Duccio Demetrio e il talento “femminile” per l'autobiografia

Scritto da Stannah il 02-10-2013

Duccio DemetrioIntervista di Alessandra CicaliniChe al professor Duccio Demetrio piaccia camminare, devono essersene accorti anche i suoi studenti durante le lezioni diFilosofia dell’educazione all’Università di Milano-Bicocca. Per tenere viva l’attenzione (e per restare desto anche lui, aggiunge scherzoso), l’accademico direttore scientifico dellaLibera università dell’autobiografia di Anghiari, in provincia di Arezzo, passeggia su e giù con il microfono. “Mi sembro un po’ Gad Lerner e ogni tanto mi chiedo se non sia il caso di smettere”, aggiunge, “ma poi i risultati si vedono”.

Il più importante è che il grosso delle 400 matricole che affollano l’aula prende a farsi delle domande su di sé e sul senso delle cose, come testimoniano quello che scrivono nei primi dieci minuti di “scrittura del diario”, sulla base delle parole che Demetrio propone all’inizio di ogni lezione per stimolarli alla riflessione filosofica. Il professore non nasconde, certo, di essere facilitato dal fatto di parlare a una platea quasi esclusivamente femminile, la stessa che probabilmente sta comprando in questi giorni il suo ultimo libro intitolato “L’interiorità maschile” (edito da Raffaello Cortina), per capire in che cosa la loro sensibilità differisca da quella degli uomini che le circondano. Per fortuna, osserva il professore, i ragazzi di oggi sembrano molto più capaci di guardarsi dentro di quanto non sappiano fare i maschi adulti (“quelli di 45-50 anni”, precisa), però bisognerebbe allargare il campione, ammette, dal momento che “il machismo” sembra essere tornato di moda e visto che ancora adesso sono quasi sempre solo donne le “depositarie delle memorie di famiglia”. Lo testimoniano le molte autobiografie al femminile scritte grazie ai corsi della Lua. Del resto, lo stesso Demetrio racconta nell’intervista che segue di avere un forte debito nei confronti di sua madre.

In alcune delle sue ricerche ha parlato di camminare, di timidezza e ora di interiorità maschile: che tipo di ragazzo è stato? Per caso timido e molto riflessivo?
Sicuramente nella Vita schiva sono partito dalla ricostruzione autobiografica di ciò che ho vissuto in adolescenza e giovinezza: mi piaceva starmene da solo, a scuola ho avuto anche qualche problema per questo, ma avevo la grande risorsa della scrittura.

Teneva diari, quindi?
Sì, anche di viaggio, quando ho cominciato a girare da solo per l’Italia e l’Europa in autostop, un’iniziazione molto efficace per me.

Ma non c’era proprio nessuno che condivideva con lei le sue passioni?
Certamente: grazie ai miei pochi amici la mia era una solitudine partecipata e anche durante i viaggi mi capitava di incontrare ragazzi svedesi e tedeschi e con loro parlavo in latino. Era davvero molto buffo. Poi comunque facevo anche politica e sono sempre stato intraprendente.

Da sua madre, come ha detto durante il programma di Radio24 Essere e benessere, ha tratto la predisposizione alla lettura poetica e filosofica del mondo: da suo padre, invece, che cosa ha preso?
Mio padre era un manager: da lui ho ereditato il decisionismo, la creatività e l’inventività, tutte doti che io ho ammorbidito occupandomi di filosofia, sempre sostenuto da mia madre. Direi che l’educazione ricevuta dai miei genitori si compensava e mi ha impedito di cadere nell’isolamento patologico.

Nel finale del suo ultimo libro invita gli uomini ad andare a scuola dalle donne, eppure le donne italiane, quando invecchiano, temono di non essere più considerate, come racconta Loredana Lipperini nel suo “Non è un paese per vecchie”: come uscirne?
La mia è, in realtà, una metafora: io invito gli uomini a prendere in considerazione la sensibilità femminile per la poesia, per le emozioni, per tutte quelle cose “rosa” che in genere a loro danno fastidio. In verità, però, come dice Erri De Luca, le donne sono straordinariamente pratiche e sono capaci di appassionarsi e di vivere con più leggerezza le situazioni. E poi, per la mia esperienza, vedo sempre più uomini affascinati dalle donne mature, forse perché se ne sentono maternamente rassicurati.

Quindi le donne, mature e non, possono stare tranquille: gli uomini sono pronti a diventare sensibili?
Per esserlo davvero, bisognerà aspettare che passi una generazione, perché, purtroppo, il machismo è ritornato.

Che cosa intende con questa parola?
Il vivere incentrato sul successo e sul bisogno di consumare, atteggiamenti che implicano la paura della propria interiorità; di qui l’avvilimento di alcune donne che mi hanno scritto di aver regalato il mio libro ai loro compagni e di esserselo viste rigettare con sdegno. E guardi che si tratta di gente di buona cultura… per fortuna poi ci sono le mie studentesse che dicono che i loro fidanzati si sono mostrati interessati. E poi molte signore che hanno frequentato i corsi ad Anghiari spesso riescono a contaminare i loro mariti, orgogliosi nel vederle calarsi nei panni delle depositarie delle memorie di famiglia. Certo, è ancora una forma di delega, ma, appunto, mi sembra che qualcosa stia cambiando.

In fondo sono stati due uomini come lei e Saverio Tutino, il fondatore dell’Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano a creare la Libera università dell’autobiografia… Quando avete avuto l’idea?
La sera di Natale del 1997 che ho passato con Saverio Tutino in una trattoria di Anghiari che è a venti chilometri dal paese sede dell’Archivio. In realtà, era già qualche tempo che stavo cercando un luogo in cui fosse possibile “raccontarsi”, finché non ho conosciuto Saverio con cui è nata una vera amicizia virile. Insieme, quella sera, abbiamo stilato il Manifesto costitutivo della Lua.

Com’è strutturata?
Non abbiamo contributi esterni, ci autofinanziamo con i nostri corsi, a partire da quello di base aperto a 50 iscritti fino ai seminari e i corsi a distanza. Nel tempo, si sono formati poi circoli di scrittura autobiografica nei luoghi di origine di chi ci ha conosciuto, per esempio in diverse case di riposo.

Può dircene qualcuna?
Per esempio l’Istituto Bilanzuoli di Minervino Murge, in Puglia, oppure quello di Riva del Garda, poi a Modena, a Castelfranco Veneto… insomma, vari.

Secondo lei i diari hanno anche un valore letterario?
Non necessariamente. In teoria, anzi, dovrebbero rispondere a un bisogno immediato: diario viene dal latino “dies”, giorno, quindi qualcosa di estremamente spontaneo, anche rozzo. Poi, però, tra gli altri, esistono i diari di Virginia Woolf, bellissimi ma chiaramente frutto di rimaneggiamento; dall’altra parte, nell’Archivio di Pieve Santo Stefano ve ne sono diversi di gente comune dai risultati espressivi veramente straordinari.

Scrivere di sé, a suo giudizio, non aiuta a stare meglio. Anzi, potrebbe accrescere il senso di inquietudineconnaturato alla vita stessa: allora in che cosa consiste il potere terapeutico della scrittura?
È vero che la funzione lenitiva è una faccia; l’altra è la riattualizzazione del dolore. Non a caso sono poche le persone che riescono ad arrivare in fondo all’autobiografia: abbiamo osservato che ci riescono soprattutto le persone che hanno già avuto un’esperienza psicanalitica.

E per chi non ce la fa è dura, poi, andare avanti?
Qualche rischio depressivo c’è e io cerco di farlo sempre presente a chi frequenta i nostri corsi.

Come si supera l’ostacolo?
Esiste la scrittura clinica, di cui mi occupo con alcune colleghe psicoterapeute: nello studio che abbiamo aperto cerchiamo proprio di aiutare chi non è in grado di scrivere di sé.

Esiste qualcosa di analogo alla Lua nel resto del mondo?
Direi di no, anche se la prima ad occuparsi di scrittura autobiografica è stata la Francia. Rispetto alla scuola francese, però, la nostra ha la particolarità di andare oltre la scrittura soggettiva. Abbiamo infatti creato corsi di secondo livello per passare dal percorso autoanalitico a quello filosofico.

E per filosofeggiare bisogna imparare a stare da soli: scrivere è quindi imparare a convivere con la propria solitudine irriducibile? E con l’isolamento come la mettiamo: è ugualmente positivo?
Vista come forma di riscoperta di se stessi la scrittura ha bisogno di solitudine, però anche l’isolamento può portare a scrivere di sé, per esempio quello subito da chi è in carcere. In generale, alla creatività serve il silenzio, che non vuol dire per forza stare zitti, ma anche imparare ad ascoltare gli altri, la musica, la natura. Di qui il progetto mio e di un gruppo di intellettuali di fondare l’Accademia del silenzio.


È già nata?

Ne parleremo ufficialmente l’anno prossimo durante un convegno alla Casa della cultura di Milano, probabilmente a marzo.

Ha già in cantiere un nuovo libro?
Sì, il titolo sarà “La religiosità della terra: il divino nelle cose finite”.

Chissà se anche in questo caso correranno a comprarlo più donne che uomini… una risposta ce l’avremmo… da “Muoversi Insieme”, grazie dell’interessante lezione. 

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