenzando la corretta ri-acquisizione di schemi motori che sono alla base del recupero funzionale desiderabile.
E’ essenziale sviluppare una comunicazione efficace, bi-direzionale, educando il paziente ad esprimere il suo disagio (la “disfunzione”),
ascoltandolo attentamente ed osservando il suo comportamento, facendo percepire chiaramente che si è preso in considerazione il suo dolore e le sue conseguenze in ambito fisico ed emotivo, affinché lo si possa rassicurare.
Il paziente deve essere aiutato a liberarsi da convinzioni errate, deve abbandonare comportamenti che lo portino ad evitare determinate situazioni, iniziando a ricercare una migliore forma fisica.
Questo è l’approccio cognitivo-comportamentale, che sarà particolarmente efficace se: 1) verranno stabiliti prima del trattamento degli obiettivi realistici; 2) ci si avvarrà di tecniche di auto-monitoraggio, facendo raggiungere al paziente la consapevolezza dei suoi comportamenti inadeguati, documentandone i progressi. In sintesi, si deve ottenere un “coinvolgimento responsabile” da parte del paziente.
Nel paziente, che presenta una diagnosi di osteoporosi conclamata, bisogna valutare: a) il dolore e le modalità di insorgenza; b) la postura, l’equilibrio, l’andatura (in sintesi: la disfunzione meccanica); c) l’eventuale depressione (si deve stabilire se esiste la paura di farsi male).
Gli obiettivi che ci si prefigge di raggiungere sono:
ristabilire la sicurezza di sé;
mantenere la mobilità articolare, migliorando la postura ed aumentando la forza muscolare del tronco, delle estremità superiori ed inferiori, prevenendo la perdita ossea da immobilizzazione;
praticare le tecniche di rilassamento.
Un programma di educazione è essenziale, per rendere il paziente in grado di capire le modificazioni nell’aspetto corporeo, riducendo la paura di farsi male o cadere.
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