Un dottore... a quattro zampe

Scritto da Luciana Quaia il 18-01-2010

Se operiamo la distinzione fra animali predatori e animali preda, è indubbio che sin dalle sue origini l’essere umano ha creato un esclusivo binomio con la categoria delle “prede”, trasformando il proprio atteggiamento nei loro confronti di pari passo con i grandi mutamenti evolutivi e ambientali.
Prede commestibili passate dallo stato selvatico a quello domestico, organizzato in greggi, mandrie, allevamenti destinati alla macellazione. Prede produttive, destinate a salvare la propria vita in cambio dell’offerta di altri beni: latte, uova, lana, miele, seta. Prede da soma: cavalli, asini, muli, buoi, bufali impiegati per supportare il peso della fatica umana. Infine le prede da compagnia, di cui i principali: il cane, selezionato nelle sue varie specialità da pastore, da segugio, da riporto, da guardia, da caccia e il gatto, anticamente sfruttato per la distruzione dei roditori.
Motivi utilitaristici e forme economiche del contatto uomo-animale non sono tuttavia secondari al considerevole aspetto culturale legato all’esigenza della partecipazione affettiva.
Desmond Morris, il noto etologo inglese, ha individuato nello sviluppo evolutivo umano sette epoche di “risposta” al contatto con l’animale: dalla fase infantile in cui l’animale preferito è di taglia grossa in quanto vissuto simile alla forma del genitore, alla fase della prima età adulta, in cui l’interesse verso l’animale è minimo perché concentrato più fortemente sul rapporto con le persone, fino ad arrivare alle fasi post-generativa e senile, durante le quali l’uscita di casa dei figli e una maggiore disponibilità di tempo libero fanno sentire l’essere umano più propenso a cercare dei sostituti da amare e da proteggere.
Possiamo quindi affermare che, salvo le eccezioni individuali, i pets, gli animali con una funzione domestica primaria di compagnia, riescono a soddisfare un bisogno umano fondamentale, quello del contatto affettivo-affettuoso.
Stiamo oggi assistendo ad un’ulteriore evoluzione del rapporto con l’animale da compagnia: il suo uso quale strumento terapeutico per il soddisfacimento di bisogni emozionali vitali.
Dal punto di vista storico, questa forma di utilizzo è abbastanza antica. Già da fine Settecento in Gran Bretagna si è assistito all’ingresso di animali in istituti psichiatrici e nella cura degli epilettici. Fu Boris Levinson, psicologo infantile, che coniò negli anni Sessanta il termine Pet Therapy, pratica assistenziale o sanitaria svolta con l’ausilio di un animale domestico per il trattamento di patologie dell’adulto e del bambino.
l’ippoterapia, terapia assistita col cavallo, è la terapia da molti più conosciuta, adottata per persone con handicap motori grazie ai vantaggi mostrati nei vari gruppi muscolari impegnati per adattarsi alle diverse andature del cavallo.
Attualmente sono sempre più numerosi studi e ricerche che estendono ad altre categorie di animali i benefici attivati dalla loro compagnia. I risultati sono così evidenti che persino il ministero della Salute ha varato nel febbraio 2003 un decreto per l’impiego di animali in soggetti con disagio psico-fisico.
Perché parlare di effetti terapeutici? Dapprima consideriamo il piano fisico: prendersi cura di un animale non significa solo nutrirlo, portarlo a spasso e vaccinarlo. Lo si può toccare, coccolare, accarezzare, spazzolare, vezzeggiare.
Questi atti soddisfano il piacere connesso al tatto e inducono nel proprietario uno stato di rilassamento, con conseguente diminuzione del livello pressorio arterioso e rallentamento del battito cardiaco, nonché dello stato di ansia. La maggiore attività fisica inoltre combatte la sedentarietà – uno dei nemici della persona anziana -, migliora la coordinazione tra gesti e azioni ed esercita manualità e mobilità degli arti superiori e inferiori.

Sul piano psicologico possiamo elencare una serie piuttosto corposa di benefici, soprattutto se consideriamo che solitudine e depressione sono condizioni esistenziali abbastanza diffuse nella popolazione anziana. Occuparsi di un animale aiuta a spostare l’attenzione da sé (egoriferimento) all’esterno (ascolto dell’animale e delle sue esigenze),
risvegliando quel senso di responsabilità che ogni gesto di cura produce e incrementando il livello di autostima legato al senso di utilità di badare a un essere vivente.
Attraverso la segnalazione dei loro bisogni, gli animali contribuiscono anche a dare un’organizzazione e una regolarità alla vita quotidiana, rompendo il vissuto della monotonia di una giornata che talvolta può essere percepita troppo lunga da trascorrere e dando un impulso al prendersi cura anche di se stessi.
Non dimentichiamo che l’animale domestico è anche “catalizzatore sociale”, poiché facilita la socializzazione con altre persone che condividono lo stesso amore per gli animali, creando quindi opportunità per costruire nuovi rapporti interpersonali.
Di non minore importanza la dimensione ludica. Il gioco, infatti, è un importante canale di interazione fra uomo e animale, poiché oltre a rinforzare il legame affettivo e di sicurezza, rappresenta un momento di distensione ed evasione, suscitando risate, divertimento ed ilarità.
Ancora qualche dubbio sull’efficacia terapeutica? La reciprocità nella coppia essere umano/animale agisce sul piano psico-emozionale, favorisce i rapporti interpersonali, stimola il sorriso, la giocosità, la fantasia, la creatività, il buonumore, le reazioni positive. E’ un riequilibratore psicologico.
Perfeziona lo stato fisico, sociale, emotivo e cognitivo ed è cardioprotettivo.
Migliora deambulazione, comunicazione, linguaggio, equilibrio, coordinazione, percezione dello spazio.

Resta solo da decidere che tipo di animale scegliersi come “dottore”.
Il cane vive in funzione del padrone, gli è sottomesso, è disponibile per qualsiasi proposta ed è obbediente. Sa giocare, è un ottimo compagno per il tempo libero, è fedele e leale e mal sopporta la solitudine.
Il gatto è una compagnia ideale per chi trascorre molto del suo tempo in casa. Rasserena sollevare l’occhio e scoprirlo lì, con quel suo corpo rilassato, un ammasso di pelo che ritmicamente si muove seguendo il respiro. Come il cane, anche il gatto può essere affettuoso e coccolone, desideroso di ginocchia che lo ospitino e mani che lo carezzino, ma con un rapporto meno dipendente e più paritetico rispetto a quello offerto dal cane.
Qualunque sia la scelta, il risultato è certo: la presenza di un dottore a quattro zampe solerte nel far sì che il benessere sia di entrambi, curatore e curato.

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