Arcangelo Ceretti e la “rivoluzione” a beneficio degli anziani

Scritto da Stannah il 02-10-2013

Intervista di Alessandra Cicalini

Da ragazzino, Arcangelo Ceretti, geriatra e direttore medico del Camillo Golgi di Abbiategrasso, alle porte di Milano, non ha studiato musica, perché “era considerato roba per signorine”, racconta con tipica ironia lombarda. Eppure, i molti anni trascorsi accanto agli anziani con la memoria ferita gli hanno insegnato come siano proprio i conoscitori di note e spartiti a preservarla meglio. Di qui il consiglio ai giovani di oggi, i potenziali centenari di domani: “Studiate – li esorta – ripetete, fate molti riassunti”. Il medico, però, non si ferma qui, ma, alla vigilia del convegno organizzato (il prossimo 17 settembre) come ogni anno per celebrare la Giornata mondiale dell’Alzheimer, aggiunge un messaggio ancora più forte: “L’invecchiamento deve diventare interesse di tutti”. Come arrivarci? Ceretti l’ha spiegato a Muoversi Insiemenell’intervista che segue.

Come vede la vecchiaia di domani? I malati di Alzheimer e altre forme di demenza aumenteranno?
È uno dei problemi da affrontare nel nostro prossimo futuro: già oggi si passano molti più anni in condizioni di malattia, una conseguenza dell’invecchiamento della popolazione.

Anche l’utenza che si rivolge alla vostra struttura e agli istituti “Piero Redaelli” di Milano e Vimodrone a voi collegati è cambiata?
Sì: oggi i nostri pazienti in Residenza sanitaria assistenziale (RSA), hanno un’età media attorno agli 80 anni e in genere sono in condizioni di demenza su base vascolare, una delle forme più diffuse insieme con la Malattia di Alzheimer, la Demenza a corpi di Levy e altre.

Che cosa caratterizza la demenza su base vascolare?
All’invecchiamento cerebrale è associata una sofferenza ischemica, con danno vascolare e metabolico.

Che tipo di servizi offrite per intervenire su situazioni del genere?
Il nostro metodo di cura si basa sul “gentle care”, un sistema progettato e attuato in Canada dalla terapista Moyra Jones . Noi l’abbiamo introdotto oltre dieci anni fa, riadattandolo alle nostre esigenze e migliorandolo negli anni.

In che cosa consiste?
Forniamo al paziente e ai familiari caregiver un ambiente adeguato a sostenere il disorientamento usando un approccio protesico.

Cercate di trasportare la vostra metodologia anche a casa del paziente?
Certamente, almeno per le parti che possono essere applicate dai caregiver, ossia i familiari e gli altri soggetti che si prendono cura dell’anziano nella normale quotidianità, li formiamo per utilizzarla anche da soli.

Vi servite anche della terapia occupazionale
Sì, quando è possibile: per esempio, in alcuni stadi della malattia, questa metodologia aiuta il paziente a recuperare il riconoscimento dello spazio e del tempo, per esempio a riconoscere il calendario o in casi simili.

Quanto è fondamentale ottenere una diagnosi precoce di decadimento cognitivo per rallentare l’evolvere verso la malattia conclamata?
È molto importante, ma fortunatamente oggi sta crescendo l’interesse generale e sono i medici stessi a spingere i pazienti a non sottovalutare i primi segnali di cambiamento della propria memoria.

Come accorgersi che c’è qualcosa che non va?
Notando strane e inedite rigidità, confusioni, mutamento di carattere, perdita di memoria e sottoponendosi prima possibile a una visita specialistica.

Crede che si arriverà mai a una guarigione completa dall’Alzheimer?
Sicuramente si potrà curarla sempre di più, ma, essendocene diversi tipi, hanno ciascuna potenzialità diverse di sviluppo. L’importante è continuare a studiare.

… Esattamente come dovremmo fare tutti per proteggere il più lungo possibile la memoria?
Certo: ai miei tempi si imparavano molte cose a memoria… almeno ai miei figli ho fatto studiare musica!

Ritiene che siano utili terapie di tipo artistico per la cura della decadenza cognitiva?
Sicuramente: da noi alcuni corsi di musicoterapia hanno dato qualche risultato. Il problema vero è che non sempre si riescono a organizzare attività del genere per un problema di costi. Pensi solo che lo standard di assistenza settimanale rimborsato dalla Regione Lombardia è di 1.200 minuti per ospite. Il resto dei costi è a carico delle famiglie.

Bisognerebbe investire di più, quindi?
Certamente! Consideri che l’ultimo intervento ministeriale complessivo serio condotto in Italia è ilprogetto Cronos risalente alla fine degli anni Novanta che, peraltro, ha prodotto qualche risultato, valido ancora oggi, nella cura farmacologica ad esempio delle turbe del comportamento dei malati più gravi.

In altri Paesi si fa di più?
Sì: in Francia, per esempio, poco tempo fa è stato fatto un investimento importantissimo per monitorare tre diverse aree del Paese con l’obbligo di fornire un rapporto ogni due anni su metodi di cura e strumenti diagnostici utilizzati. Da noi, invece, ci si trastulla con altro…

Di quale personale/attrezzature avreste bisogno per implementare ulteriormente i vostri servizi?
In verità, noi offriamo posti di cura e di assistenza, non interventi circoscritti: per le attrezzature diagnostiche specialistiche ci appoggiamo agli ospedali vicini, mentre formiamo in continuazione personale e operatori. Tra i nostri infermieri, la vera professione del futuro, vi sono persone che provengono da tutto il mondo.

Avete pazienti che provengono anche da altre regioni? 
Quasi mai: la lista d’attesa ci impone di dare la precedenza ai residenti in regione.

Di che cosa parlerete nel convegno di sabato?
Il tema è “La stimolazione cognitiva nelle persone affette da patologie neurovegetative”: il convegno si tiene al “Redaelli” di Milano, in zona Bande Nere (per informazioni, chiamare il numero: 02/94852901, ndr). Interverranno vari relatori.

Quanto conta, nella cura e nell’assistenza di un malato grave, il lavoro in equipe con altri professionisti?
Moltissimo, considerando che già nell’equipe vi sono varie componenti. Per esempio, a volte vi può già far parte lo psicologo, mentre in genere il cardiologo, il fisiatra e il neurologo sono esterni, ma vanno sentiti abitualmente per evitare interazioni tra farmaci o altri problemi. In tutti i casi, il responsabile della cura deve restare il geriatra.

A suo giudizio, la società è pronta all’invecchiamento generale?
Deve esserlo, dal momento che abbiamo forzato la natura e che più del 50% del nostro tempo di vita è andato oltre la fase riproduttiva. Perché, quindi, non garantirci una vecchiaia intensa e attiva?

Da dove partire?
Utilizzando la rete e i social network come antidoto contro il pericoloso individualismo che ha ucciso la generosità verso gli altri. La vera rivoluzione è questa: riappropriarci della coscienza collettiva a beneficio di tutti.

Un bel programma per le generazioni più giovani, non c’è che dire… Da Muoversi Insieme, grazie per l’energetica e molto autorevole lezione di vita.