Paolo Conte e il tempo, ah che rebus
Scritto da Stannah il 02-10-2013
Intervista a Paolo Conte di Alessandra Cicalini
Cari lettori, “Muoversi Insieme” è lieta di farvi un regalo per la Befana, che speriamo gradirete. Pubblichiamo la nostra intervista al grande musicista astigiano alla vigilia del suo settantaduesimo compleanno: auguri, Maestro! E a voi buona lettura!
Essere nato nel giorno in cui i Re Magi fecero visita a Gesù Bambino deve averlo condizionato, almeno un pochino. Perché Paolo Conte sembra proprio il tipo che dà peso alle coincidenze e alle date, non foss’altro per la sua passione enigmistica, più volte raccontata in canzoni e interviste. Che se poi consideriamo quanti sono gli anni da spuntare il prossimo sei gennaio, settantadue, e qual è la forma fisica che egregiamente ancora l’accompagna (dovevate vedere, un paio di mesi fa a Roma, come aggrottava ironicamente le sopracciglia mentre si faceva fotografare abbracciato ai fan inorgogliti di essere riusciti a incontrarlo dopo un’estenuante attesa dietro al pesante tendone del Teatro Sistina) possiamo capire ancora meglio che “Rebus”è la vita, come il titolo di un suo pezzo.
“Ho sentito dire che per le persone come me nate sotto il segno del capricorno e governate da Saturno, il rapporto con il tempo è difficile”, considera il Maestro, che non sa decidersi: “Certe volte, mentre vorrei avere tanto futuro davanti a me, paradossalmente, vorrei avere tanto passato alle mie spalle”.
La sua incertezza è quasi rassicurante, anche perché, quando passa ad analizzare il problema del tempo inteso come pausa in musica, verrebbe da dirgli che è un bene che non abbia ancora sciolto l’enigma: “Musicalmente le pause – dice – il vuoto contro il pieno, persino le esitazioni ben dosate, rappresentano una capacità non solo di espressione, ma di costruzione stessa, su cui si dovrebbe lavorare e insistere molto di più di quanto si faccia abitualmente”.
Ed è probabile che l’avvocato ci stia lavorando: da buon segno di terra, non sembra proprio uno che si accontenta.
Per esempio, continua a negare di essere un poeta; certo, almeno ammette di costruire “frammenti e passaggi di poesia”, ma poi aggiunge: “In un’arte mista come quella della canzone devono essere poetiche non solo le parole, ma anche, e forse di più, la musica e l’interpretazione”.
Il “Maestro” che “dentro all’anima resterà” lo precisa sempre, tuttavia per chi non lo sapesse è bene ricordarlo: lui scrive prima la musica e dopo le parole, ma l’equilibrio tra l’una e le altre ha del miracoloso, per questo poi i fan non riescono a credergli del tutto.
Però l’avvocato di Asti insiste e lo fa ancora di più quando gli si chiede se ha fatto finalmente pace con la sua voce, che non gli è mai piaciuta troppo. Sembra anzi che per imparare a interpretare si sia inventato tutte quelle smorfie “da orango” diventate ormai abituali nei suoi concerti; ma negli anni è sceso parecchio di tono, oggi è quasi roco (provate a sentire “Alle prese con una verde Milonga” nella versione live inaugurata nel concerto all’arena di Verona diventato un cd e un dvd nel 2005) e dà i brividi.
Che è successo? Secondo lui niente: “Ho semplicemente cantato in modo più controllato – risponde – ma i miei limiti vocali sono invariati e le smorfie sono rimaste”.
Insomma, alla vigilia dei suoi settantadue anni non c’è niente di nuovo, non c’è la notizia, quindi, cari cronisti, lasciate perdere. E invece no. Perché Paolo Conte parla poco, maquello che dice pesa più del piombo.
Innanzitutto l’artista conferma una sensazione di chi lo segue da vent’anni, e cioè che “Elegia”, il penultimo album, e “Psiche”, l’ultimo, siano idealmente legati: “Condivido questa sensazione di continuità”, afferma, di qui il dubbio: che stia preparando una trilogia? Molto di più, sembrerebbe: “Vorrei spingermi anche oltre”.
In attesa di vedere che succederà, lo si può seguire nella prossima tappa italiana della sua tournée, il 26 e 27 gennaio a Bologna, e ascoltare almeno due delle magnifiche canzoni d’amore del nuovo lavoro: “L’amore che” e “Bella di giorno”, dolci e struggenti come mai un fan si sarebbe aspettato da lui.
Prima parlava di “frasi dell’amore sempre uguali”, “di stanze annoiate”, oggi scrive “ti amo tanto”.
Di nuovo, che sta succedendo? Solo (si fa per dire) questo: “Alcune delle musiche imploravano di essere coperte da parole d’amore, così le ho accontentate senza vergogna”, spiega l’avvocato. Un tempo pareva quasi che le donne lo spaventassero: da ragazzo le si poteva guardare solo da lontano, quindi sembravano misteriose e distanti, aveva raccontato nell’intervista a Vincenzo Mollica ospitata in “Parole e canzoni”, la collana di vhs e libri uscita per Einaudi Stile libero un po’ di anni fa. Oggi dice: “Le donne si sono sempre sentite misteriose, ma non è detto che gli uomini non le sappiano capire. È questione di pigrizia”.
E Conte sembra proprio il classico pigro costretto all’attivismo: per esempio, a lui piace dipingere (come attestano le copertine dei suoi cd e il sublime e irrealizzato Razmataz), ma non ha il tempo per mettersi lì “lungo le strade a radunare di sé mille frammenti”, come i suoi “Pittori della domenica”. E per fortuna che non ama le tecnologie (“Non posseggo neanche il telefonino. Cos’è un blog?”, confessa), altrimenti le giornate gli si accorcerebbero ulteriormente.
Insomma, forse il tempo giusto da dedicare alle donne non l’ha ancora trovato, ma c’è un sentimento che preserva con gelosia: l’amicizia, per lui, è “preziosa e divina, particolarmente apprezzabile se si ha un’avventura da vivere insieme”. Non è un caso, quindi, che abbia dedicato ai suoi musicisti l’ultimo lavoro, chiamandoli “impareggiabili scudieri, dolci amici”.
Con altri amici, circa una sessantina d’anni fa, aveva messo su un’orchestrina dixie in cui tutti si presentavano con il soprannome (il suo era il “Canadese”). Di quegli anni parla il cd “Paolo Conte plays jazz”, uscito poco prima di “Psiche”, lo scorso settembre.
Sembrava logico pensare che l’avvocato avesse deciso di farsi conoscere meglio. Invece no, di nuovo: “Le vecchie registrazioni jazz – ricorda – sono state pubblicate senza il mio consenso. Tuttavia, alla distanza le trovo in buona parte accettabili”.
Niente tentazioni confessorie, insomma, solo una maggiore clemenza per il Paolo della prima giovinezza. Che poi i giovani gli piacciono, almeno quelli che hanno scelto di seguirlo con“occhi pieni di curiosità”. Ma c’è da scommettere che senta più affinità con “le anziane signore tedesche e olandesi che battono il piede al ritmo dello swing”, come racconta, anche perché il presente non è che lo faccia proprio impazzire: “Consumismo ed eleganza non vanno d’accordo”, afferma secco. La seconda richiede fatica, un lusso per i contemporanei: “L’eleganza va cercata – continua – non subita, l’eleganza è individuale, non di massa. È una creazione, non una copia”.
E creare richiede, analogamente, sofferenza, una condizione spesso invisa alla modernità. Poi, certo, mentre si crea, a un certo punto ci si comincia a divertire.
Quando? Ovvio (come no…): “Quando la sofferenza si trasforma in estasi”, conclude l’avvocato.
Cento di queste estasi, signor Conte.