Italia e Germania divise dallo spread? I coltivatori per hobby le riuniscono!

Scritto da Stannah il 02-10-2013

Intervista di Alessandra Cicalini

Italia e Germania saranno anche divise dallo spread e da altre differenze socio-culturali. E tuttavia, a guardare meglio, c’è almeno un campo (la parola è detta non a caso) in cui non sono poi così diverse. Che si tratti di pomodori o di verze, infatti, “il contadino per caso” nato in terra patria oppure Oltralpe, pur sempre dovrà tenere conto degli effetti della luna calante o crescente sulla semina e la raccolta e in maniera del tutto simile gronderà soddisfazione davanti ai frutti abbondanti cresciuti grazie alle proprie amorevoli cure. Del resto, le storie di Giorgio Blandino, insegnante di lettere, e di Gottfried Pollak, ingegnere, entrambi in pensione da qualche anno, parlano proprio di passione, quella per la terra, davanti alla quale non c’è sentimento anti-europeista o di altra natura che tenga. Anzi, stando alle risposte che molto gentilmente i due coltivatori per hobby al di qua e al di là del confine nazionale hanno dato aMuoversi Insieme nell’intervista che segue, si può proprio dire che Italia e Germania stavolta sia finita… dieci a dieci! Buona lettura.
 
Prima della pensione vi occupavate dell’orto?
Giorgio Blandino (da ora in poi ITALIA) – Sì, facevo l’aiutante per mio suocero, che adesso non c’è più, nei quattro ettari di sua proprietà. Posso proprio dire di aver imparato da lui, anche se sono figlio di un contadino, bracciante agricolo siciliano nella terra iblea, una terra avara di ortaggi, ma ricca di carrube, olivi e mandorli. Da bambino, ad agosto e settembre, con altri ragazzini anche più piccoli di me, partivamo la mattina presto in cerca delle carrube scartate dai raccoglitori perché collocate in zone troppo impervie o perché non erano ancora cadute: la sera tornavamo con un sacco pienissimo e pesante, che portavamo un po’ a turno, e andavamo dritti al magazzino del paese che in cambio ci dava dei soldi. Per me, la campagna era questo e anche se ho continuato a sognarla anche durante i miei vent’anni trascorsi a Milano, quando avevo imparato tutti i nomi delle piante dei viali della città, ho davvero preso a coltivarla solo quando mi sono trasferito nelle Marche: sono andato in pensione con tre anni di anticipo proprio per seguire meglio la terra ricevuta in eredità e sinceramente non riesco più a vedermi senza questa attività.
Gottfried Pollak (da ora in poi GERMANIA) – Sì, riuscivo a occuparmene dopo il lavoro. Ero infatti impiegato in un’azienda dagli orari molto regolamentati: in genere, ritornavo a casa verso le 4 e mezzo del pomeriggio, il che mi dava la possibilità di seguire sia la casa sia l’orto, grande circa ottanta metri quadri. Occuparmi di quest’ultimo, tra l’altro, faceva già parte, credo, del mio bagaglio educativo: sono cresciuto nei campi di grano e di patate, prima in una zona della Germania che oggi appartiene alla Repubblica Ceca e, da quando avevo 8 anni, nella zona delloJura svevo, nella Germania meridionale. Si tratta di zone in cui tra patate, cereali e verze non è mai mancata la produzione agricola locale. Addirittura, anzi, i miei genitori, pur decidendo ad un certo punto di andare a lavorare in una piccola industria, non hanno mai abbandonato, finché ne hanno avuto le forze, il lavoro nei campi e chiaramente noi figli abbiamo sempre dato una mano, anche quando le nostre vite professionali avevano ormai preso una strada lontana dall’agricoltura.
Sapreste dirmi quali sensazioni fisiche e psicologiche provate quando coltivate la terra?
ITALIA – Innanzitutto il benessere fisico del sudore, un po’ come succede a chi fa una corsa o pratica uno sport molto impegnativo; poi ancora più piacevole è, alla sera, sentirsi ritemprati dopo una bella doccia. La salute, tra l’altro, ne ha avuto grossi benefici: trigliceridi e colesterolo sono quasi a zero e sono molto più forte e resistente di prima. Quando ero solo l’aiutante di mio suocero, per dire, dopo un’ora avevo già il mal di schiena. Adesso sono capace di lavorare l’orto anche per otto ore di continuo.
GERMANIA – Durante la mia vita lavorativa, l’orto era soprattutto un’occasione di “decompressione”: dopo otto ore dietro una scrivania e a discutere con colleghi e clienti, poter stare da solo, immerso nel verde, mi rilassava. Oggi prevale il senso del non fermarsi, di avere un’attività che a fine serata ti fa dire “mi sono guadagnato un meritato riposo”.
Che cosa ne pensate degli orti sul balcone? Secondo voi, possono dare le stesse sensazioni di una coltivazione all’aperto?
ITALIA – No, però prima avevo un balcone stracolmo di fiori, per innaffiare i quali mi ci voleva anche un’ora e mezza a sera. Prima ancora, a Milano, non avevo neanche quello, ma sul davanzale avevo seminato un frutto dell’ippocastano e un altro vasetto con i semi di platano raccolti nei giardini di Porta Venezia. Com’è andata a finire? Oggi, a distanza di trent’anni, quei semi sono diventati due piante altissime della nostra terra… Per questo dico che l’orto sul balcone va bene, ma l’ideale è una piccola coltivazione all’aperto, considerando anche che bastano quattro piante di pomodori per avere l’insalata tutta l’estate. Qui nelle Marche, poi, ci sono tante terre comunali lasciate incolte: un’idea sarebbe affidarle agli anziani come fanno aMilano e in altre città del nord. In questo modo, i nostri anziani ne avrebbero in cambio non il puzzo delle sigarette o dell’alcol tipici delle bocciofile dove sono soliti passare il loro tempo, bensì i prodotti delle loro terre.
GERMANIA – Gli orti da balcone sono un fenomeno da grande città: io vivo in una regione (ilBaden-Wurttembergndr) che, nonostante l’importante presenza industriale, è ancora fortemente rurale. Anche chi, come me, vive in una casetta a schiera in una piccola cittadina ci tiene al contatto con il verde: i balconi, perciò, da noi sono al massimo sono ornati di fiori. Però posso immaginare che la soddisfazione di chi, per carenza di spazi, decide di coltivare ortaggi sul balcone sia anche superiore. In ogni caso, in una prospettiva globale, è un’iniziativa che va incoraggiata: ormai le persone che abitano in città sono di più di quelle che vivono in campagna, quindi è doveroso riflettere su come rendere anche le aree urbane produttive a fini alimentari.
Vista la vostra grande passione e direi anche perizia tecnica, non vi piacerebbe trasformarvi in docenti di “orticoltura” o addirittura di “orto-terapia” per giovani e vecchi?
ITALIA – A dire la verità, finché sono stato a scuola, mi sono occupato di un piccolo orto botanico durante le ore di compresenza con l’insegnante di matematica dedicate al laboratorio. Il nostro intento era insegnare ai ragazzi della scuola media in cui lavoravo ad amare la terra, per farne, in futuro, un lavoro, ma anche semplicemente per avvicinarli alla vita dei loro nonni, che spesso da queste parti hanno piccoli appezzamenti. È stato un grande successo: i ragazzi erano orgogliosi di vangare, al punto che avevo dovuto fissare tempi di cinque minuti per ciascuno per consentire a tutti di fare la loro parte! Spesso, poi, erano presenti anche ragazzini disabili, che ne ricavavano grandi benefici nella socializzazione con i loro coetanei coltivatori, quando non erano in grado loro stessi di dare una mano. Oggi, purtroppo, non c’è nessun insegnante che ha preso il mio posto né, soprattutto, ci sono più le ore preposte dalla precedente legislazione scolastica ai laboratori. Ed è un vero peccato. Invece, per quanto riguarda la seconda veste, direi di no: non ne ho le competenze e in ogni caso non avrei neanche il tempo. Sarei però disponibile ad accogliere quelli che vogliono fare attività di osservazione delle erbe spontanee nei tremila metri che ho lasciato liberi proprio per favorirne la ricrescita. Ogni tanto, tra l’altro, vengono dei miei ex colleghi a osservare me al lavoro e a darmi una mano, ma mi accorgo che il loro approccio è troppo mentale…
GERMANIA – Sinceramente, non credo di avere nulla da impartire. Come ho già accennato, intendo l’attività dell’orto principalmente come passatempo, rivolto a me stesso: mi rilassa e mi tiene occupato. Certo, quando capita, mi piace scambiare consigli con altri “agricoltori domestici”: si tratta di un modo per crescere insieme. Uno dei miei consiglieri più assidui, tra l’altro, è mio cognato a Roma, anche lui agricoltore per passione dopo una vita di ufficio.
 
 
Qual è la vostra più grande soddisfazione avuta come contadini?
ITALIA – Osservare gli ortaggi al loro massimo rigoglìo (nella foto sopra l’insegnante-contadino brandisce una gigantesca zucchina siciliana…). È un po’ come accudire un animale: se lo vedi in salute, ti senti altrettanto bene. Poi, certo, ci sono le piccole soddisfazioni di una terra che torna a essere sana, dopo dodici anni senza alcun trattamento con i diserbanti. Ce ne siamo accorti, con mia moglie, la vera esperta nella giusta raccolta di ulivo e ortaggi, quando abbiamo scoperto una grossa zona del prato piena zeppa di mastrici, erbette dal sapore un po’ acidulo ottime nell’insalata. E poi ci sono le soddisfazioni più segrete, come il ritrovamento degli uccelletti in un nido costruito tra un tralcio della vite e l’altro, e l’essere all’improvviso circondato dai rondoni, affamatissimi per via del nugolo di insetti levatosi in volo dopo che avevo falciato il prato delle erbe spontanee. E poi il silenzio…
GERMANIA – Per motivi familiari, mi capita spesso di venire in Italia: mi diverto sempre a riportare qualche seme o piantina da sperimentare qui nel mio clima più rigido (e d’altra parte, persino gli eschimesi vanno a pesca). Oltre a vari tipi di zucchine, negli anni, sono riuscito a coltivare gli agretti, i pomodori San Marzano e quest’anno, per la prima volta, i finocchi (nella foto sopra l’ingegnere-contadino con un esempio del gustoso ortaggio e l’immancabile pipa…), anche se, credo, con circa 4 mesi di ritardo rispetto ai tempi di maturazione italiani.
E il vostro più grande cruccio?
ITALIA – Quando ci si è seccato il gelso nero e anche il ribes… Nel secondo caso, avevamo sbagliato i tempi della semina, ma sono incidenti che succedono in campagna.
GERMANIA – Proprio l’anno scorso ero riuscito a tirar su dei pomodori belli, rossi tondi e polposi quando, poco prima di procedere al raccolto, mi sono accorto che tutte le piante erano infestate da Phytophthora,  una micosa che rende marroni i frutti e li fa marcire. Che delusione.
Secondo voi, quanto conta la tecnica e quanto la saggezza popolare?
ITALIA – Sono entrambe importanti: prima della pensione ho frequentato vari corsi di potatura, assaggio dell’olio e così via, ma ancora oggi, per molti lavori chiedo consiglio a mia suocera novantunenne. Alcune volte, anzi, ho voluto fare di testa mia e invece mi sono accorto che aveva ragione lei… non sempre, però! In ogni caso, consulto spesso un libro tecnico che segue le fasi lunari, come si fa da generazioni e generazioni: mese per mese dice proprio che cosa piantare e cosa raccogliere.
GERMANIA – Credo di poter dire che nel mio caso le due cose si equilibrano abbastanza. Almeno all’inizio, infatti, impiantare un orto può essere una cosa che s’impara sbirciando al di là della staccionata del vicino. Negli anni, tuttavia, mi sono anche incuriosito a tecniche di coltivazione più ricercate e sostenibili. Per queste ultime, fino a qualche anno fa potevo contare sull’apporto di mia moglie che era una vera appassionata delle questioni del mangiare sano e pertanto dell’agricoltura biologica. Era lei a comprare i manuali e a frequentare i corsi di aggiornamento in cui cogliere l’ultima dritta su come fare magari un’aiuola a cumulo o su quali piantine far crescere vicine per ottenere risultati migliori.
Il vostro raccolto produce benefici anche sul bilancio familiare? In caso positivo, consigliereste a un giovane dal presente (e futuro…) precario di darsi all’agricoltura?
ITALIA – Sicuramente il bilancio familiare ne ha giovamento: mia moglie non fa più la spesa di frutta e verdura e poi non sprechiamo nulla, bensì vendiamo le eccedenze ai piccoli commercianti locali che acconsentano a prendersi le mie modeste cassette… tutto questo, però, perché non dobbiamo viverci sul serio, visto che abbiamo la pensione. In caso contrario, quello che coltiviamo ci basterebbe appena per la sussistenza: addirittura, le piccole eccedenze che riesco a vendere mi permettono di ripagare le spese dei due ettari e mezzo di cereali biologici che abbiamo deciso di coltivare. Se fossi un giovane, insomma, dovrei organizzare con criteri diversi i quattro ettari, magari dedicandomi intensivamente al vino o all’olio, sempre però nell’ottica di avere un arrotondamento del mio reddito. E dire che ai tempi dei miei suoceri questa stessa terra aveva loro consentito di farsi un capitale… forse, l’unica strada per un giovane sarebbe concepire l’agricoltura come corollario di un’impresa turistica. Gli agriturismi, insomma, vanno bene, ma devono rispondere alle esigenze dei clienti, quindi essere dotati di comfort come la piscina o di altre attività per il tempo libero degli ospiti. Per esempio, un asino per far divertire i bambini!
GERMANIA – Nei mesi estivi mi rifornisco esclusivamente degli ortaggi miei. Da quando sono rimasto solo, per giunta, la produzione risulta a volte addirittura abbondante. Così riesco a fare doni a mio figlio che vive a pochi chilometri da me e da libero professionista non avrebbe il tempo per coltivare in prima persona, oppure rifornisco altri amici e parenti. Anche se non tengo su questo una contabilità precisa, insomma, è evidente l’effetto benefico sul portafogli. Da lì a consigliare ai giovani di avviarsi all’agricoltura domestica, non so… Per garantire la sussistenza ce ne vuole.
Potrebbe però essere opportuno, nella scelta di una nuova casa, far rientrare la presenza di un fazzoletto di giardino o di una terrazza spaziosa tra i criteri di scelta.
E infine: è vero che, stando a contatto con la natura, si re-impara il senso dello scorrere del tempo?
ITALIA – Sicuramente. Il lavoro in campagna ti educa all’umiltà e a rispettare un ritmo che non puoi cambiare. Se piove, per esempio, non ci puoi andare; se invece è il momento di fare una certa attività agricola non puoi rimandarla. È completamente diverso da come siamo abituati a vivere nella società industriale e informatica, che ci spinge a partire anche se il tempo lo sconsiglierebbe. La natura, invece, ti abitua ad ascoltare le sue esigenze; e poi, basta una grandinata e puoi perdere tutto. Di qui capisci anche il significato della religiosità popolare che fronteggiava la precarietà del vivere educando al risparmio. Sì, eliminando la frenesia del fare, la campagna mi ha arricchito e oggi mi sento più sereno.
GERMANIA – Sicuramente l’attività dell’orto ti costringe a capire il senso delle stagioni e delle fasi lunari: nel tempo s’impara ad interagire con i vincoli della natura e farsi guidare da essi.
A volte mi sorprende (e mi rammarica) come sul piano teorico sembrano esserci sempre più persone che sono a conoscenza di queste questioni e come la grande produzione alimentare continui ad ignorarle sistematicamente per incamerare anche l’ultima briciola del proprio profitto.
Serenità, saggezza e lucidità: il contatto con la terra, sembrerebbe, regala benefici davvero impagabili, capaci di varcare qualsiasi confine, soprattutto mentale. Da Muoversi Insieme, grazie per la lezione di vita teorico-pratica… transnazionale!

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