Design e Disabilità

Scritto da Giovanni Del Zanna il 05-09-2012

Design e Disabilità… due parole che iniziano entrambe con la “D” eppure ci sembrano così distanti. Cosa centra il Design con la Disabilità? Le due parole evocano, di primo acchito, due mondi all’apparenza molto lontani tra loro.

Nel nostro immaginario, più spesso costruito su sensazioni superficiali che non su riflessioni fondate, la parola “disabilità” fa emergere nella mente l’immagine del simbolo internazionale (omino stilizzato in carrozzina), della persona con disabilità motoria, di situazioni comunque “fuori dal normale”, qualcosa di “venuto male”. Sull’altro versante la parola “design” evoca mondi effimeri, legati prodotti innovativi dalla forma accattivante, bella e coinvolgente, a volte un po’ “strampalati”: dimensione del lusso e della moda, oggetti più da vedere che da usare.

Per cogliere il senso di un binomio possibile tra “design e disabilità” è necessario coglierne più a fondo il senso, per scoprire, al di là di una prima idea superficiale e vaga, il valore e il significato delle parole.

Esisteva anni fa, ai primi anni del ’90, un Istituto Italiano Design e Disabilità (IIDD), associazione tra progettisti/designer per promuovere anche in Italia lo sviluppo di un Design attento all’Utenza Ampliata (esiste ancora, ma adesso si chiama “Design for All – Italia”).

“Design e Disabilità” un binomio possibile, soprattutto quando diamo a design il giusto significato di progetto e quando scopriamo nella condizione di disabilità una dimensione comune di finitezza dell’uomo, non da confinare in situazioni stereotipate, ma da ampliare alle diverse condizioni dell’uomo.

In questo senso il design (progetto) diventa uno strumento con molte potenzialità da impiegare in modo utile e proficuo per le diverse necessità dell’uomo, analizzando i suoi bisogni, puntando a soddisfare le sue esigenze. E dopotutto questo è il vero obiettivo del design, così come lo pensavano i progettisti degli anni Cinquanta.

Ancora oggi (e non molto è cambiato dal ’90) ci si accorge che ci sono ancora molte possibilità per sviluppare progetti – di prodotti e soluzioni – per le esigenze di chi presenta maggiori difficoltà (nel movimento, nella percezione, nella comunicazione, ecc.). Progetti che sappiano al tempo stesso unificare funzionalità ed estetica, per recuperare anche il senso del “bello” che è una delle dimensioni importanti del design.

Nell’esperienza comune – così comune che ormai non ci facciamo più caso – troviamo oggetti (specie quelli “per” disabili) che benché utili e funzionali, sono brutti, poco progettati, spesso connotati da un’immagine “sanitarizzata” che ci porta a rifiutare e non ad accettare l’oggetto.

Esiste una distinzione possibile tra oggetti “speciali” per disabili (che devono essere repulsivi) e oggetti d’uso? Esiste una distinzione tra persone umane con limitazioni intrinseche e persone con qualche difficoltà in più? Ovvero, ponendo la domanda in altro modo: chi di noi non usa lo schiaccianoci per rompere il guscio delle noci? e in tal caso lo consideriamo un ausilio o un utensile prodotto di design?

Se da un lato il diffondersi dei principi del “Design for All” spinge alla realizzazione di prodotti comuni – dal design accattivante – sempre più fruibili da parte di un’utenza ampliata, dall’altro ci si può domandare perché gli “ausili” (gli oggetti che in modo specifico servono alle persone con disabilità, siano essi giovani o anziani) siano ancora oggi piuttosto “brutti” e poco progettati.

Eppure da tempo si vedono – a volte cercandoli con molta cura, perché non appaiono molto – prodotti/ausili che presentano un design più curato.

Un esempio è dato questo deambulatore di fabbricazione inglese che con il semplice utilizzo di materiali differenti (alternativi al classico tubo di ferro cromato) combina una struttura in alluminio con un elemento porta oggetti in compensato curvato, con particolare attenzione ai punti di presa e agli appoggi a terra.

Anche i sanitari Fabula – dei designer Gianni Arduini – (ahimè ormai non più in produzione) che offrivano soluzioni con accessori (sedile a diverse altezze, braccioli ribaltabili con impugnatura morbida) per sanitari con funzionalità differenti, ma con un design unico, che non distingueva tra la soluzione base e quella più accessoriata.

Sempre di Arduini, Salvemini e Bonfanti la carrozzina Levia  – in fibra di carbonio – un progetto pionieristico degli anni Ottanta (1987) che in modo del tutto nuovo proponeva un design innovativo (nelle forme e nelle scelte dei materiali) anche per un oggetto propriamente specifico per la mobilità delle persone con disabilità.

Un altro esempio è quello del Rotello: un coltello con la lama circolare (come i taglia-pizza) dotato di un’impugnatura ergonomica pensata anche per le persone con artrite alle mani. Un progetto di HBgroup giunto al secondo posto del concorso “Maniago Design” agli inizi degli anni Duemila.

Un esempio interessante da analizzare è quello del bicchiere Smoke del designer Joe Colombo: un progetto del 1964 che nasce, come dice il nome, per rispondere all’esigenza del fumatore che deve, al tempo stesso, tenere in mano il bicchiere e la sigaretta. La soluzione di progetto (design) offre un punto di presa in basso, decentrato rispetto al calice del bicchiere, con un cavità che permette una facile presa tra indice e pollice, che non richiede di chiudere il palmo della mano. A distanza di anni la stessa soluzione viene a trovarsi in un catalogo di prodotti “per disabili” come bicchiere facile da impugnare. Un materiale differente (non più il cristallo, ma un materiale plastico dal colore poco accattivate) e un’immagine di prodotto ridotta (un prodotto di questo tipo non può ovviamente essere troppo bello!), in ogni caso si riscopre la soluzione pensata dal designer per un’esigenza analoga, non più quella del fumatore, ma di chi ha difficoltà alla mano. Esempio (raro) di come un prodotto di design può diventare soluzione per le esigenze di chi ha una disabilità.

Gli esempi ci sono, la creatività dei progettisti non manca. Però nella pratica – ovvero nei prodotti che troviamo sul mercato – non si notano cambiamenti: il prodotto “ausilio” è solitamente poco disegnato (poco progettato, con pochi contenuti di design), presenta un’immagine ospedaliera con forti richiami al mondo sanitario, è stigmatizzante (oggetto privo di “normalità di immagine” che tende a connotare la “diversità” di chi lo utilizza), in poche parole è brutto! e dagli utenti viene spesso rifiutato. Al tempo stesso il prodotto “ausilio” è caro (anche se pagato dal servizio sanitario pubblico), spesso non viene scelto direttamente dall’utente ma viene “imposto” e alcune volte capita anche che, una volta preso, venga riposto in un cassetto e non più usato.
Cercare di capire le ragioni di questo fenomeno non è facile. I produttori lamentano un il problema di tirature limitate. La logica della fornitura attraverso il sistema sanitario porta a delle “storture” del mercato e a ridurre la capacità di scelta della “domanda” (il cliente).

Su tutto, però, grava l’idea di un “prodotto speciale”: l’ausilio per disabili, oggetto culturalmente differente dall’utensile, connotato a priori di immagine negativa. Solo una piena conquista della “normalità” della disabilità (lento precorso che passa attraverso i media, la testimonianza quotidiana, le paralimpiadi, ecc.) ci porterà a non fare distinzioni di categorie tra prodotti funzionali alla vita quotidiana degli uomini. Questo a tutto vantaggio, ad esempio, delle persone anziane che hanno bisogno di prodotti utili che pero non trovano nella distribuzione comune. Anziani che al tempo stesso rifiutano prodotti “ausilio” brutti e sanitarizzati che non li fanno stare meglio, ma li fanno sentire sempre più “disabilitati”.

Significativa, a questo proposito, la proposta di Stannah che offre sulle nuove poltroncine Stannah Collection, una scelta di design dei tessuti con nuove possibilità, più creative ed estetiche, per ambientare al meglio la poltroncina all’interno dell’ambiente domestico. Abbiamo fatto dell’eleganza e della raffinatezza dei nostri prodotti un punto d’onore. Oggi, con la Collezione Stannah, ci spingiamo oltre, proponendo un concetto nuovo: il montascale come oggetto di design, non solo funzionale ma anche estetico” queste le parole di Giovanni Messina, Direttore Generale Stannah Italia, che spiegano la filosofia del progetto.

La poltroncina, da oggetto/ausilio che supporta chi ha difficoltà a percorrere le scale, assume la sua dignità di prodotto e si confronta con il design. La scelta di intervenire sui tessuti di rivestimento, senza modificare la struttura del prodotto, nella sua semplicità dimostra a maggior ragione le potenzialità e l’importanza del design. I designer Stannah hanno realizzato i sei modelli ispirandosi ai motivi utilizzati dalla traizione tessile europea, con riferimento particolare al broccato italiano, all’Art Deco, all’Art Nouveau e alla seta di Lione. In questo modo un prodotto di qualità, già curato nella progettazione, promuove un design innovativo con motivi e colori e – in linea con quanto abbiamo detto sopra – propone in modo deciso l’idea che anche il montascale a poltroncina è oggetto di design, non solo funzionale ma anche estetico.

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