Una squadra per l'accessibilità
Scritto da Giovanni Del Zanna il 19-03-2010
Come si dice, “l’unione fa la forza”. Succede qualcosa del genere nel rapporto che si crea tra l’architetto e il terapista occupazionale. Se tutti conoscono il primo, molti non sanno chi è e di che cosa si occupa il secondo. In estrema sintesi, il terapista occupazionale analizza il legame tra l’uomo e l’ambiente in cui vive, cercando di ristabilire il giusto equilibrio tra l’uno e l’altro. Lavorando con l’architetto, quindi, collabora alla trasformazione della casa in un luogo realmente accessibile.
Accessibilità significa assicurare alla persona la massima autonomia. E siccome non esiste un massimo in astratto, bisogna sempre confrontarsi con le caratteristiche particolari – siamo tutti diversi! – della persona e le condizioni particolari dell’ambiente in cui vive.
Una sola professionalità, dunque, non basta. E’ necessario unire le forze di chi ha competenze diverse: conoscenze di tipo sanitario, sulle diverse abilità/disabilità delle persona, di tipo psicologico e relazionale, di tipo tecnico edilizio per capire come intervenire. Si tratta di capacità progettuali e tecnologiche differenti che permettono di individuare (o di inventare ex novo) gli strumenti che possono risolvere i problemi.
Se il rapporto “uomo-ambiente” è alla base di ogni progetto, per valutarne tutti gli aspetti, servono in altri termini competenze trasversali. Solo in questo modo il progetto può davvero racchiudere la valutazione di tutti gli aspetti che influenzano l’accessibilità dell’abitazione da una parte e l’autonomia della persona dall’altra, mirando, quindi, oltre che alla completezza dell’intervento, anche alla qualità di vita della persona nel suo ambiente.
L’architetto – come tutti sanno – si occupa di progettazione (di arredi, di case, di città). Il terapista occupazionale (in sigla “To”) offre una nuova professionalità che mette in campo giovani laureati che non solo sono in grado di relazionarsi con la persona (e le sue capacità) ma che, uscendo dal “mondo sanitario”, si aprono a tutte le dimensioni degli ambienti di vita della persona.
Il “To” cerca di ristabilire l’equilibrio uomo-ambiente e, come indica il suo profilo dettagliato, “effettua una valutazione funzionale e psicologica del soggetto ed elabora, anche in équipe multidisciplinare, la definizione del programma riabilitativo, volto all’individuazione e al superamento dei bisogni del disabile e al suo avviamento verso l’autonomia personale nell’ambiente di vita quotidiana e nel tessuto sociale”; inoltre “propone, ove necessario, modifiche dell’ambiente di vita e promuove azioni educative verso il soggetto in trattamento, verso la famiglia e la collettività”.
La professionalità specifica a livello associativo italiano, nel campo della riabilitazione, è capace di cogliere le diverse dimensioni della persona: le sue abilità (residue, potenziali, nascoste, etc) e le sue aspettative. Competenze che sono complementari a quelle dell’architetto, benché quest’ultimo sia già esperto in accessibilità e abituato a confrontarsi con i problemi quotidiani della vita delle persone.
Quanto detto non nasce in astratto, da una teoria presunta , ma dall’esperienza concreta di lavoro in equipe direttamente sul campo in diversi interventi di adeguamento e consulenze relative all’accessibilità della casa, a partire da interventi anche piccoli, ma concreti (bagni, gradini, ascensori, e così via).
Esperienze in cui la diversità di approccio ci ha consentito di fare del sopralluogo, momento preliminare alla stesura di un progetto, non solo un momento di rilevazione (misure, fotografie, verifiche tecniche),
ma di renderlo davvero un momento di conoscenza della persona, dei suoi desideri, dei suoi bisogni e delle sue aspettative.
Ecco quindi il come (l’interazione professionale),
il dove (gli ambienti di vita della persona) e il perché (progetto di reinserimento sociale) che diventano i presupposti basilari dell’intervento congiunto dei diversi professionisti per un intervento di adeguamento che, oltre ad essere efficace, sappia essere davvero personalizzato.
l’esperienza fatta dimostra come professionalità diverse possano e debbano collaborare per raggiungere l’obiettivo comune di valutare e accogliere bisogni e desideri della persona – sia esso chiamato “cliente” o “paziente” – mirando ad un intervento di qualità per la persona.
Spesso riduciamo l’accessibilità solo a un problema di barriere architettoniche, ma così limitiamo tutto solo alle questioni di gradini e rampe, o di qualche maniglione in bagno, senza cogliere la sfida della Progettazione Universale: anche per questo è importante il confronto tra professionalità diverse.