Riusare gli oggetti per vivere meglio
Scritto da Paolo Ferrario il 17-09-2010
Gli over 60, nati attorno alla metà del Novecento, hanno vissuto tempi di trasformazione storica profonda che ha inciso sui comportamenti quotidiani: sono cambiati i beni e i servizi, gli alimenti, le case, i modi di muoversi in città. Il riflesso condizionato delle persone in procinto di percorrere la prevecchiaia e la vecchiaia è quello di resistere, almeno con la psiche, ai mutamenti sociali. Ma il processo è ineluttabile e allora vale la pena di vederne anche gli aspetti positivi e divertenti.
Prendiamo gli oggetti che ci circondano e, visto che ne abbiamo memoria, guardiamoli (anzi: ri-guardiamoli) e riflettiamo su come essi si sono intrecciati alle nostre storie individuali.
Recentemente il sociologo del lavoro Guido Viale, nel libro La civiltà del riuso, ha messo sotto attenzione quanto sta succedendo in gruppi minoritari che anticipano possibili scenari futuri.
Un capitolo è dedicato ad alcune biografie particolarmente espressive. c’è il ricordo di un padre che ogni volta che andava da un rottamaio a cercare un pezzo di automobile “tornava a casa con la faccia di uno che abbia passeggiato per due ore nel paradiso terrestre”. La moglie, più semplicemente, era sempre dispiaciuta quando veniva buttata via della roba che era ancora utilizzabile o addirittura bella, anche se non più di moda. Per lei il recupero più che una passione era sempre stato sentito come un dovere, un compito, perché “ogni pezzo di legno prima era un albero vivo e dunque buttare via una seggiola buona è un’azione da stupidi in quanto gli alberi sono belli”.
La seconda biografia è quella di un afroamericano dedicata al “Mongo”, termine slang che è l’equivalente del nostro “monnezza”. Tema del libro è, infatti, l’immondizia e i mille modi in cui essa può essere recuperata dal bordo strada dove viene depositata da chi la produce, per opera di una miriade di recuperatori chiamati “collezionisti”, a loro volta suddivisi in veri e propri tipi psicologici. Ci sono i “pigliatutto”, cioè quelli non specializzati, che raccolgono tutto quello che può servire; ci sono poi gli “esperti in sopravvivenza”, che si dedicano a un solo oggetto (ad esempio le lattine) e rivendendolo vivono del ricavato; ci sono i “cacciatori di tesori”, cioè coloro che inseguono gioielli e oggetti preziosi caduti nelle fogne; ci sono gli “anarchici”, cioè coloro che nella spazzatura vanno a cercare il cibo. Questi ultimi sono i più giovani che vivono in comuni e odiano la società dei consumi. Il dato interessante è che non se la passano molto male, poiché spesso la spazzatura offre mille risorse.
Altri raccoglitori sono i “visionari” cioè quelli che con i materiali raccolti fanno bricolage e opere d’arte. Ne è anche stata fatta una bella mostra al Mart di Rovereto dedicata agli artisti che lavorano con gli scarti. c’è poi il “commerciante” che si dedica solo alla ricerca di libri rari, preziosi, fuori commercio e con dediche dell’autore.
Costui li raccoglie con sicurezza professionale e poi li vende immediatamente via Internet o alla rete degli altri collezionisti e il dato interessante è che guadagna parecchio. La rassegna dei tipi procede ancora con la “voyeuse” che raccoglie computer per rimetterli in sesto e rivenderli; gli “archeologi” che cercano oggetti antichi (soprattutto vetri dei secoli passati) nei pozzi neri dismessi e nascosti sotto il pavimento dei cortili delle vecchie case; il “conservatore” che restaura mobili, vecchi arredi, lampadari e infine il “cow-boy” che non cerca oggetti ma interi pezzi di edifici.
E’ abbastanza evidente che queste straordinarie tipologie di persone parlano di vissuti, storie individuali, comportamenti, visioni del mondo ed è altrettanto palese che non si tratta di ampi gruppi sociali, ma piuttosto di élites che potrebbero anticipare un nuovo mondo basato su modelli di produzione e consumo assolutamente diversi da quelli che abbiamo finora conosciuto. Comunque la pensiamo, sono segni da cogliere e interpretare.
Tutti noi abbiamo la percezione (e gli istituti di ricerca lo confermano) che negli anni a venire occorre modificare la struttura dei consumi che si è affermata nei decenni precedenti.
Nel libro Sopravvivere alla crisi, Jacques Attali, dopo aver analizzato la crisi economica del 2008 e le sue cause, applica la sua indagine alle fasi cruciali della vita personale e collettiva e cerca di dare qualche indicazione per superare le difficoltà che incontriamo sul nostro cammino. A tale scopo individua sette principi da applicare di fronte alle avversità e ci offre una specie di “manuale d’uso” per ricominciare a vivere come individui, come lavoratori, come cittadini. Fra queste ricordiamo: la resilienza (adottare un atteggiamento stoico per affrontare le minacce con le giuste difese ed eventuali piani alternativi); la creatività (trasformare i propri punti di debolezza in vantaggi concreti); l’intensità (stabilire obiettivi di medio e lungo periodo); il rispetto di sé (sfuggire i gorghi della sopravvivenza per seguire una ragione di vita).
Un altro autore (Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena) propone la virtù della “decrescita conviviale” e del localismo proponendo nelle sue opere una visione dell’economia intesa come esclusiva attività in grado di fornire i mezzi materiali per il soddisfacimento dei bisogni delle persone. Poiché il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, occorre produrre meno e consumare meno anche se queste scelte sono lontane dall’essere accettate: se non vi sarà un’inversione di tendenza – sostiene l’autore – c’è da attendersi una catastrofe ecologica e umana. Latouche, però, è un ottimista, contrariamente a quanto farebbero pensare le apparenze: a suo giudizio, siamo ancora in tempo per immaginare con serenità un sistema basato sulla logica della “decrescita”.
Analogamente, Giampaolo Fabris (La società post-crescita) afferma che la crescita economica che abbiamo conosciuto non produce più benessere, né migliora la qualità del nostro vivere. Per l’autore, si impone un cambiamento nell’antropologia del consumo e degli stili di vita e suggerisce l’avvento della “post-crescita”, nella quale i protagonisti saranno i consumatori che oggi hanno una formidabile bussola di orientamento: il Web.
Infine Federico Rampini in Slow Economy descrive la nuova realtà socio-economica che lentamente si sta definendo.
Per il giornalista, è la cosiddetta “rivoluzione verde” che ci porterà a produrre e consumare in modo più consapevole. I segni di questa tendenza li si potrà vedere in quegli Stati che assumono politiche sociali più ponderate e attente alla qualità di servizi, del Welfare e della vita in generale. A suo parere, si va profilando una rivoluzione tranquilla che chiama per l’appunto slow economy: un nuovo modello di sviluppo dove la crescita ad ogni costo non sarà più la prima preoccupazione delle nostre società.
Torniamo quindi all’origine del nostro ragionamento: a nostro giudizio, il riemergere della “cultura del riuso” degli oggetti (tipico delle generazioni del primo Novecento) è uno dei segnali del cambiamento di cui parlano tutti gli autori citati. Un altro è la progressiva affermazione del mercato dell’usato come un elemento importante delle economie. La conferma arriva da un’indagine della Camera di commercio di Milano, che parla di una crescita di questo segmento del 35% dal 2004 al 2009, con una presenza sul territorio nazionale di 3.433 esercizi commerciali e con 892 nuove aziende. Tra le prime dieci province per numero di imprese, in netta crescita Roma (+83,3%),
Brescia (+52,2%),
Milano (+38,4%),
Torino (+37,4%).
Ridare vita agli oggetti usati è un’azione che si riflette dentro le nostre soggettività (può diventare un piacere) ma è anche un fattore di risparmio. E, come diceva l’economista della crisi degli anni Trenta, John Maynard Keynes, “il risparmio è anche un investimento”.
Torniamo a Guido Viale, lo spunto originario di questa ricerca, il quale scrive: “Ci sono cose che esistono da sempre o da molto tempo e che noi continuiamo ad usare. Innanzitutto il nostro pianeta, poi le montagne, i fiumi, i laghi, il mare, i boschi, il paesaggio. Poi le cose artificiali, fatte da noi umani: le città, le strade i ponti, gli edifici. Poi molti oggetti: soprattutto quelli che fanno parte dell’antiquariato. Poi, un antiquariato di seconda categoria, fatto di oggetti nati più di recente che chiamiamo modernariato, dentro il quale può essere fatto rientrare anche quello che ci è stato lasciato dai nostri genitori o dai nostri nonni”.
Cosa facciamo di queste cose? Le usiamo e riusiamo e alcune di esse le abbiamo ridotte in cattivo stato. Qualcuna la restauriamo, ma prevalentemente la sostituiamo. Questo processo è stato, anche in Italia, il fattore prevalente del cosiddetto boom economico. Oggi le condizioni storiche sono diverse e il principale cambiamento consiste nel fatto che (in larga parte) l’acquisto di un nuovo bene non incentiva l’economia interna del nostro Paese, ma, all’opposto, produce sviluppo nei Paesi dell’Est e del Sud del mondo. Insomma, è arrivato il momento per noi abitanti delle evolute e “vecchie” società europee di renderci conto che il sistema socio-economico funziona in un modo assolutamente diverso rispetto al recente passato degli ultimi trent’anni.
E’ sicuramente questo contesto sociale e culturale che stimola a rintracciare i vantaggi (e si potrebbe dire anche la bellezza, il gusto e la gioia) di elaborare strategie del “riuso” degli oggetti.
Esistono vari segnali di questa tendenza in parte dovuta ai vincoli esterni e alla turbolenza dei mercati internazionali e in parte dovuta agli stessi mutamenti di gusto e stili di vita. Un profetico pioniere di questo modello fu Alexander Langer. Questo processo, per farsi strada e stabilizzarsi, ha bisogno di consapevolezza sociale e di mutamento delle nostre convinzioni, atteggiamenti, etica e consumi.
Ad un livello più ravvicinato, concreto e operativo possiamo osservare e guardare con benevolenza alcune situazioni di mercato molto particolari. Prendiamo i mercatini. Questi spazi economici sono anche luoghi di incontro e socializzazione. Inoltre, dietro ogni oggetto esposto esiste e si può ricostruire un processo di lavoro: l’oggetto che lì si candida a una nuova vita ha percorso varie tappe che ne hanno migliorato la qualità, l’assortimento e il suo valore dì uso o di piacere estetico. c’è stato chi ha svuotato cantine e solai facendo la preliminare opera di facchinaggio, poi gli oggetti sono andati ad altri operatori che hanno fatto la scelta, la divisione dei materiali, e poi ancora questi assortimenti hanno raggiunto operatori specializzati per generi merceologici.
Attraverso i mercatini si può perciò recuperare un po’ del nostro passato, riempirci gli occhi di oggetti che rispolverano la nostra memoria biografica e nello stesso tempo produrre mercato e flusso economico.
Un altro spazio che dovremo abituarci a rispettare e a inserire nei nostri vissuti sono gli ecocentri, cioè luoghi attrezzati di cassoni dedicati ciascuno ad un diverso materiale: legno, plastica, ferro, carte e cartone, residui di potatura, batterie, elettrodomestici. Anche in questi nuovi ambienti dell’economia umana si manifestano i segni di un diverso funzionamento delle società in cui viviamo.
In conclusione: siamo dentro una trasformazione socio-culturale ramificata e sfaccettata. E dentro di essa possiamo recuperare anche il nostro passato e “rispolverarlo”.
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