Intervista a Paolo Paoli
Scritto da Stannah il 02-10-2013
Nella mezz’ora strappata ai suoi preparativi nel camerino di un teatro friulano, dove Paolo Poli era in scena, la scorsa settimana, con i suoi“Sillabari”, l’attore fiorentino è stato capace di interpretare perfettamente tutte le parti che il suo pubblico si aspetta da lui. Prima si è inalberato, poi ha ironizzato sui suoi bisogni economici e subito dopo su quelli dei pennivendoli che gli fanno domande preconcette, poi si è rilassato filosofeggiando un po’ (pur dicendo di non essere Gianni Vattimo e che certe domande è meglio farle a lui), quindi è arrivato alla sua vera, unica e indomabile passione: il teatro. Si potrebbe riassumere in questo modo l’intervista che vi accingete a leggere, ma prima di proseguire, è bene che sappiate ancora due cosette su Paolo Poli: in questi giorni il suo spettacolo tratto dai racconti di Goffredo Parise è approdato al teatro Orazio Bobbio di Trieste e vi resterà fino al 28 febbraio. Se però non abitate da quelle parti, poco male: sappiate che l’ottantenne protagonista continuerà a errare per l’Italia, come fa per almeno “200 giorni all’anno”. Le ultime parole sono sue e c’è da giurare che siano vere, perché non c’è bugiardo più sincero di questo raffinato signore del palcoscenico. Buona lettura.
I “Sillabari” si fermano alla lettera S di solitudine perché l’autore dice che gli è finita l’ispirazione: secondo lei, c’è un momento in cui conviene ritirarsi dalle scene o, detto in maniera più ipocrita, “godersi la pensione”?
No davvero: ho una brutta pensione, io, devo lavorare, anche se lo faccio molto volentieri, perché quel che ne traggo, al di là del denaro, sono applausi sinceri.
Se dovesse dare consigli…
Non dò mai consigli!
Sì, però, se dovesse darne…
Chi chiede consigli è scemo.
Ma se si trattasse di un giovane attore che…
Ma se è bravo non ne ha bisogno: basta usare gli occhi. Se non lo sa fare peggio per lui, non lo impara certo nelle scuole. Per dire, prima andava un certo tipo, tutto sorrisi, poi è arrivatoMarlon Brando, tutto corrucciato. Insomma, prima teneri poi brutali… cambia il mondo… non so dare consigli agli altri.
Quindi per lei la saggezza dei nonni non esiste?
Una volta sì, perché era pratica. Per esempio, si diceva ai tempi della semina: adesso è piovuto, è meglio aspettare per piantare le cipolle, magari il giorno di Sant’Anna è quello giusto… e comunque per domande del genere ci voleva Vattimo, ma nel teatro, per carità…
Che cos’è per lei la bellezza?
L’arte. Poi c’è quella mercenaria, che serve: prima Caravaggio non piaceva a tutti, oggi è di gran moda.
E lei segue la moda?
Che cosa vuole che segua a ottant’anni… certo, sono rimasto legato alla moda dei miei tempi, il periodo di maggior gloria.
Perché?
Dopo la guerra ci si voleva vestire di nuovo e in Italia c’erano bravissimi sarti.
Se la sentissero che li chiama così… lei ha detto di sentirsi uomo del Novecento: come pensa che siano gli uomini e le donne del Duemila?
Che cosa vuole che ne sappia…
Beh, un’idea se la sarà fatta, ne vede molti girando l’Italia…
Sicuramente è vero che leggono meno, a differenza di quanto facevamo noi. Finita la guerra, ci fu la gioia della lettura, soprattutto dei classici… io sono dell’epoca del cartaceo.
Internet lo usa?
Non mi frega nulla: poi si pensa che in quella scatolina ci sia tutto, ma non è mica vero… il bello della vecchiaia è che si può finalmente leggere per se stessi.
Albert Camus diceva che il dandy rifiuta l’autorità ma poi evita la rivolta e si ferma alla fase estetica: lei si sente un dandy o un rivoluzionario?
Nessuno dei due: nella mia vita reale provengo da una spenta borghesia, poi nel teatro, certo, ho sperimentato una prospettiva più ricca, più colorata.
Nel teatro si è sentito un rivoluzionario, quindi?
Non mi piace questa parola, “rivoluzione”: preferisco “evoluzione”.
Crede nel miglioramento degli esseri umani?
Beh, dalla scimmia all’uomo qualcosa è successa: Giambattista Vico parlava del passaggio dalla ferocia alla ragione tutta dispiegata.
E secondo lei oggi la ragione è tutta dispiegata ?
Non mi pare…
Nella tutela dei diritti delle minoranze qualcosa è cambiato, a suo giudizio? Non nascondendo le sue preferenze sessuali, lei ha sperimentato la censura: oggi è diverso?
Sì, se ne parla, ed è già tanto. Ai tempi di Mussolini, invece, si diceva che era roba per gli inglesi. L’intolleranza, però, non è solo sul sesso: per me le leghe sono orribili… povera unità d’Italia!
Perché non se n’è andato all’estero? Lo consiglierebbe oggi a un suo nipote?
Mio nipote sa da sé che cosa fare, non c’è bisogno che glielo dica io. Io invece sono rimasto qui e ci resto: sono attaccato alla lingua del sì, come diceva Dante.
Preferisce stare qui e “mettere i lustrini alla realtà”, come ha detto in qualche intervista…
Sa, ai giornalisti racconto cose superficiali. Tanto partite da idee preconcette, come feceRaffaello quando doveva ritrarre il Papa e finì per farsi un autoritratto.
Comunque sia, non crede che di lustrini ce ne siano già troppi in tv?
Infatti non faccio tv, lavoro per conto mio, l’ho sempre fatto. Una volta a teatro, una signorina annunciò tutta trepidante che lo spettacolo con un tale era cancellato perché l’attore aveva preso importanti impegni televisivi e cinematografici. Buon per lui, io faccio 200 spettacoli all’anno, non mi mi resta molto tempo.
Della radio invece che cosa pensa? Qualche mese fa ha letto le Sorelle Materassi su Radiotre.
È un mezzo interessante, è una forma sottrattiva che esalta la parola.
Quindi pensa che ci sia ancora spazio per la letteratura?
Se il Padreterno vorrà, speriamo di sì.
Su chi pensa faccia più presa la parola? Sui bambini o sugli adulti? So che ha letto favole per bambini…
In verità le ho lette per i genitori: i bambini sono loro monopolio.
Però i bambini amano ancora molto che gli si racconti a voce le favole, ne sono molto attratti.
Nulla potrà mai sostituire il racconto della nonna, è vero: perché raccontando si passa loro la notizia e l’emozione della notizia… e si torna così al teatro, che fa proprio questo.
Ha detto di non aver né rimorsi né rimpianti: come si fa a mettersi l’animo così in pace?
Nelle scelte della vita bisogna essere sinceri: ho scelto il mestiere che mi piaceva, perciò…
Perciò rifarebbe tutto quel che ha fatto senza cambiare nulla?
Sì, rifarei il mio mestiere.
Una magnifica lezione di vita e di filosofia (Vattimo ci perdoni!): non credete?