Le vite “a riposo” di Silvina Petterino
Scritto da Stannah il 02-10-2013
Intervista di Alessandra Cicalini
Prima di arrivare alla versione definitiva del suo libro, Silvina Petterino(nella foto a sinistra, con la sua gatta Indiana) ci ha pensato e lavorato a lungo. A un certo punto, davanti a lei, c’erano ben quattro versioni, troppe per il suo cuore e la sua testa costretti a un certo punto a una scelta: rinunciare o rivederlo un’ultima, definitiva volta e mandarlo nuovamente ad altri editori. Per fortuna, la sua “cocciutaggine” ha avuto la meglio e adesso Vecchi da morire. Anziani in casa di riposoè in uscita proprio in questi giorni per Stampa Alternativa.
Un esordio letterario a quasi sessant’anni non è affatto scontato, soprattutto, poi, con un testo insieme duro e delicato, in cui questainfermiera professionale che vive in provincia di Varese, ha rivelato di essere tornata al suo mestiere, dopo anni di interruzione, quando aveva già cinquant’anni. “Volevo fare l’ostetrica”, dice a un certo punto nel libro, e invece si è ritrovata a somministrare medicine agli anziani ospiti di tre diverse case di riposo, correndo di qua e di là con il suo carrello e fermandosi, quando possibile, ad ascoltare le loro storie, diventate gli intensi ritratti che si susseguono in tutti i capitoli.
L’autrice parla però anche di organizzazione del lavoro, di quotidianità, di parenti, di tempo libero, conducendoci nel mondo delle case di riposo visto con gli occhi di chi vorrebbe dare un aiuto non solo tecnico ai suoi assistiti. La sua è una visione necessariamente parziale, Silvina ne è consapevole, ma scritta anche “con la pancia”, precisa nell’introduzione, a beneficio anche di chi, volente o nolente, sta entrando in contatto con questo mondo e non sa come orientarsi.
Come ha avuto l’idea del libro?
Dopo un corso di scrittura creativa che ho frequentato nell’estate del 2003, durante una vacanza. E dire che dovevamo fare danza… al ritorno, in treno, chiacchierando con l’insegnante del mio lavoro, è stata proprio lei a dirmi: “Perché non le scrivi?”. Si riferiva alle storie degli ospiti con i quali venivo in contatto. Il nucleo centrale del libro sono proprio i ritratti degli anziani.
Con quale ha cominciato?
Con la Iride, che urlava sempre… a tutti gli anziani ho cambiato nome, per rispetto nei loro confronti. Chissà se vi si potrebbero riconoscere lo stesso, ammesso che siano ancora vivi…
A un certo punto scrive che i vecchi non sono tutti simpatici: che cosa intendeva dire?
Che non lo sono. Forse anche quelli che lo sono stati, spesso costretti a lasciare le loro case, a condividere stanze e spazi con estranei, si chiudono: perciò, poi, la loro simpatia, se non la susciti, almeno all’inizio non si vede.
Vale anche per i bisbetici il suo discorso?
Sicuramente: i più burberi, in genere, sono delusi e arrabbiati. Con loro è essenziale rispettare il proprio modo di essere: l’anziano che tratta male non legittima chi lo assiste a fare altrettanto.
Di solito che cosa succede, invece, almeno per la sua esperienza?
Non si può generalizzare, però la cosa che mi ha più colpito all’inizio è stato l’eccesso di pragmatismo nell’organizzazione del lavoro. Ne sono rimasta sconcertata, perché, per me, quel che più conta sono i bisogni degli ospiti… ma anche di chi li assiste: carichi di lavoro eccessivi non fanno bene né agli uni né agli altri.
Come si potrebbe riorganizzare il lavoro in una casa di riposo, secondo lei?
Probabilmente, in quelle più piccole capita già, ma in ogni caso, per me l’assistenza all’anziano dovrebbe essere il più possibile personalizzata. Per esempio, bisognerebbe ritornare a una dimensione più naturale dell’alimentazione dell’anziano e lasciare che mangi quel che si sente.
Che poi molti vogliono mangiare eccome: lei ha citato una frase di sua madre all’inizio di un capitolo…
Sì, mia madre diceva spesso: “Che bello mangiare! Sarebbe ora di morire ma… ho sempre fame”. All’inizio di quasi tutti i capitoli ho inserito delle citazioni; sceglierle mi ha richiesto molto tempo: su quello dedicato all’alimentazione mi è sembrata molto appropriata questa frase di mia madre… a mio avviso, il rispetto dei nostri desideri è fondamentale.
Quali sono i requisiti indispensabili per lavorare con gli anziani?
Prima di tutto bisogna avere forza, di carattere e fisica. La seconda serve per alzare, lavare, muovere chi non ce la fa da solo, ma la prima è ancora più importante ed è da intendersi come un insieme di equilibrio emozionale, di carica di umanità, di capacità di lavorare in gruppo, di solidarietà e di disponibilità al confronto con gli altri.
Pensa che questi aspetti siano più importanti delle competenze tecniche?
Riguardo gli anziani autosufficienti, sì. Nelle cure per i non autosufficienti, invece, sono alla pari. Bisogna usare la maggiore delicatezza possibile anche nel compiere gesti tecnici: non si dovrebbe prendere un braccio con brutalità per misurare la pressione o fare una iniezione, per fare degli esempi.
Secondo lei, un libro come questo poteva essere scritto da un uomo?
Non saprei… credo di no. Un uomo fa più fatica a entrare nella relazione di cura, ma d’altra parte in questi luoghi c’è una schiacciante maggioranza di donne, sia tra gli ospiti sia nel personale. I pochi infermieri maschi, in genere, sono molto bravi tecnicamente, ma, se si tratta di assistenti, le anziane si vergognano a farsi lavare e cambiare da un uomo: è un fatto generazionale, hanno un senso del pudore molto forte.
Come immagina la sua vecchiaia e quella delle future generazioni?
Per quanto mi riguarda, spero che sia piena e sento di avere ancora un sacco di esperienze da fare. Vorrei insomma vivere un senso di compiutezza… da un punto di vista pratico, spero che sia rispettata e mi starebbe bene anche una struttura per anziani… se fosse come quella ideale che ho descritto nel libro!
Per le future generazioni, invece, la immagino molto diversa. Credo che saranno meno longeve di adesso, perché i ritmi e le abitudini di vita di oggi sono cambiati rispetto a quelli più lenti che hanno prodotto così tanti centenari. L’importante, secondo me, non è solo la longevità, ma anche la qualità della vita dei vecchi.
Eppure le previsioni scientifiche dicono che si andando proprio in questa direzione…
E’ una sensazione, naturalmente… la vecchiaia è anche il risultato di come si è vissuto prima… ed è inserita in contesti sociali… Ma non è detto che sia un male: è probabile che presto ci sarà un cambiamento di rotta, verso stili di vita più sobri. Del resto, come potranno le generazioni future pagare le rette delle case di riposo, con pensioni sicuramente più basse?
Come dicono i saggi, ai posteri l’ardua sentenza. Per ora, un grazie profondo all’autrice, per l’energia, la sensibilità e l’intelligenza con cui ha saputo raccontare la vecchiaia.