Lo spirito del dono, dal Natale al volontariato
Scritto da Paolo Ferrario il 22-12-2010
Le festività natalizie si nutrono del mito del massimo dono possibile (un Dio che nasce per sacrificare la sua vita agli uomini) e sono anche il periodo dell’anno in cui lo “spirito del dono” emerge con forza nelle nostre individuali vite e sulla scena pubblica.
Indipendentemente dal credo religioso, siamo tutti pervasi dall’atmosfera generale di intimità e socialità, in cui la psiche interagisce intensamente con la cultura e con le tradizioni. Questo è proprio il momento più propizio per osservare quello che ci accade intorno e per interrogarci sul concetto e sull’esperienza del dono, centrale, nei tempi moderni, per il bambino.
Perché gli adulti sono così propensi a far sì che i bambini credano che sia Babbo Natale a portare i regali? E perché noi individui moderni accettiamo così volentieri l’immagine di questa figura che arriva su una slitta volante trainata dalle renne?
l’antropologo franco-canadese Jacques T. Godbout formula un’ipotesi precisa: il dono ha la funzione di tenere in contatto fra loro le diverse generazioni. Già il nome del personaggio indica il compito che gli si vuol fare assumere: “Babbo Natale” è un padre, ha una gran barba bianca, ride con voce profonda e tiene i bambini sulle ginocchia. Inoltre Babbo Natale assomiglia anche a un nonno e, dunque, è un antenato. A questa figura, disegnata e rappresentata in tantissimi modi, viene chiesto di rinnovare simbolicamente il legame con gli antenati che la modernità delle solitudini individuali tende continuamente ad attenuare.
Ecco perché ci piace così tanto partecipare a questa grande festa annuale che si irradia attorno al 25 dicembre, giorno del Natale. Nel gioco dei reciproci regali tutti noi entriamo in modo irresistibile a far parte di un rito che ci riporta all’infanzia e che rinforza i legami familiari e amicali un po’ assopiti e sfilacciati dalle vicissitudini della complicata vita quotidiana (oggi anche maltrattata dalla crisi). Dice Godbout nel libro Lo spirito del dono (1992): “Babbo Natale apre l’universo chiuso della famiglia moderna, ristabilisce un legame con il passato, nel tempo, ma unisce anche i bambini al resto dell’universo, nello spazio”.
I rituali del dono nel periodo natalizio hanno il valore intellettuale ed emotivo di farci vedere con precisione che l’atto del donare è un modo di far funzionare la società complessiva e noi stessi dentro di essa.
Anche senza la pretesa di elaborare una classificazione completa dei tipi di dono che si manifestano nelle società contemporanee, possiamo indicarne alcuni, oltre a quello natalizio di cui abbiamo appena parlato: a) doni ai poveri e ai bisognosi come pratica non molto diversa da quella già presente all’inizio del Cristianesimo; b) doni all’interno della famiglia, in cui l’esperienza oblativa si articola a vari livelli (esperienza della maternità-paternità; compleanni; ricorrenze); c) doni nei rapporti di parentela al di fuori della famiglia nucleare (nonni e parenti che fanno da baby-sitter a bambini piccoli); d) doni nei rapporti di vicinato, sotto forma di aiuti materiali e supporti affettivi specialmente in comunità locali di dimensioni piccole; e) elargizioni in denaro e in tempo prestato, attraverso diverse attività di aiuto e assistenza; f) ospitalità e accoglienza di estranei e forestieri in situazioni particolari (autostop, accoglienza gratuita per i pellegrini che visitano santuari o luoghi di culto, scambio di case per turismo); g) mecenatismo moderno, come le erogazioni di banche o aziende private a iniziative artistiche o culturali; h) forme di mutuo aiuto prestate in associazioni tipo quelle degli Alcolisti Anonimi o di altre situazioni di forte bisogno.
Questo elenco, anche se sommario, serve a mostrare come l’esperienza del dono sia molto presente anche nelle reti sociali contemporanee e come essa si articoli in tante forme di diversa intensità relazionale.
Dall’epoca classica Seneca ci avverte ancora che il dono “è cosa di ordine spirituale” e che esso “non consiste né nell’oro, né nell’argento, né in alcune di quelle cose che vengono stimate di gran pregio, ma esclusivamente nella volontà di chi lo dà”. L’affermazione del filosofo mette perfettamente a fuoco la questione fondamentale: il valore simbolico del dono.
Attraverso questi scambi fra amici, familiari, conoscenti, noi attiviamo continuamente il legame sociale. Con questi gesti semplici, che tuttavia alimentano una parte rilevante dei consumi, noi stabilizziamo e rinnoviamo continuamente un vero e proprio modo di stare assieme.
l’economia, la sociologia e la politica tendono a interessarsi soprattutto al funzionamento di ciò che circola e viene scambiato (beni, prestazioni, informazioni) indipendentemente dalle persone.
In questo quadro, il sistema del mercato è un complesso di regole che permette ad estranei di fare transazioni tra di loro (pur restando il più possibile, per l’appunto, estranei) e il sistema dello Stato è un apparato distribuzione di risorse che si base su criteri improntati alla eguaglianza formale per la ripartizione delle tasse.
Il sistema del dono, invece, è orientato a far circolare e scambiare beni e servizi in rapporto ai legami che essi sanno sviluppare. Se rivolgiamo la nostra attenzione al rapporto fra ciascuno di noi e gli altri, ci accorgiamo che esistono due realtà relazionali. c’è una “socialità secondaria”, che si manifesta nel mercato (per esempio attraverso il lavoro e i consumi) e nello Stato (per esempio nei rapporti con la burocrazia o le autorità politiche). Ma esiste soprattutto una “socialità primaria”, che si sviluppa attraverso le relazioni intersoggettive sostenute dagli affetti, dall’empatia e, appunto, dalle dinamiche del dono: sto parlando di legami familiari e di amicizia, di rapporti di vicinato, di vita associativa. E’ in questi legami che noi come persone affermiamo la nostra unicità e non certo nei legami astratti e secondari che ci rendono individui anonimi e intercambiabili.
Quali sono, quindi, i luoghi in cui oggi riconosciamo quel legame sociale che abbiamo chiamato “dono”?
Parto dal regalo, ossia il dono rituale, che è la migliore dimostrazione della capacità del dono di costruire un legame. Perché l’oggetto regalato può essere utile, certo, ma prima ancora il medesimo serve a nutrire la relazione, al punto che il regalo ideale, talvolta, è proprio quello che non serve a nulla.
Ci sono poi gli innumerevoli servizi di prossimità che produciamo per le persone che stanno nella rete più intima, come le cure fra genitori e figli (e viceversa),
le visite alle persone amiche in ospedale, fino ad arrivare ai doni eccezionali come quello degli organi vitali: sono tutti gesti liberi fatti verso qualcuno cui ci sentiamo legati anche indipendentemente da obblighi giuridici.
C’è infine una terza categoria di dono, che sembra la più lontana dai legami sociali: il dono unilaterale agli sconosciuti, in occasione di catastrofi e in aiuto ai paesi poveri. Il più conosciuto di quest’ultima tipologia è il dono del sangue, emblematico più di altri dello spirito del dono. Infatti, rispetto al ciclo “normale” del dare-ricevere-ricambiare (che è l’esperienza di dono maggiormente sperimentata) il sangue non è ricevuto da una persona conosciuta, non è restituito (o lo è in piccola misura) e in ogni caso non lo si dona perché sia restituito. La donazione del sangue è anche un esempio molto espressivo delle politiche di Welfare: ci sono persone in situazione di accertato bisogno, ci sono dei donatori e per mettere in contatto le due parti occorre un’attrezzata e competente struttura organizzativa che faccia da intermediario (centro del prelievo, associazionismo, informazione). Oggi, poi, alla più antica e consolidata donazione del sangue si aggiunge quella degli organi, dello sperma, dell’utero. La biopolitica, con l’accesa disputa bioetica che vi si accompagna, sta elaborando altre frontiere su cui si confrontano e applicano i processi sociali finora delineati.
Sono partito dalla gioiosa esperienza del farsi regali in tempo di Natale, per arrivare, inseguendo la trama del “sistema del dono” (o della reciprocità, come anche si tende a dire), alla proiezione pubblica di questo modo di funzionamento della nostra società moderna. La più conosciuta è quella che definiamo “volontariato”. E’ interessante ricordare che questo termine ancora agli inizi degli anni Ottanta non figurava neppure nei dizionari con il significato attuale. l’imponente realtà del volontariato si è sviluppata negli ultimi trent’anni proprio sull’onda dello sviluppo delle politiche pubbliche di Welfare.
Pur essendo un’esperienza proveniente dalla società civile, il volontariato vive di contatti e relazioni con il sistema socio-sanitario dei servizi alla persona. Soffermiamoci un attimo sul linguaggio: definiamo queste organizzazioni con il termine “terzo settore”, intendendo “terzo” perché differente sia dalla sfera pubblica dello Stato, sia da quella privata del mercato. Dunque il volontariato è un chiaro esempio di “strategia del dono rivolta a sconosciuti”: si dedica il proprio tempo a persone in stato di bisogno, anche se non sono nella sfera relazionale intima e vicina. Le associazioni di volontariato sono degli intermediari fra estranei ed esprimono un modello di etica diverso da quella statale e dalle dinamiche particolaristiche del mercato.
Un secondo esempio importante di strategia del dono sono le banche del tempo. Si tratta di esperienze avviate in Inghilterra, a partire dagli anni Ottanta, sulla scia di analoghi esempi nord-americani. Ci può essere una persona, ora temporaneamente malata, che sarà in grado in un periodo migliore della sua vita, di offrire un trasporto in auto a un’altra persona. E può anche darsi che quest’ultima possa andare a prendere a scuola un bambino e possa stare con lui in attesa dei genitori. E può essere che questi genitori siano in grado di ospitare a pranzo una domenica una persona sola che, benché autonoma, senta il peso di prepararsi un pasto per sé.
Tutti questi sono “scambi” di servizi, perché le persone sono contemporaneamente portatrici di bisogni e di risorse. Ciò che viene scambiato è quella straordinaria risorsa di cui tutti noi disponiamo in modo limitato: il tempo. Quest’ultimo è infatti divisibile, concentrabile e trasferibile e di conseguenza può diventare un campo di sviluppo organizzato di risorse umane che non stanno sul mercato dei beni e delle merci. Anche nel caso delle banche del tempo c’è bisogno, affinché funzionino, che ci siano soggetti disponibili al dono, ma anche un’organizzazione sensibile e capace di mettere insieme tutte queste esigenze.
Fra pochi giorni sarà Natale, una giornata carica per ciascuno di memoria, di senso, di desiderio di stare insieme. E’ anche tempo di regali, dunque di elaborazione di quello spirito del dono estremamente sopito durante l’intero anno e che invece ora emerge a far vedere la sua trama sottile. Ricordiamocelo quando facciamo un regalo, perché in quel momento stiamo costruendo un legame sociale che può anche diventare, se ne siamo consapevoli, un comportamento “giusto” per fare un dono agli sconosciuti, come suggerisce sul Web, con estrema competenza professionale, una homeless che spiega cosa si può fare per aiutare con efficacia i senza tetto.
A tutti i lettori tanti auguri per un buon 2011.
Vuoi lasciare un commento? Clicca qui