Giacomo Mazzarda e il centenario dell’azienda di famiglia… che “eleva” anche lo spirito!

Scritto da Alessandra Cicalini il 17-05-2013

Intervista di Alessandra Cicalini

Storia e accessibilità: le due parole non vanno sempre d’accordo. Eppure, c’è chi fa di tutto per conciliarle, suggerendo ad esempio l’installazione dell’ascensore il meno impattante possibile sul decoro dell’immobile, che tuttavia garantisca all’intera collettività non solo l’accesso, ma anche la risalita fino all’ultimo piano in piena libertà. In un compito così delicato è impegnata ormai da un secolo l’Ascensori Mazzarda un’azienda romana fondata dall’omonima famiglia nel 1913, in un periodo storico che forse è più vicino all’attuale di quanto possa sembrare a prima vista. A parlarne, è Giacomo Mazzarda, nipote del fondatore dell’azienda che è toccato a lui dirigere, dopo un percorso personale “un po’ tortuoso”, come lo definisce l’imprenditore medesimo, che lo porta ancora oggi, se serve, a togliersi la cravatta e ad aggiustare l’ascensore che ne abbia bisogno. Oltre a installare impianti nuovi, infatti, la Mazzarda Ascensori si occupa anche di ammodernamento dei vecchi in linea con le principali normative europee e nazionali sull’accessibilità e sull’abbattimento delle barriere architettoniche. Una specializzazione favorita anche dall’essere il principale referente di Stannah Montascale nell’installazione dei montascale a poltroncina di quest’ultima per il Lazio, la provincia di Grosseto e il Ternano. Il merito di una partnership ormai quasi ventennale è probabilmente tutto di questo mancato ingegnere dotato però di doppio diploma, che con sereno e piacevole understatement ha raccontato a Muoversi Insieme la sua storia personale e quella delle generazioni Mazzarda passate e future. Buona lettura.

 

Quando ha cominciato a lavorare nell’azienda creata da suo nonno?

Molto presto: nel 1977, quando ero ancora molto giovane. Proprio come era successo a lui.

 

Perché, suo nonno a che età fondò la Mazzarda?

Mio nonno cominciò molto presto a lavorare dopo aver conseguito il diploma di elettrotecnico a Intra. Ultimo di undici figli, rimasto orfano dei genitori, era stato affidato alle cure del padrino di battesimo che lo portò a Roma da Laveno a lavorare.  E così, dopo esser stato alle dipendenze di alcuni alberghi, spinto da un evidente spirito imprenditoriale, aprì un officina elettromeccanica, con alcuni soci. In famiglia, tra l’altro, abbiamo sempre saputo dell’esistenza di un solo socio iniziale; recentemente, però, mi sono imbattuto in una targhetta, fissata su una cabina di un montavivande ad azione manuale, in cui sono riportati altri due nomi, accanto a quello di mio nonno. Probabilmente in quegli anni gli ascensori avevano un’importanza relativa, accanto alle altre attività dell’officina, che si occupava anche di pompe elettriche, del rifacimento delle bobine dei motori e dei trasformatori elettrici. Insomma, si era agli albori nel settore. Finché mio nonno riuscì a entrare in contatto con l’azienda, allora prima in Italia, di Augusto Stigler, ingegnere di Milano, con la quale cominciò a collaborare e ad essere referente tecnico di zona. Dopo un po’ di tempo, si mise per conto suo… ma le origini, come al solito, sono sempre un poco mitiche, avvolte in una coltre di mistero… Mi piacerebbe andare alla Camera di Commercio per saperne qualcosa di più.

 

Come è cambiata l’azienda di suo nonno nel tempo?

In periodo di guerra, naturalmente, gli ascensori privati vennero bloccati: gli unici funzionanti erano quelli dei ministeri di cui si occupavano proprio loro. Dopo la guerra, invece, ci fu un vero e proprio boom, ma mio nonno, colpito da ictus, fu costretto a passare il testimone a mio padre e a due miei zii. Anche mio padre era molto giovane, stava ancora studiando. Dopo il suo ingresso l’azienda crebbe moltissimo: i nostri fornitori erano Comuni, ospedali, altri enti pubblici, e poi banche e altro ancora.

Erano anni floridi, insomma. 

Sì, il settore si stava espandendo rapidamente, al punto che tra i nostri concorrenti c’erano anche ex nostri operai che avevano deciso di mettersi in proprio.

E oggi, invece?

Oggi ho dieci persone che si occupano del settore “ascensori”: nove tecnici, inquadrati nelle varie categorie, più una segretaria. Per il settore dei montascale, invece, lavorano altri quattro tecnici e una segretaria.

Vi occupate ancora del pubblico?

No, perché la normativa è cambiata, anche se non si può mai sapere in futuro… I nostri attuali clienti sono principalmente condomini e alberghi, i secondi spesso interessati a interventi quasi chirurgici… Pensi che abbiamo progettato ascensori pentagonali, esagonali!

Davvero complicato! Come procedete di solito: avete anche qualche architetto che lavora per voi?

No, semmai capita che siano gli architetti che vengano a chiederci una mano. In genere, sono io che disegno il possibile impianto, dopo essere stato sul luogo a verificare gli spazi esatti e le esigenze dei fruitori e del committente. Metto a frutto, insomma, i miei esami a ingegneria e il mio diploma di elettrotecnico, preso dopo quello scientifico visto che non ho finito l’università…

Ha preso lo stesso diploma di suo nonno, quindi… E come lui ha cominciato a lavorare presto. Quando è entrato in contatto con la Stannah?

Da prima che nascesse! Lavoravamo infatti con la società importatrice dal Regno Unito dei prodotti dell’azienda madre già dal 1986-‘87. Dopo la chiusura di quest’ultima, scrissi personalmente all’amministratore delegato della Stannah, sempre nel Regno Unito, per sapere se fosse possibile continuare la collaborazione con loro. A seguito della mia iniziativa, fui contattato dal neo amministratore delegato della neonata Stannah Italia (Giovanni Messina,ndr) filiale diretta del Gruppo Stannah. Era il 1995. Fu quindi possibile riprendere la collaborazione e oggi il settore montascale è diventato molto importante per noi.

All’inizio, invece, i montascale non erano molto diffusi?

No: negli anni Novanta ne installavamo una media di 15-20 all’anno, contro i più di duecento di adesso.

Come procedete dopo l’installazione del prodotto? 

Stannah prevede un primo controllo gratuito all’impianto dopo un anno. Al termine della garanzia, che dura due anni, invece, si dà la possibilità di estenderla per altri otto, sottoscrivendo un contratto di manutenzione, che Stannah propone al cliente.

Quali sono i principali problemi che potrebbe avere un montascale?

Innanzitutto la lubrificazione e la pulizia: è molto importante uno smontaggio dei componenti fatto da un esperto. In secondo luogo, le batterie, che possono avere una durata imprevedibile. Alcune possono esaurirsi già al terzo anno, mentre altre funzionano bene fino al quinto-sesto e oltre.

Stannah vi fornisce una formazione ad hoc su come trattare con i clienti, un po’ come fa con i suoi venditori?

Avendo compiti fondamentalmente tecnici, ci aggiorna periodicamente sui prodotti nuovi in modo dettagliato. Per quanto riguarda il rapporto con i clienti, giusto di recente ho investito buona parte di una riunione con i miei dipendenti per ricordare loro quanto sia importante presentarsi bene nelle case dei privati. Perché un conto è lavorare all’installazione o manutenzione di un ascensore condominiale, un altro è entrare in casa di una persona, magari anziana e quasi certamente con problemi di salute. E’ importante insomma mostrare pazienza, cura, delicatezza e una spiccata sensibilità.

Per la sua esperienza, è cambiata la sensibilità generale verso la necessità di abbattere le barriere architettoniche?

Sì, certamente, però nei condomini vedo anche molte resistenze… Spesso infatti ci si continua a opporre a qualche intervento facendone una mera questione di soldi o di estetica, senza pensare all’interesse del singolo che magari ha finalmente la possibilità di uscire di casa… Certe volte proprio non capisco le persone.

Un altro motivo di tensione può essere causato dall’obiettiva difficoltà di conciliare l’abbattimento delle barriere con la tutela del decoro architettonico dell’edificio: come vi regolate in casi simili?

Cercando il più possibile di evitare interventi radicali, oppure di renderli il più possibile compatibili con il contesto, ma certo, quando l’ascensore va inserito nel vano scala, un taglio di quest’ultima non sempre è evitabile.

A suo avviso, la normativa sull’abbattimento delle barriere andrebbe aggiornata?

Pur non essendo un tecnico, penso di sì, soprattutto perché passi in maniera definitiva il concetto generale della medesima legge (in Italia la 13 del 1989) e cioè che si tratta di una normativa a favore dell’abbattimento, non il contrario.

Come si genera l’equivoco?

Dal fatto che la legge impone vincoli rigidi agli edifici costruiti dopo il 1989. Ebbene: c’è chi usa i medesimi criteri per impedire l’installazione di un ascensore in un palazzo storico che per forza di cose non potrà rispettare i criteri di larghezza o profondità previsti per le nuove costruzioni. Si tratta di una forzatura e di un non-senso.

Del resto, la legge oggi tutela il singolo disabile che abbia bisogno di un impianto ad hoc per uscire dalla propria abitazione.

Infatti, e mi è anche capitato di doverlo far presente a un’assemblea di condominio in cui qualcuno si opponeva proprio a un montascale che rispondeva a una finalità del genere. Ho detto a un avvocato di uno di questi oppositori: la legge tutela il disabile, quindi è inutile che vi opponete, perché perderete!

Come si conciliano, invece, le esigenze di accessibilità e di costi?

In generale, noi assembliamo pezzi prodotti da singoli fornitori, che collaborano con noi da anni, quasi un secolo, anzi… Qualche volta ci rivolgiamo a un unico fornitore che ci dà un prodotto finito, una modalità sicuramente più economica, che però preferiamo non utilizzare se non per esigenze particolari. Ad esempio, è capitato per un edificio storico di installare un ascensore di forma semicircolare senza vano, oppure di usare un laminato plastico che simula il legno per la porta. Certo, capita più spesso per gli alberghi, perché nei condomini, di norma, si cerca di spendere il meno possibile.

Mi tolga una curiosità: ha figli?

Sì, due ragazze, una ha appena cominciato architettura, l’altra, che si è già laureata in ingegneria biomedica, laurea triennale, adesso è in Australia per migliorare la lingua e vorrebbe specializzarsi in nano-tecnologie.

In ogni caso, in settori non troppo dissimili dal suo… l’aria di famiglia si sente. Come festeggerete il vostro centenario?

Con una grande festa, prevista per la fine di settembre, alla quale vorremmo che partecipassero i nostri operai passati e presenti, ma anche i clienti, i consulenti, i tecnici, i fornitori, insomma un po’ tutti quelli che ci hanno consentito di raggiungere questo traguardo.

E’ un evento importante che richiede attenzione, quindi?

Sì, però noi già da anni organizziamo almeno due cene istituzionali all’anno, perché ci teniamo a ribadire lo spirito di gruppo. E’ stato mio padre a introdurle.

La crisi ha avuto qualche ripercussione sul personale?

No, anzi l’anno scorso siamo riusciti a regolarizzare due ragazzi.

Una buona notizia.

Crediamo nel nostro lavoro. Siamo piccoli, ma solidi.

 

Una degna conclusione per una chiacchierata ricca di sano spirito imprenditoriale. Da Muoversi Insieme molti sinceri auguri per il vostro centenario e buon futuro.

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