La malattia dei cosmonauti? L'osteoporosi!

Scritto da Massimo Tanzi il 20-10-2008

tai_chiSapete qual è la categoria di lavoratori che rischia di ammalarsi di osteoporosi?
Ve lo diciamo subito, non vogliamo lasciarvi in sospeso: gli astronauti.
Ebbene sì, cari lettori: secondo le ultime ricerche scientifiche, i navigatori del cosmo rischierebbero di veder indebolire le loro ossa dalla ridotta forza di gravità combinata con l’ipotrofia muscolare.
Ovviamente, il problema non riguarda solo loro.


Sull’insorgenza dell’osteoporosi incide assai di più l’invecchiamento della popolazione.

Come già avete letto*, l’osteoporosi determina la diminuzione della massa ossea (ossia la riduzione della massa ossea scheletrica per unità di volume, aumentata porosità dell’osso) e il deterioramento della micro-architettura dell’osso con conseguente aumento di fragilità e rischio di frattura.

Si stima che in Italia ci siano 5 milioni di persone, di cui 4 di sesso femminile, esposte ai rischi dell’osteoporosi, primo fra tutti l’aumento delle fratture ossee.
E’ evidente che, quando si parla di disabilità secondaria legata all’osteoporosi, di per sé malattia sistemica che interessa l’osso, è d’obbligo fare riferimento alla frattura come elemento che condiziona più di ogni altro lo stato di salute, rappresentando il termine di confronto di ogni tipo di prevenzione e cura, anche in considerazione degli esiti invalidanti.

Spesso l’osteoporosi viene diagnosticata quando il danno osseo è già in stadio avanzato e sono già intervenute importanti disabilità. E’ infatti il dolore conseguente alla frattura il motivo per cui, quasi sempre, il paziente si rivolge al medico.

Purtroppo, però, nel nostro Paese la prevenzione e la cura delle patologie dell’apparato scheletrico sono alquanto trascurate, benché l’Organizzazione mondiale della sanità abbia dedicato primaria attenzione alle ossa e alle articolazioni per il decennio 2000-2010.

Attualmente i giorni di ricovero ospedaliero correlati all’osteoporosi sono sempre più comparabili con quelli dovuti a malattie ben note all’opinione pubblica, come le malattie cardiovascolari.

Un paziente che accusa una frattura ossea su base osteoporotica ha una probabilità di fratturarsi di nuovo, anche in un altro distretto scheletrico, 5 volte superiore rispetto ad un paziente non affetto da osteoporosi.

Il distretto scheletrico che più frequentemente subisce i danni dell’osteoporosi è la colonna vertebrale nel tratto dorsale e lombare. Le fratture vertebrali “da compressione” sono in continuo aumento: si calcolano ogni anno almeno 550 mila nuovi casi di crolli vertebrali osteoporotici, spesso associati a dolori cronici e importanti limitazioni della mobilità.

Con i progressi delle tecniche chirurgiche, la prognosi è tuttavia migliorata soprattutto per quanto riguarda la qualità della vita, grazie ai moderni interventi di vertebroplastica,
cifoplastica e vesselplastica, che riducono l’impiego dei busti o corsetti.

La costituzione del capitale osseo si effettua quasi completamente prima dei 20 anni, con un incremento notevole nella pubertà. Se si incrementa il picco di massa ossea (ossia la massima densità e durezza dell’osso) del 10% in gioventù, si riduce del 50% la possibilità di fratture in età senile.

Ciò accade perché nell’età adulta risulta in pareggio il metabolismo osseo: tanto “osso nuovo” viene creato, tanto “osso vecchio” viene riassorbito. Di conseguenza bisogna intervenire nell’età in cui lo scheletro (quindi il metabolismo osseo) è in accrescimento.

Allora cosa fare?
E’ fondamentale innanzitutto la prevenzione: per il sesso femminile, incomincia allorché una futura mamma è in dolce attesa di un bambino, soprattutto se è dedita al fumo e risulta carente nell’apporto alimentare di calcio e vitamina D.
Lo studio Seneca pubblicato su Lancet nel 1995 evidenzia che l’Italia è il paese al mondo con la maggior incidenza di ipovitaminosi D (= carenza di vitamina D).

Indipendentemente dal sesso, è importante il rinforzo muscolare (in particolare a carico della muscolatura propria della colonna vertebrale),
in quanto i muscoli sostengono e proteggono le ossa.

Diventa importantissimo incoraggiare l’attività sportiva regolare nell’infanzia e nell’adolescenza per ottimizzare il capitale osseo e sollecitare un costante impegno fisico nell’età adulta, soprattutto per le donne, al fine di rallentare la perdita ossea.

La rieducazione riveste un ruolo essenziale nel trattamento dell’osteoporosi ed in particolare nella sua prevenzione: contribuisce alla prevenzione delle fratture osteoporotiche tramite una azione diretta (le sollecitazioni meccaniche migliorano il trofismo dell’osso) e con un meccanismo indiretto non osseo, riducendo la frequenza e la gravità delle cadute.

Il trattamento riabilitativo deve perseguire un duplice obiettivo:
correggere le deficienze fisiche migliorando nello specifico l’equilibrio e la coordinazione;
adeguare l’ambiente.

Negli ultimi anni è stato evidenziato un miglioramento nella riduzione delle cadute, e quindi delle fratture, nei soggetti che praticano il Tai Chi, disciplina che si conosce ormai da molto tempo. Questo sistema integrato di esercizi per il corpo, la mente e lo spirito è nato nell’antica Cina probabilmente più di 5.000 anni fa.

Magari su di noi il Tai chi non farà chissà quale effetto, ma provare non costa nulla… che ne dite?

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