Emanuele Pietroforte e la sua visione degli anziani, esseri umani prima ancora che clienti di Terza età!
Scritto da Stannah il 02-10-2013
Intervista di Alessandra Cicalini
La nostra vita è fatta di giorni e di notti, un continuo alternarsi che ci permette molto spesso di rinnovarci, lasciandoci alle spalle ferite e acciacchi. È questa la visione che sostiene da lunghi undici anni l’impresa sociale SoleLuna di Varese, fondata da Emanuele Pietroforte e Alberto Borghi, due amici prima ancora che soci, uniti dall’esperienza di aiuto alle persone fragili, maturata durante l’anno di servizio civile alla Croce rossa italiana. Dalla nascita della Onlus specializzata nel sostegno agli anziani a tutto tondo, come raccontiamo nell’areablog, sono cambiate molte cose, ma non lo spirito delle origini,diventato semmai più consapevole e adulto. Lo testimoniano le parole di Emanuele Pietroforte, responsabile di SoleLuna mobility e case famiglia, degli acquisti e della direzione del personale, nell’intervista che segue aMuoversiInsieme. Buona lettura.
Siete nati come cooperativa non a scopo di lucro: come siete passati a creare nel 2008Terzaetà, il primo negozio d’Italia per l’anziano?
Prima di fondare la nostra società, abbiamo passato un anno ad approfondire la conoscenza del settore in cui volevamo orientarci. Dopo vari colloqui e ricerche, ci è stato chiaro che per accreditarci come ente di aiuto alle persone fragili in genere, era importante presentarsi giuridicamente sotto una veste genericamente “non profit”. E anche se oggi abbiamo una quarantina di dipendenti impiegati nel trasporto degli anziani con i nostri tre pulmini, restiamo comunque convinti dell’importanza della sussidiarietà del terzo settore. Dall’altro lato, però, siamo consapevoli che gli aiuti offerti dalWelfare non bastano.
E forse non possono neanche soddisfare le esigenze specifiche di un anziano, magari alla ricerca di una soluzione più personalizzata?
Infatti, per questo motivo da quattro anni abbiamo deciso di potenziare la parte più commerciale, creando il negozio Terza età e la palestra Cocoon.
Chi sono i vostri clienti-tipo?
Non è facile individuarli in maniera precisa: sarebbe più esatto parlare di prodotti maggiormente richiesti.
Quali sono?
Quelli per l’incontinenza ci danno una buona risposta, ma anche gli ausili per la deambulazione, a beneficio di tutti quei clienti che ne vogliano qualcuno un po’ più bello, di materiale più leggero.
Insomma, non il classico bastone di una volta…
Esattamente: proponendo alcuni deambulatori dal design un po’più accattivante, cerchiamo anche di far passare il messaggio che l’ausilio possa avere anche un carattere preventivo, non solo riabilitativo.
E riuscite a convincere gli anziani dell’essenzialità di questo principio?
È difficile, perché gli anziani di oggi sono ancora molto legati al cinquantennio passato e fanno fatica, si vergognano anzi, di mostrare una propria invalidità.
Ci sono eccezioni geografiche nel nostro Paese?
Sì: l’Emilia Romagna, che io considero una piccola Olanda, probabilmente perché storicamente abituata a una socialità più diffusa, in cui ci si aiuta in caso di bisogno.
Eppure la Lombardia ha una tradizione di volontariato sociale molto solida…
Sì, però noi lombardi, o per lo meno qui nel Varesotto, siamo gente abituata a lavorare per poi tornare a casa e basta, cosicché non matura facilmente la capacità di prendersi cura degli altri né di se stessi… in due parole: dalle nostre parti siamo timidi e vergognosi.
Però avete aperto una palestra in cui proponete corsi di ginnastica dolce e per la schiena, usando anche un tipo di panca dal marchio brevettato: chi la frequenta non lo fa anche per socializzare oltre che per tenersi in esercizio?
Sì, però la stragrande maggioranza dei nostri iscritti è donna, e la donna in genere è più abituata a prendersi cura di sé rispetto a noi uomini, anche se poi la resistenza agli ausili accomuna entrambi i sessi.
Anche gli articoli per il bagno accessibile sono guardati con sospetto?
No, in quel settore vendiamo abbastanza, forse anche perché si tratta di oggetti (ad esempio i maniglioni per la vasca) difficilmente passati dal Servizio sanitario nazionale. Qualche volta, poi, segnaliamo anche ai nostri clienti qualche artigiano della zona che possa aiutarli a modificare opportunamente il loro bagno o ad abbattere altre barriere nelle loro abitazioni. Ma si tratta di casi specifici, non di un servizio offerto normalmente.
Avete mai sperimentato la vendita online?
Non in maniera sistematica, ma è un progetto che stiamo mettendo in cantiere proprio in questo periodo. A informarsi o a comprare i nostri prodotti, infatti, spesso sono i figli, più o meno ormai tutti abituati a usare internet.
Diceva che nel Nord Europa c’è un differente atteggiamento verso la fragilità dell’anziano: vi capita mai di confrontarvi con realtà estere eventualmente per tentare di imitarli in qualche modo?
Certamente: partecipiamo sempre alle fiere di settore, ad esempio quella di Dusseldorf che è molto importante, e poi abbiamo contatti continui con i nostri fornitori, per la maggior parte nordeuropei.
Com’è nata la vostra collaborazione con la Stannah? Pensate di ripetere l’esperienza e/o di instaurare altre partnership?
Nei nostri progetti c’è sicuramente la volontà di consolidare i rapporti con tutte quelle realtà serie e soprattutto che sappiano dare risposte funzionali e concrete all’utente che a noi si rivolge. In particolare, speriamo con Stannah di proseguire su questa strada. I modi possono essere tanti: ad esempio, incrociando le nostre informazioni e valutando il modo di lavorare e la soddisfazione del cliente.
Come avete avuto l’idea del nome per la vostra società?
Cercavamo un concetto che esprimesse l’idea del continuo rigenerarsi dell’uomo, un po’ come capita al giorno e la notte, rappresentati dal sole e la luna che si alternano l’uno con l’altra. Volevamo insomma far passare il messaggio che l’invecchiamento non significa necessariamente oscurità, ma anche luce… in definitiva ho usato un po’ della creatività appresa durante gli anni di frequentazione del Liceo artistico!
Le è mai capitato divenire incontro alle esigenze di un familiare o un conoscente? In caso positivo, com’è cambiata la concezione che ha del suo lavoro?
Sì, in undici anni mi è capitato sovente di prestare servizio a conoscenti, a genitori amici in fase di malattia, oppure a sperimentare ausili su mia nonna, sempre molto renitente, da buona italiana media… è evidente che il fattore umano nel nostro lavoro gioca un ruolo fondamentale, e se da un lato ci aiuta a capire quali siano i margini di pazienza e professionalità che si devono adottare, dall’altro capisci che una professione, se fatta bene, può essere non solo un buon servizio in termini tecnici, ma anche un gran servizio in termini umani.
Una riflessione assolutamente condivisibile. Da Muoversi Insieme grazie per la professionalità… dal volto umano e in bocca al lupo per i prossimi progetti!